Conferenza straordinaria pronunciata il 15 gennaio 1964
Trascrizione del testo verbale, non rivista dall’Autore, conservandone lo stile oratorio
di Plinio Corrêa de Oliveira
Caricatura raffigurante un tipico borghese decadente
Riassunto: La falsa idea della fatalità secondo cui il male vince sempre * Ne deriva la sbagliata conclusione secondo cui bisogna cedere qualcosa per non perdere tutto * È necessario un cambiamento negli strati più profondi dell’anima umana * La Rivoluzione ha preparato la degradazione dell’Occidente usando metodi speciali, tutti basati sul principio secondo cui, per condurre l’uomo all’errore, bisogna fomentare le passioni * Oggi ci troviamo nel momento migliore mai accaduto per fare la Contro-Rivoluzione * Dobbiamo seguire Nostro Signore Gesù Cristo con uno spirito di sacrificio, di rinuncia, di compimento del dovere, opposto a tutto quanto finora è stato fatto; da uomini impregnati di questo spirito sorgerà l’alba di un nuovo Medioevo.
* * *
In questo lavoro, cercheremo di sviluppare e applicare concretamente alcuni dei principi contenuti nel saggio Rivoluzione e Contro-Rivoluzione.
La fatalità storica della Rivoluzione
Quando ci troviamo di fronte alle rivoluzioni e agli eventi odierni, proviamo una strana sensazione, perché abbiamo l’impressione che una sorta di fatalità storica, un doloroso fatto compiuto, opprima la buona causa dei nostri giorni. Ogni volta che c’è una lotta tra buoni e cattivi, vediamo i buoni perdere terreno. Ogni volta che questa lotta si svolge tra rivoluzionari e contro-rivoluzionari, i primi vincono, se non sempre, almeno nella grande maggioranza dei casi.
Generalmente, le elezioni danno la vittoria ai sinistrorsi, e quando non la danno, la sinistra finisce per trarne profitto, anche se non ha vinto. Di solito, i grandi uomini, le grandi personalità, gli autori di alto profilo sono di sinistra.
Il corso degli avvenimenti politici va gradualmente favorendo la sinistra. Per esempio, quando un americano e un russo si incontrano, il russo ha posizioni di sinistra e – per quanto sia paradossale – l’americano ha posizioni di destra. Orbene, non accade incontro internazionale tra i due, nel quale i russi non ottengano vantaggio e gli americani invece svantaggio.
E così, si potrebbero moltiplicare i fatti che indicano che una sorta d’inesorabile destino sembra pesare sulla buona causa ai nostri giorni.
Per esempio, i partiti conservatori – ai quali va ovviamente tutta la nostra simpatia – oggi danno l’impressione di comportarsi come un albero tropicale, ad esempio quello amazzonico della gomma, che venga coltivato in Alaska. Il clima è così ostile, le circostanze, l’ambiente, insomma tutto è così avverso, che si ha l’impressione che l’albero, pur lottando contro il clima, stia però inesorabilmente arrancando, esaurendo le forze vitali, tanto da temere che, a un certo punto, esso finirà col cedere.
Inevitabilità delle tre rivoluzioni
Questo fenomeno è molto antico. Quando studiamo la storia, dal termine dell’epoca medioevale fino ai giorni nostri, quando ci mettiamo nella prospettiva delle tre Rivoluzioni – ossia il Protestantesimo, la Rivoluzione francese e il Comunismo – abbiamo sempre l’impressione che la situazione fosse così nera che la rivoluzione era inevitabile.
Per esempio, quando scoppiò il Protestantesimo, il clima era già così ostile alla Chiesa cattolica, che il legato pontificio in Germania, in occasione dell’apostasia di Lutero, scrisse una lettera al Papa in cui diceva: “Santo Padre, il novantacinque per cento dei tedeschi gridano: viva Lutero!” Questo era il quadro in Germania quando il luteranesimo esplose.
