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Plinio Corrêa de Oliveira
Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana
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CAPITOLO VI Importanza della cooperazione di Nobiltà ed élites tradizionali per la soluzione della crisi odierna
La nobiltà italiana ha dato grandi santi alla Chiesa. In alto: San Luigi Gonzaga e Santa Caterina di Genova, dell’illustre lignaggio dei Fieschi; in basso: la patrizia fiorentina Santa Maria Maddalena de’ Pazzi e Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, dei principi di Presicce e di Pollica.
L’insegnamento di Pio XII Dopo aver considerato la legittimità e la necessità dell'esistenza delle élites tradizionali, è opportuno esporre ora gli insegnamenti in cui Pio XII dimostra che queste élites, per le qualità e virtù che le caratterizzano, devono esercitare la funzione – che non hanno il diritto di rifiutare - di guide della società.
1. La virtù cristiana, essenza della nobiltà Il nobile del nostro tempo dev'essere innanzitutto un uomo nel quale splendono le qualità dell'anima. La virtù cristiana, l'ideale cristiano fanno parte dell'essenza stessa della nobiltà. “Elevate lo sguardo e tenetelo fisso all'ideale cristiano. Tutti quei rivolgimenti, quelle evoluzioni o rivoluzioni, lo lasciano intatto; nulla possono contro ciò che è l'intima essenza della vera nobiltà, quella che aspira alla perfezione cristiana, quale il Redentore additò nel discorso della montagna. Fedeltà incondizionata alla dottrina cattolica, a Cristo ed alla sua Chiesa; capacità e volontà di essere anche per gli altri modelli e guide. (...) Date al mondo, anche al mondo dei credenti e dei cattolici praticanti, lo spettacolo di una vita coniugale irreprensibile, l'edificazione di un focolare domestico veramente esemplare” (1). Subito dopo, Pio XII stimola la nobiltà ad una santa intransigenza: “Opponete una diga ad ogni infiltrazione, nelle vostre dimore, nella vostra cerchia, di princìpi esiziali, di condiscendenza e tolleranze perniciose, che potrebbero contaminare od offuscare la purezza del matrimonio e della famiglia. Ecco, certamente, un'insigne e santa impresa, ben atta ad accendere lo zelo della nobiltà romana e cristiana ai nostri tempi” (2). a) Qualità d'animo del nobile odierno Per vincere i gravissimi ostacoli che si oppongono al perfetto compimento del proprio dovere, il membro della nobiltà o delle élites tradizionali dev'essere un uomo di valore. È ciò che si aspetta da lui il Vicario di Gesù Cristo: “Perciò quel che attendiamo da voi è innanzitutto una fortezza di animo, che le più dure prove non potrebbero abbattere; una fortezza di animo che faccia di voi, non soltanto perfetti soldati di Cristo per voi stessi, ma anche quasi allenatori e sostegni di coloro che fossero tentati di dubitare o di cedere. “Quel che attendiamo da voi è, in secondo luogo, una prontezza di azione, cui non sgomenta né scoraggia la previsione di alcun sacrificio, che il bene comune oggi richieda; una prontezza e un fervore, che, rendendovi alacri nell'adempimento di tutti i vostri doveri di cattolici e di cittadini, vi preservino dal cadere in un 'astensionismo' apatico ed inerte, che sarebbe gravemente colpevole in un tempo in cui sono in giuoco i più vitali interessi della religione e della patria. “Quel che attendiamo da voi è, finalmente, una generosa adesione, non a fior di labbra e di pura forma, ma dal fondo del cuore e messa in atto senza riserve, al precetto fondamentale della dottrina e della vita cristiana, precetto di fratellanza e di giustizia sociale, la cui osservanza non potrà non assicurare a voi stessi vera felicità spirituale e temporale. “Possano questa fortezza di animo, questo fervore, questo spirito fraterno guidare ciascuno dei vostri passi e rinfrancare il vostro cammino nel corso del nuovo anno, che così incerto si annunzia e sembra quasi condurvi attraverso un oscuro traforo” (3). Il Pontefice sviluppa ancor più questi concetti nella sua allocuzione del 1949: “Della fortezza d'animo tutti hanno bisogno, ma specialmente ai nostri giorni, per sopportare coraggiosamente le sofferenze, per superare vittoriosamente le difficoltà della vita, per adempire costantemente il proprio dovere. Chi non ha da soffrire? chi non ha da penare? chi non ha da lottare? Soltanto colui che si arrende e fugge. Ma voi avete, meno di tanti altri, il diritto di arrendervi e di fuggire. Oggi le sofferenze, le difficoltà, le necessità, sono, ordinariamente, comuni a tutte le classi, a tutte le condizioni, a tutte le famiglie, a tutte le persone. E se alcuni ne sono esenti, se nuotano nella sovrabbondanza e nei godimenti, ciò dovrebbe spingerli a prendere sopra di sé le miserie e gli stenti degli altri. Chi potrebbe trovare contentezza e riposo, chi non sentirebbe piuttosto disagio e rossore, di vivere nell'ozio e nella frivolezza, nel lusso e nei piaceri, in mezzo alla quasi generale tribolazione? “Prontezza d'azione. Nella grande solidarietà personale e sociale, ognuno deve essere pronto a lavorare, ad immolarsi, a consacrarsi al bene di tutti. La differenza sta non nel fatto della obbligazione, ma nel modo di soddisfarla. E non è forse vero che coloro, i quali dispongono di più tempo e di più abbondanti mezzi, debbono essere i più assidui e i più solleciti a servire? Parlando di mezzi, Noi non intendiamo di riferirCi soltanto né primariamente alle ricchezze, ma a tutte le doti d'intelligenza, di coltura, di educazione, di conoscenze, di autorevolezza, le quali doti non sono concesse ad alcuni privilegiati dalla sorte per loro esclusivo vantaggio, o per creare una irrimediabile disuguaglianza tra fratelli, ma per il bene della intera comunità sociale. In tutto ciò che è servigio del prossimo, della società, della Chiesa, di Dio, voi dovete essere sempre i primi. Là è il vostro vero grado di onore; là è la vostra più nobile precedenza. “Generosa adesione ai precetti della dottrina e della vita cristiana. Essi sono gli stessi per tutti, perché non vi sono due verità, né due leggi: ricchi e poveri, grandi e piccoli, alti ed umili, sono ugualmente tenuti a sottomettere il loro intelletto con la fede al medesimo domma, la loro volontà con l'obbedienza alla medesima morale. Però il giusto giudizio di Dio sarà molto più severo verso coloro che hanno più ricevuto, che sono meglio in grado di conoscere l'unica dottrina e di metterla in pratica nella vita quotidiana, che col loro esempio e con la loro autorità possono più facilmente dirigere gli altri nella via della giustizia e della salvezza, ovvero perderli nei funesti sentieri della incredulità e del peccato” (4). Queste ultime parole mostrano che il Pontefice non ammette una nobiltà o un'élite tradizionale che non sia effettivamente ed abnegatamente apostolica. Una nobiltà che vivesse per il lucro e non per la Fede, priva di ideali, imborghesita (nel senso peggiorativo che talvolta si attribuisce a questa parola), sarebbe un cadavere di nobiltà (5). b) Spirito cavalleresco dell'aristocrazia, un vincolo di carità La padronanza effettiva e durevole di queste virtù e di queste qualità d'animo spinge naturalmente il nobile ad avere maniere cavalleresche e di grande distinzione. Potrebbe un nobile dotato di tali qualità e buone maniere costituire un elemento di divisione tra le classi sociali? No. Lo spirito cavalleresco dell'aristocrazia, se bene inteso, lungi dal costituire un fattore di divisione, è, in realtà, un elemento di unione che impregna di affetto la convivenza tra i nobili e i membri delle altre classi sociali con le quali egli tratti a motivo della sua professione o delle sue attività. Questo spirito cavalleresco mantiene distinte le classi fra loro ma “senza confusione o disordine” (6), ossia senza livellamenti ugualitari; al contrario, rendendo amichevoli le relazioni fra loro.
2. La nobiltà e le élites tradizionali come guide della società Le qualità d'animo e il tratto cavalleresco che emanano dalle virtù cristiane rendono atto il nobile ad esercitare la missione di guida della società. a) Una forma di apostolato: guidare la società In effetti, la moltitudine ha oggi bisogno di guide adeguate: “La folla innumerevole, anonima, è facile ad agitarsi disordinatamente; essa si abbandona alla cieca, passivamente, al torrente che la trascina o al capriccio delle correnti che la dirigono e la traviano. Una volta divenuta trastullo delle passioni o degli interessi dei suoi agitatoti, non meno che delle proprie illusioni, essa non sa più prender piede sulla roccia e stabilirsi per formare un vero popolo, vale a dire un corpo vivente con le membra e gli organi differenziati secondo le loro forme e funzioni rispettive, ma tutti insieme concorrenti alla sua attività autonoma nell'ordine e nella unità” (7). Tocca alla nobiltà ed alle élites tradizionali svolgere la funzione di guida della società, realizzando così un luminoso apostolato: “Una élite? Voi potete ben esserla. Avete dietro di voi tutto un passato di tradizioni secolari, che rappresentano valori fondamentali per la sana vita di un popolo. Fra queste tradizioni, di cui andate giustamente alteri, voi contate in primo luogo la religiosità, la fede cattolica viva e operante. La storia non ha forse già crudelmente provato che ogni umana società senza base religiosa corre fatalmente alla sua dissoluzione o finisce nel terrore? Emuli dei vostri antenati, voi dovete dunque rifulgere innanzi al popolo con la luce della vostra vita spirituale, con lo splendore della vostra inconcussa fedeltà verso Cristo e la Chiesa. “Fra quelle tradizioni, annoverate altresì l'onore inviolato di una vita coniugale e familiare profondamente cristiana. Da tutti i paesi, almeno da quelli della civiltà occidentale, sale il grido di angoscia del matrimonio e della famiglia, così straziante che non è possibile di non udirlo. Anche qui con tutta la vostra condotta mettetevi alla testa del movimento di riforma e di restaurazione