All’epoca della Rivoluzione francese, l’impressione era la stessa. Quando si analizza un’immagine di Luigi XVI in tutto lo sfarzo della sua maestà regale, con la sicurezza che si addice a un re, splendente di gioielli, in un abbigliamento così fastoso, si ha l’impressione di un monarca di grande potere, saldamente insediato sul suo trono. Eppure, quando si studia la Rivoluzione Francese, la prima impressione che si ha è che, quando Luigi XVI salì al trono vent’anni prima della Rivoluzione, questa era già più o meno inevitabile.
Quando si studiano questi eventi politici e ci si chiede cosa si sarebbe potuto fare per evitare la Rivoluzione, si giunge alla conclusione secondo cui, forse, l’unica soluzione possibile era la “famosa” tattica di fare la Rivoluzione dall’alto prima che fosse fatta dal basso.
Ma, se la Rivoluzione non dev’essere fatta, che uno la faccia dall’alto prima che altri la facciano dal basso sarebbe come come suicidarsi per paura di essere ucciso!
Immaginiamo che domani sorga il pericolo di una rivoluzione comunista in Brasile. Consigliare di realizzare il Comunismo per evitare una rivoluzione comunista, sarebbe commettere quello stesso errore. Non si può dire a qualcuno di fare il male perché non lo faccia qualcun altro.
Abbiamo percepito questa situazione d’inevitabilità durante la rivoluzione comunista in Russia. Cioè, quando studiamo la situazione dello zarismo e lo scoppio del Comunismo, abbiamo anche qui l’impressione che la pressione delle circostanze fosse tale che lo zarismo doveva necessariamente cadere. Esso era condannato, una sorta di fatalità v’incombeva.
La politica delle concessioni: “cedere per non perdere”
Quando analizziamo l’attuale scontro tra comunisti, abbiamo la stessa impressione. Innumerevoli persone si presentano dicendo: “Presto o tardi, il comunismo dovrà pur vincere; quindi, facciamogli delle concessioni per evitare che vinca presto; facendogli alcune concessioni, forse non si arrabbierà troppo e arriverà più lentamente, perché arriverà comunque”.
Così accadrebbe con la rivoluzione socialista o comunista. Oggi si concede questo, domani anche quello, poi molto altro. Alla fine, si sarà concesso così tanto che, a forza di cedere qualcosa, si avrà abbandonato tutto. Se ho una pagnotta e ne do prima un pezzo, poi un altro, poi un altro ancora, presto essa non esisterà più: sarà stata mangiata tutta.
Questa convinzione di dover cedere è un riflesso della convinzione secondo cui la partita è persa in partenza, per cui non c’è altro rimedio che arrendersi. In São Paulo ci sono molti agricoltori, commercianti e industriali che pensano che la cosa migliore da fare sia cedere e poi ancora cedere, finché non arriva il momento finale in cui non c’è più alcuna opposizione possibile.
Conoscere le ragioni profonde di questa apparente inevitabilità
Ora poniamoci da questo punto di vista: data la situazione, chiediamoci se questo “fato” o “destino” esista davvero.
Se esiste, dobbiamo chiederci per quale ragione, ogni volta che una grande rivoluzione appare sulla scena, la situazione sembra già mezzo perduta per coloro che rappresentano la buona causa.
Qual è la ragione di fondo di tutto ciò? Deve pur essercene una e noi dobbiamo analizzarla, perché l’unico modo in cui possiamo combattere bene è quello di conoscere la natura di questo fenomeno per opporglisi. Finché non ci rendiamo conto della sua natura e non ci opponiamo ad essa, combatteremo in modo inefficace.
Se osserviamo il movimento cattolico brasiliano nel suo insieme, possiamo vedervi cose splendide. Il numero delle opere cattoliche si sta moltiplicando enormemente, esse fanno un gran bene, aiutano molti malati, sostengono molti indigenti, diffondono l’istruzione religiosa. Il bene che fanno è così grande che non si potrebbe immaginare il Brasile senza di loro, perché impediscono il crollo di un muro che ancora regge.