del focolare domestico. “Fra le stesse tradizioni computate inoltre quella di essere per il popolo, in tutte le funzioni della vita pubblica a cui potreste essere chiamati, esempi viventi d'inflessibile osservanza del dovere, uomini imparziali e disinteressati, che, liberi da ogni disordinata brama di ambizione o di lucro, non accettano un posto se non per servire la buona causa, uomini coraggiosi, non timidi né per perdita di favore dall'alto, né per minacce dal basso. “Fra le medesime tradizioni ponete infine quella di un calmo e costante attaccamento a tutto ciò che l'esperienza e la storia hanno convalidato e consacrato, quella di uno spirito inaccessibile all'agitazione irrequieta e alla cieca bramosia di novità che caratterizzano il nostro tempo, ma insieme largamente aperto a tutte le necessità sociali. Fortemente convinti che soltanto la dottrina della Chiesa può portare efficace rimedio ai mali presenti, abbiate a cuore di aprirle la via, senza riserve o diffidenze egoistiche, con la parola e con l'opera, in particolar modo costituendo nell'amministrazione dei vostri beni veri modelli di aziende dal lato tanto economico che sociale. Un vero gentiluomo non presta mai il suo concorso a intraprese, che non possono sostenersi e prosperare se non con danno del bene comune, con detrimento o con la rovina delle persone di condizione modesta. Al contrario, egli porrà il suo vanto nell'essere dalla parte dei piccoli, dei deboli, del popolo, di coloro che, esercitando un onesto mestiere, guadagnano il pane col sudore della fronte. Così voi sarete veramente una élite; così compirete il vostro dovere religioso e cristiano; così servirete nobilmente Iddio e il vostro Paese. “Possiate, diletti figli e figlie, con le vostre grandi tradizioni, con la cura del vostro progresso e della vostra perfezione personale, umana e cristiana, coi vostri servigi amorevoli, con la carità e la semplicità delle vostre relazioni con tutte le classi sociali, aiutare il popolo a raffermarsi sulla pietra fondamentale, a cercare il regno di Dio e la sua giustizia” (8). b) Come deve la nobiltà svolgere la sua missione dirigente Nell'esercizio di questa missione direttiva, la Nobiltà dovrà tener presente che la varietà di funzioni dirigenti è naturalmente molto ampia: “In una società progredita, come la nostra, che dovrà essere restaurata, riordinata dopo il grande cataclisma, l'ufficio di dirigente è assai vario: dirigente è l'uomo di Stato, di governo, l'uomo politico; dirigente l'operaio, che senza ricorrere alla violenza, alle minacce, alla propaganda insidiosa, ma col suo proprio valore, ha saputo acquistare autorità e credito nella sua cerchia; dirigenti, ciascuno nel suo campo, l'ingegnere e il giureconsulto, il diplomatico e l'economista, senza i quali il mondo materiale, sociale, internazionale, andrebbe alla deriva; dirigenti il professore universitario, l'oratore, lo scrittore, che mirano a formare e guidare gli spiriti; dirigente l'ufficiale, che infonde nell'animo dei suoi militi il senso del dovere, del servizio, del sacrificio; dirigente il medico nell'esercizio della sua missione salutare; dirigente il sacerdote che addita alle anime il sentiero della luce e della salvezza, comunicando loro gli aiuti per camminarvi e avanzare sicuramente” (9). La nobiltà e le élites tradizionali hanno la funzione di partecipare a questa direzione, non in un unico settore, ma, con uno spirito tradizionale e specifico, e in modo esimio, in qualsiasi settore conveniente: “Qual'è in questa molteplicità di direzioni, il vostro posto, il vostro ufficio, il vostro dovere? Esso si presenta in un duplice aspetto: ufficio e dovere personale, per ognuno di voi, ufficio e dovere della classe a cui appartenete. “Il dovere personale richiede che voi, con la vostra virtù, con la vostra applicazione, vi studiate di divenire dirigenti nella vostra professione. Ben sappiamo infatti che la gioventù odierna del vostro nobile ceto, consapevole dell'oscuro presente e dell'ancor più incerto avvenire, è pienamente persuasa che il lavoro è non solo un dovere sociale, ma anche una garanzia individuale di vita. E Noi intendiamo la parola professione nel senso più largo e comprensivo, come avemmo già ad indicare lo scorso anno; professioni tecniche o liberali, ma anche attività politiche, sociali, occupazioni intellettuali, opere d'ogni sorta, amministrazione oculata, vigilante, laboriosa, delle vostre sostanze, delle vostre terre, secondo i metodi più moderni e più sperimentali di coltura, per il bene materiale, morale, sociale, spirituale, dei coloni e delle popolazioni, che vivono in esse. In ciascuna di queste condizioni voi dovete porre ogni cura per ben riuscire come dirigenti, sia a causa della fiducia che mettono in voi coloro i quali sono rimasti fedeli alle sane e vive tradizioni, sia a ragione della diffidenza di molti altri, diffidenza che voi dovete vincere, guadagnandovi la stima e il rispetto loro, a forza di eccellere in tutto nel posto in cui vi trovate, nell'attività che esercitate, qualunque sia la natura di quel posto o la forma di quell'attività” (10). Più precisamente, il nobile deve comunicare a tutto quanto fa le rilevanti qualità umane che la sua tradizione gli offre. “In che cosa deve dunque consistere questa vostra eccellenza di vita e di azione, e quali sono i suoi caratteri principali? “Essa si manifesta innanzitutto nella finitezza dell'opera vostra, sia essa tecnica o scientifica o artistica o altra simile. L'opera delle vostre mani e del vostro spirito deve avere quell'impronta di squisitezza e di perfezione, che non si acquista dall'oggi al domani, ma che riflette la finezza del pensiero, del sentimento, dell'anima, della coscienza, ereditata dai vostri maggiori e incessantemente fomentata dall'ideale cristiano. “Essa si palesa altresì in ciò che può chiamarsi l'umanesimo, vale a dire la presenza, l'intervento dell'uomo completo in tutte le manifestazioni della sua attività anche speciale, in tal guisa che la specializzazione della sua competenza non sia mai un'ipertrofia, non atrofizzi mai né veli la cultura generale, a quel modo che in una frase musicale la dominante non deve rompere l'armonia né opprimere la melodia. “Essa si mostra inoltre nella dignità di tutto il portamento e di tutta la condotta, dignità però non imperiosa, e che lungi dal dare rilievo alle distanze, non le lascia, al bisogno, trasparire che per ispirare agli altri una più alta nobiltà di animo, di spirito e di cuore. “Essa apparisce infine soprattutto nel senso di elevata moralità, di rettitudine, di onestà, di probità, che deve informare ogni parola e ogni atto” (11). Ma tutta la finezza aristocratica, in sé così degna di ammirazione, sarebbe inutile e perfino nociva se non si fondasse su un alto senso morale: “Una società immorale o amorale, che non sente più nella sua coscienza e non dimostra più nelle sue azioni la distinzione tra il bene e il male, che non inorridisce più allo spettacolo della corruzione, che la scusa, che vi si adatta con indifferenza, che la accoglie con favore, che la pratica senza turbamento né rimorso, che la ostenta senza rossore, che vi si degrada, che deride la virtù, è sul cammino della sua rovina. (...) “Ben altra è la vera gentilezza: essa fa risplendere nelle relazioni sociali una umiltà piena di grandezza, una carità ignara di ogni egoismo, di ogni ricerca del proprio interesse. Noi non ignoriamo con quale bontà, dolcezza, dedizione, abnegazione, molti e specialmente molte di voi, in questi tempi di infinite miserie ed angosce, si sono chinati sugl'infelici, hanno saputo irradiare intorno a sé, in tutte le forme più progredite e più efficaci, la luce del loro caritatevole amore. E questo è l'aspetto della vostra missione” (12). “Umiltà piena di grandezza”... Ammirevole espressione, opposta tanto allo stile futile da jet-set, quanto alla volgarità delle maniere, delle forme di vita, del modo di essere cosiddetti “democratici” e “moderni” attualmente in voga. c) Le élites di formazione tradizionale hanno una visione particolarmente acuta del presente Un nobile, dotato di uno spirito profondamente tradizionale, può attingere, dall'esperienza del passato che in lui vive, i mezzi per conoscere meglio di molti altri i problemi del presente. Ben lungi dall'essere una persona situata al margine della realtà, la può “ascoltare” in maniera sottile e profonda: “Vi sono mali della società, non altrimenti che degli individui. Fu un grande avvenimento nella storia della medicina, quando un giorno il celebre Laennec, uomo di genio e di fede, chinò ansiosamente sul petto dei malati, armato dello stetoscopio da lui inventato, ne faceva l'ascoltazione, distinguendo e interpretando i più leggeri soffi, i fenomeni acustici appena percettibili dei polmoni e del cuore. Non è forse una funzione sociale di prim'ordine e di alto interesse quella di penetrare in mezzo al popolo e di ascoltare le aspirazioni e il malessere dei contemporanei, di sentire e discernere i battiti dei loro cuori, di cercare rimedio ai mali comuni, di toccarne delicatamente le piaghe per guarirle e salvarle dall'infezione, possibile a sopravvenire per difetto di cure, schivando di irritarle con un contatto troppo rude? “Comprendere, amare nella carità di Cristo il popolo del vostro tempo, dar prova coi fatti di questa comprensione e di questo amore: ecco l'arte e il modo di fare quel maggior bene che è da voi, non solo direttamente a coloro che vi stanno intorno, ma in una sfera quasi senza limiti, allorché la vostra esperienza diviene un beneficio per tutti. E in questa materia, quali magnifiche lezioni danno tanti nobili spiriti ardentemente e alacremente tesi a diffondere e suscitare un ordine sociale cristiano!” (13). Come si vede, l'aristocratico autentico e quindi genuinamente tradizionale, mantenendosi tale, può e deve, basandosi sulla Fede, amare il popolo ed esercitare su esso un'influenza veramente cristiana.