Tuttavia, sebbene sia vero che queste opere fanno un bene enorme, dobbiamo ammettere che il processo di paganizzazione del Brasile – ossia la paganizzazione delle idee, dei costumi e delle istituzioni – non per questo si ferma del tutto; anzi, il Brasile sta gradualmente paganizzandosi. Possiamo quindi concluderne che quelle opere fanno un gran bene, ma questo bene non è grande quanto le circostanze richiedono. Bisogna fare di più. Ma cosa si deve fare di più? Quale livello si dovrebbe raggiungere?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo conoscere le ragioni profonde di questo processo di paganizzazione, di questo processo di rivoluzione, qual è il gioco delle anime, qual è il movimento profondo degli spiriti, quali sono gli organismi che muovono il processo in questo modo. Allora, conoscendo il nemico e le sue manovre, saremo in grado non solo di fare il bene, ma anche di combattere efficacemente il male. Infatti, non basta fare il bene; dobbiamo anche combattere il male.
Costruire con una mano e combattere con l’altra
Quando, una volta finita la prigionia babilonese, si ricostruì città di Gerusalemme fu ricostruita, la Bibbia racconta che gli operai che vi lavoravano costruivano con una mano e con l’altra impugnavano la spada per combattere. Così dovremmo fare anche noi.
Eppure, molte volte, noi costruiamo con entrambe le mani e la spada resta abbandonata. Il risultato è che, mentre costruiamo qui, l’avversario distrugge là. E poiché pensiamo solo alla nostra costruzione, non ci rendiamo conto che il resto dei baluardi è già stato abbattuto e circondato.
È per questo che abbiamo un complesso di opere così straordinario, che però non ferma il processo di paganizzazione. Talvolta, anzi, questo processo di paganizzazione s’infiltra anche nelle nostre opere, e questo sì che è inevitabile.
Immaginiamo il migliore dei sacerdoti, un sant’uomo che fonda una scuola cattolica in una città del Brasile o dell’America spagnola. Può forse impedire che l’influenza del cattivo cinema, della televisione, della radio e dei giornali entri nella sua scuola? Egli forma gli studenti, ma l’ambiente esterno li deforma; di conseguenza, i risultati ottenuti sono molto inferiori a quelli possibili perché, mentre lui costruisce, qualcun altro distrugge. Ora, non basta costruire, bisogna anche saper distruggere.
Parliamo spesso di “costruttivismo”, che è l’abitudine di costruire senza combattere, di fare cose costruttive senza farne di disfattive. Dobbiamo certamente evitare il “distruttivismo”, che è l’abitudine di distruggere senza costruire, ma dobbiamo anche evitare il “costruttivismo”. Dobbiamo lavorare usando una mano per costruire e l’altra per distruggere. Oggi è molto facile trovare cattolici che costruiscono, ma molto difficile trovare cattolici che distruggono.
La mancanza di combattività nel temperamento brasiliano
D’altra parte, la natura dell’anima brasiliana, ereditata dai portoghesi, è fatta di un temperamento dolce e gentile. Per farsi una idea della differenza tra portoghesi e spagnoli, e della conseguente differenza tra portoghesi-americani e ispano-americani, consideriamo un esempio simbolico: la corrida portoghese e quella spagnola.
Nella corrida spagnola, si tratta di una tra il toro e il torero per la vita o per la morte. Il toro vuole eliminare il torero – nella misura in cui si può dire che un animale abbia una volontà – e il torero ha un desiderio positivo di eliminare il toro. Dal canto loro, il pubblico vuole che il torero sopprima il toro, perché non hanno pietà per esso.
Nella corrida portoghese, il pubblico e il torero hanno una certa pena per il toro, e anche il toro non prende molto sul serio la sua lotta con il torero. Si ha perfino l’impressione che il toro portoghese sia meno feroce di quello spagnolo! Inoltre, i portoghesi smussano un po’ le corna dell’animale affinché non ferisca l’uomo. Quindi, questa corrida avviene come tra amici… ben diversamente dal carattere battagliero e distruttivo di quella spagnola.
Quando noi brasiliani cattolici, o brasiliani di qualunque tipo, combattiamo gli uni contro gli altri, il nostro temperamento ci porta a fare sempre una corrida in stile portoghese, la cui caratteristica si può vedere in ogni episodio della nostra storia.