San Luigi Gonzaga, del casato dei duchi sovrani di Mantova, mentre lava i piedi ai malati di Roma dopo il suo ingresso nella Compagnia di Gesù in quadro che si conserva nelle stanze da lui occupate al Collegio Romano. d) L'aristocratico autenticamente tradizionale, immagine della divina Provvidenza Ma, ci si domanderà, introducendosi nei posti direttivi della vita attuale, la nobiltà non finirebbe col volgarizzarsi? E il suo amore per il passato non costituirebbe un ostacolo all'esercizio delle attività attuali? A questo riguardo ha insegnato Pio XII: “Non meno offensivo per voi, non meno dannoso per la società, sarebbe il pregiudizio malfondato ed ingiusto, il quale non dubitasse di far credere e insinuare che il patriziato e la nobiltà verrebbero meno al proprio onore e alla dignità del proprio grado col tenere e praticare funzioni ed uffici, che li mettessero al fianco dell'attività generale. È ben vero che in tempi antichi l'esercizio delle professioni non si reputava ordinariamente degno dei nobili, eccettuata quella delle armi; ma anche allora non pochi di loro, appena la difesa armata li rendeva liberi, non esitavano di darsi ad opere d'intelletto o al lavoro delle loro mani. Oggidì poi, nelle mutate condizioni politiche e sociali, non è raro di trovare nomi di grandi famiglie associati ai progressi della scienza, dell'agricoltura, dell'industria, della pubblica amministrazione, del governo; tanto più perspicaci osservatori del presente e sicuri e arditi pionieri dell'avvenire, quanto più con mano salda stanno fermi al passato, pronti a trarre vantaggio dall'esperienza dei loro antenati, presti a guardarsi dalle illusioni o dagli errori, che furono già cagione di molti passi falsi e nocivi. “Custodi come volete essere della vera tradizione, che onora le vostre famiglie, spetta a voi l'ufficio e il vanto di contribuire alla salvezza della convivenza umana, preservandola sia dalla sterilità a cui la condannerebbero i contemplatori malinconici troppo gelosi del passato, sia dalla catastrofe a cui l'avvierebbero e la condurrebbero i temerari avventurieri o i profeti allucinati di un fallace e menzognero avvenire. Nell'opera vostra apparirà sopra di voi e in voi quasi l'immagine della Provvidenza divina, che con forza e dolcezza dispone e dirige tutte le cose verso il loro perfezionamento (Sap.8,I) finché la follia dell'orgoglio umano non intervenga ad attraversare i suoi disegni, sempre però d'altra parte superiori al male, al caso e alla fortuna. Con tale azione voi sarete anche preziosi collaboratori della Chiesa, che, pur in mezzo alle agitazioni e ai conflitti, non cessa di promuovere il progresso spirituale dei popoli, città di Dio sulla terra che prepara la città eterna” (14). e) Missione dell'aristocrazia presso i poveri Questa partecipazione alla direzione della società comprende il duplice carattere educativo e caritativo dell'azione delle élites tradizionali descritto mirabilmente in questi due passi di Pio XII: “Ma, come ogni ricco patrimonio, anche questo porta con sé stretti doveri, tanto più stretti, quanto più esso è ricco. Due soprattutto: “1) il dovere di non sperperare simili tesori, di trasmetterli intatti, accresciuti anzi, se è possibile, a coloro che verranno dopo di voi; di resistere perciò alla tentazione di non vedere in essi che un mezzo di vita più facile, più piacevole, più squisita, più raffinata; “2) il dovere di non riservare per voi soli quei beni, ma di farne largamente profittare coloro che sono stati meno favoriti dalla Provvidenza. “La nobiltà della beneficenza e delle virtù, diletti figli e figlie, è stata essa pure conquistata dai vostri maggiori. E ne sono testimoni i monumenti e le case, gli ospizi, i ricoveri, gli ospedali di Roma, dove i loro nomi e il loro ricordo parlano della loro provvida e vigile bontà verso gli sventurati e i bisognosi. Noi ben capiamo che nel patriziato e nella nobiltà romana non è tenuta meno, per quanto le facoltà di ciascuno lo permettono, questa gioia e gara di bene. Ma nella presente ora penosa, in cui il cielo è turbato da vigilate sospettose notti, l'animo vostro, mentre osserva nobilmente una serietà, vorremmo anzi dire una austerità di vita, che esclude ogni leggerezza e ogni frivolo piacere, incompatibili per ogni cuore gentile col lo spettacolo di tante sofferenze, sente ancor più vivo l'impulso della carità operosa che vi sospinge a crescere e moltiplicare i meriti già da voi acquistati nel sollievo delle miserie e della povertà umana” (15).
L'antica Santissima Trinità dei Pellegrini dove fino al secolo XIX si vedevano cardinali e principi lavare i piedi agli umili pellegrini appena arrivati all'urbe mentre le nobildonne servivano a tavola. Sopra: facciata della chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini, a Roma. Questa chiesa ebbe un grandissimo ospizio annesso (foto sotto), costruito nel 1625 per consentire l'assistenza ai pellegrini durante il Giubileo di quell'anno.
3. Le guide assenti - il male dell'assenza a) Assenteismo e omissione: peccati delle élites Una tendenza, purtroppo non così rara fra i componenti della nobiltà e delle élites tradizionali del nostro tempo, consiste nell'isolarsi dagli avvenimenti. Pensando di essere al riparo dalle vicissitudini in virtù di una sicura situazione patrimoniale, assorti nel ricordo dei giorni che furono, parecchi di loro si allontanano dalla vita reale, si chiudono in se stessi e lasciano trascorrere i giorni e gli anni in una vita spensierata, spenta e senza scopi terreni precisi. Si cerchino i loro nomi nei campi dell'apostolato, delle attività caritatevoli, della diplomazia, della vita universitaria, della politica, delle arti, delle armi, dell'economia: invano. Eccettuati certi casi, più o meno rari secondo i luoghi e i tempi, saranno assenti. Perfino nella vita sociale, nella quale pure sarebbe naturale brillare, il loro ruolo a volte è nullo. Può accadere che, nell'ambito di un Paese, di una provincia, di una città, tutto avvenga come se non esistessero. Come mai quest'assenteismo? Per via di un insieme di qualità e di difetti. Si esamini da vicino la vita di queste élites: essa è il più delle volte dignitosa, onesta, perfino esemplare, poiché si ispira alle nobili memorie di un passato profondamente cristiano. Tuttavia questo passato sembra non aver più significato se non per se stessi. Si attaccano dunque ad esso con un'ostinazione minuziosa estraniandosi dalla vita presente. Non si accorgono che, nel cumulo di reminiscenze di cui vivono, vi sono cose che non possono essere adatte ai nostri giorni (16). Eppure, questo passato emana valori, ispirazioni, tendenze, direttive che potrebbero influenzare favorevolmente e a fondo le “assai diverse forme di vita” del “nuovo capitolo [che] è stato aperto” (17). Questo prezioso complesso di valori spirituali, morali, culturali e sociali - di grande importanza sia nella sfera pubblica che in quella privata - questa vita, che nasce dal passato e deve orientare il futuro, è la tradizione. Conservando perennemente questo valore inestimabile, la Nobiltà e le élites analoghe devono svolgere un'azione di presenza profonda e con direttiva nella società per assicurarne il bene comune. b) Assenteismo delle élites: una potenziale complicità Si capiscono quindi, ancora meglio, le responsabilità derivanti dall'omissione compiuta da quelle élites che sono perennemente assenti: “Meno malagevole è oggi invece di determinare, fra i differenti modi che si offrono a voi, quale debba essere la vostra condotta. “Il primo di tali modi è inammissibile; è quello del disertore, di colui che fu ingiustamente chiamato l'Emigré à l'intérieur; è l'astensione dell'uomo imbronciato o corrucciato, che, per dispetto o per scoraggiamento, non fa alcun uso delle sue qualità e delle sue energie, non partecipa ad alcuna delle attività del suo Paese e del suo tempo, ma si ritira – come il Pelide Achille (18) nella sua tenda, presso alle navi del rapido tragitto, lontano dalle battaglie, - mentre sono in giuoco i destini della patria. “Anche men degna è l'astensione, quando è l'effetto di una indifferenza indolente e passiva. Peggiore, infatti, del cattivo umore, del dispetto e dello scoraggiamento, sarebbe la noncuranza di fronte alla rovina, in cui fossero per cadere i propri fratelli e il proprio popolo. Invano essa tenderebbe di celarsi sotto la maschera della neutralità; essa non è punto neutrale; è, volere o no, complice. Ciascuno dei fiocchi leggieri, che riposano dolcemente sul pendio della montagna e l'adornano della loro bianchezza, contribuisce, mentre si lascia trascinare passivamente, a far della piccola massa di neve, staccatasi dalla vetta, la valanga che porta il disastro nella valle e vi abbatte e vi seppellisce le tranquille dimore. Soltanto il saldo blocco, che fa corpo con la roccia fondamentale, oppone alla valanga una resistenza vittoriosa, e può arrestarne o almeno frenarne la corsa devastatrice. “In tal guisa l'uomo giusto e fermo nel suo proposito di bene, di cui parla Orazio in una celebre Ode (Carm, III, 3), che non si lascia scuotere nel suo incrollabile pensiero né dal furore dei cittadini, che danno ordini delittuosi, né dal cipiglio minaccioso del tiranno, rimane impavido, anche se l'universo cadesse in frantumi sopra di lui: 'si fractus inlabatur orbis, impavidum ferient ruinae'. Ma se quest'uomo giusto e forte è un cristiano, non si contenterà di restare ritto, impassibile, in mezzo alle rovine; egli si sentirà in dovere di resistere e d'impedire il cataclisma, o almeno di limitare i danni. Che se non potrà contenerne l'opera distruttrice, egli sarà ancora là per ricostruire l'edificio abbattuto, per seminare il campo devastato. Tale conviene che sia la vostra condotta. Essa consiste - senza dover rinunziare alla libertà delle vostre convinzioni e dei vostri giudizi sulle umane vicissitudini - nel prendere l'ordine contingente delle cose tale quale è, e nel dirigere la sua efficienza verso il bene, non tanto di una determinata classe, quanto della intera comunità” (19). Come si vede, in queste ultime parole il Papa insiste sul principio secondo cui l'esistenza di una élite tradizionale corrisponde all'interesse dell'intero corpo sociale, purché essa compia il suo dovere.
4. Altro modo di rifiutare la propria missione: lasciarsi corrompere e deteriorare Tuttavia, la nobiltà e le élites tradizionali possono peccare contro la loro missione anche lasciandosi guastare dall'empietà e dall'immoralità: “L'alta società francese del secolo decimottavo ne fu, fra molti altri, un tragico esempio. Mai società non fu più raffinata, più elegante, più brillante, più affascinatrice. I godimenti più svariati dello spirito, una intensa coltura intellettuale, un'arte finissima di piacere, una squisita delicatezza di maniere e di linguaggio, dominavano in quella società esternamente così cortese ed amabile, ma ove tutto - libri, racconti, figure, arredi, abbigliamenti, acconciature - invitava ad una sensualità che penetrava nelle vene e nei cuori, ove la stessa infedeltà coniugale non sorprendeva né scandalizzava quasi più. Così essa lavorava alla sua propria decadenza e correva verso l'abisso scavato con le sue stesse mani” (20). Nel corrompersi in questo modo, la nobiltà e le élites tradizionali esercitano un'azione tragicamente distruttiva sulla società, che dovrebbe vedere in esse un esempio e un incentivo alla pratica delle virtù e al bene. Esse quindi hanno il dovere della riparazione in questa crisi contemporanea, tenendo presente questa azione distruttiva esercitata nel passato e nel presente. La storia è fatta principalmente dalle élites. Perciò, se l'azione della nobiltà cristiana è stata altamente benefica, la sua paganizzazione è stata uno dei punti di partenza della catastrofica crisi contemporanea: “Conviene tuttavia ricordare che tale cammino verso la incredulità e la irreligione ebbe il suo punto di partenza non dal basso, ma dall'alto, vale a dire dalle classi dirigenti, dai ceti elevati, dalla nobiltà, da pensatori e filosofi. Non intendiamo qui di parlare - notate bene - di tutta la nobiltà, e ancor meno della nobiltà romana, la quale largamente si distinse per la sua fedeltà alla Chiesa e a questa Sede Apostolica (...), ma, in generale, della nobiltà in Europa. Negli ultimi secoli non si rileva forse nell'occidente cristiano una evoluzione spirituale, che, per così dire, orizzontalmente e verticalmente, in larghezza e in profondità, sempre più veniva demolendo e scalando la fede, conducendo a quella rovina, che presentano oggi moltitudini di uomini senza religione od ostili alla religione, o almeno animati e traviati da intimo e mal concepito scetticismo verso il soprannaturale e il cristianesimo? “Avanguardia di questa evoluzione fu la cosiddetta Riforma protestante, nelle cui vicende e guerre una gran parte della nobiltà europea si staccò dalla Chiesa cattolica e se ne appropriò i beni. Ma la incredulità propriamente si diffuse nei tempi che precedettero la rivoluzione francese. Gli storici notano che l'ateismo, anche sotto la lustra di deismo, si era allora propagato rapidamente nell'alta società in Francia e altrove: credere in Dio creatore e redentore era divenuto, in quel mondo dedito a tutti i piaceri dei sensi, quasi cosa ridicola e disdicevole a spiriti colti e avidi di novità e di progresso. “Nella maggior parte dei 'saloni' delle più grandi e raffinate dame, ove si agitavano i più ardui problemi di religione, di filosofia, di politica, letterati e filosofi, fautori di dottrine sovvertitrici, erano considerati come il più bello e ricercato ornamento di quei ritrovi mondani. L'empietà era di moda nell'alta nobiltà, e gli scrittori più in voga nei loro attacchi contro la religione sarebbero stati meno audaci, se non avessero avuto il plauso e l'incitamento della società più elegante. Non già che la nobiltà e i filosofi; si proponessero tutti e direttamente come scopo lo scristianamento delle masse. Al contrario, la religione avrebbe dovuto rimanere per il popolo semplice, come mezzo di governo in mano dello Stato. Essi però si sentivano e stimavano superiori alla fede e ai suoi precetti morali: politica ben presto dimostrata si funesta e di corta veduta, anche a chi la considerasse dall'aspetto puramente psicologico. “Con rigore di logica, potente nel bene, terribile nel male, il popolo sa tirare le conseguenze pratiche dalle sue osservazioni e dai suoi giudizi, fondati o erronei che siano. Prendete in mano la storia della civiltà negli ultimi due secoli: essa vi palesa e dimostra quali danni alla fede e ai costumi dei popoli abbiano prodotti il cattivo esempio che scende dall'alto, la frivolezza religiosa delle classi elevate, l'aperta lotta intellettuale contro la verità rivelata” (21).
5. Nel campo dell'apostolato, l'opzione preferenziale per i nobili è finalizzata al bene comune della società Oggi molto si parla dell'apostolato in favore delle masse e, come suo giusto corollario, di un'azione preferenziale per le loro necessità materiali. È bene però non essere unilaterali in questo campo, per non perdere mai di vista l'alta importanza dell'apostolato sulle élites e, mediante queste, sull'intero corpo sociale; come pure, in modo analogo, l'importanza di un'opzione apostolica preferenziale per i nobili. In questo modo, con grande vantaggio per la concordia sociale, si completano armonicamente un'opzione preferenziale per i poveri e un'opzione preferenziale per i nobili, come per tutte le élites analoghe. Così si esprime Pio XII: “Ora che cosa conviene dedurre da questi insegnamenti della storia? Che oggidì la salvezza deve prendere le mosse di là, donde il pervertimento ebbe la sua origine. Non è per sé difficile di mantenere nel popolo la religione e i sani costumi, quando le classi alte lo precedono col loro buon esempio e creano le condizioni pubbliche, che non rendano grave oltre misura la formazione della vita cristiana, ma la promuovano imitabile e dolce. Non è forse tale anche il vostro ufficio, diletti figli e figlie, che per la nobiltà delle vostre famiglie, e per le cariche che non di rado occupate, appartenete alle classi dirigenti? La grande missione, che a voi, e con voi a non pochi altri, è assegnata, - di cominciare cioè con la riforma o il perfezionamento della vita privata, in voi stessi e nella vostra casa, e di adoperarsi poi, ciascuno al suo posto e per la sua parte, a far sorgere un ordine cristiano nella vita pubblica, - non permette dilazione o ritardo. Missione questa nobilissima e ricca di promesse. In un momento in cui, come reazione contro il materialismo devastante e avvilente, si viene rivelando nelle masse una nuova sete dei valori spirituali, e contro l'incredulità una fortissima apertura degli animi verso le cose religiose; manifestazioni le quali lasciano sperare essere ormai superato e oltrepassato il punto più profondo del decadimento spirituale. A voi quindi spetta con la luce e l'attrattiva del buon esempio, elevantesi sopra ogni mediocrità, non meno che con le opere, il vanto di collaborare affinché quelle iniziative e quelle aspirazioni di bene religioso e sociale siano condotte al loro felice adempimento” (22). L'apostolato specifico sulla nobiltà e sulle élites tradizionali continua ancor oggi, quindi, ad essere fra i più importanti. Note: 1) PNR 1952, p. 458. 2) PNR 1952, p. 458. 3) PNR 1948, pp. 423-424. 4) PNR 1949, pp. 346-347. 5) Si veda al riguardo l'omelia di san Carlo Borromeo in Documenti IV, 8. 6) PNR 1945, p. 277. 7) PNR 1946, p. 340; Cfr. Capitolo III. 8) PNR 1946, pp. 341-342. 9) PNR 1945, pp. 274-275. 10) PNR 1945, pp. 275-276. 11) PNR 1945, p. 276. 12) PNR 1945, pp. 276-277. 13) PNR 1944, pp. 180-181. 14) PNR 1944, pp. 181-182. 15) PNR 1941, pp. 364-365. 16) “Una pagina della storia è stata voltata; un capitolo è stato chiuso; è stato messo il punto, che indica il termine di un passato sociale ed economico”, avvertì Pio XII (PNR 1952, p. 457). 17) PNR 1952, p. 457. 18) Secondo la narrazione di Omero nell'Iliade, Achille, il più celebre degli eroi della guerra di Troia, incolleritosi contro Agamennone, che capeggiava l'esercito greco, si ritirò nella sua tenda, provocando quasi la sconfitta nella guerra. 19) PNR 1947, pp. 368-369. 20) PNR 1945, pp. 276-277. 21) PNR 1943, pp. 358-360. 22) PNR 1943, pp. 360-361. |