La proclamazione della Repubblica in Brasile nel 1889 ben ci ricorda questo aspetto della vita politica brasiliana e lo stile portoghese delle nostre corride. Per esempio, quando consideriamo come i Francesi fecero la loro Repubblica, quando pensiamo al tipo di repubblicano spagnolo, capace di lanciare bombe al Re Alfonso XIII, e lo confrontiamo con i repubblicani del Brasile, rimaniamo stupiti.
Illustriamo questo con un paragone. Il governo repubblicano depose l’Imperatore brasiliano ma, allo stesso tempo, preoccupato per le condizioni di vita di Pedro II in esilio, provvide una somma di 5.000 contos – qualche miliardo di cruzeiros odierni – affinché egli potesse stabilirsi comodamente in esilio e viverci fino alla fine dei suoi giorni! L’Imperatore ebbe la dignità di rifiutare questa offerta. Ma un simile atteggiamento ci fa capire che razza di repubblicani sono questi che tolgono l’Imperatore dal trono, ma lo aiutano a scendervi perché non si faccia male!
Tutto questo è simile alla corrida portoghese, è l’opposto del principio affermato nella Genesi: “Porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua discendenza e la sua discendenza” (Genesi III, 15).
San Luigi Grignion de Montfort, il grande teologo di Nostra Signora, fa il seguente commento: Nostro Signore disse “Inimicitias ponam”, al plurale, e non “Inimicitiam ponam”; cioè metterò non una sola inimicizia, ma molte inimicizie, una serie d’inimicizie. Essendo stata determinata da Dio, l’inimicizia tra la Madonna e il Serpente è indistruttibile; l’inimicizia tra i figli della luce e quelli delle tenebre è una inimicizia che deve persistere.
Quindi, quando si parla di Brasiliani, dobbiamo rafforzarne, come facciamo in questa conferenza, l’aspetto distruttivo, perché è proprio quello che tendiamo a dimenticare. Noi non insistiamo quasi mai sull’aspetto costruttivo, perché questo è scontato; basta chiudere gli occhi e tutto va costruendosi. Quindi, dobbiamo rimarcare le verità dimenticate, perché quelle ricordate sono già riferite da altri.
Mettiamoci quindi al cospetto del nostro avversario e cerchiamo di capire com’è, come lavora, come ottiene questo formidabile risultato per cui, quando si prepara alla battaglia, l’ha già mezza vinta ancor prima di averla combattuta. Questo è il problema che dobbiamo affrontare nel nostro lavoro.
Agire sullo Stato è molto importante e persino indispensabile, ma è ben lungi dall’essere l’unica e principale misura.
Molti hanno l’impressione che, se creassimo uno Stato interamente cattolico, provvisto di leggi in linea con la Chiesa, avremmo messo un argine a questo fenomeno. Quindi, la nostra azione principale dovrebbe riguardare lo Stato. Dopo averne preso il controllo, lo riformeremmo con buone leggi e il problema sarebbe risolto. Basterebbe solo dotarlo di una buona polizia, che vieterebbe i cattivi film, i cattivi giornali e gl’immorali luoghi di divertimento. Allora, il resto diventerebbe un convento. Le campane della chiesa comincerebbero a suonare, tutti andrebbero devotamente a pregare, i buoni costumi fiorirebbero e il problema sarebbe risolto.
Quindi, la soluzione sarebbe molto semplice: si organizzi un’azione politica che prenda il controllo dello Stato e, con la forza delle leggi e della polizia, si elimini il fermento della distruzione. Così tutto sarà risolto.
Agire sullo Stato è senza dubbio molto importante, anzi è persino indispensabile, ma non è l’unica misura ed è molto lontana da essere quella principale. Oltre e al di sopra dell’agire sullo Stato, c’è un intero ordine di problemi più importanti che dobbiamo considerare.
La prova concreta di ciò si trova in un fatto storico che non può essere negato. Nel XIII secolo, al culmine del Medioevo, la Chiesa aveva tutto, o quasi tutto, per esercitare questo tipo di azione: le leggi erano cattoliche, le istituzioni erano cattoliche, l’azione dello Stato reprimeva le eresie e reprimeva il crimine. Sappiamo che in questo modo fu sconfitta l’eresia albigese; allo stesso modo, il manicheismo fu perseguitato durante il Medioevo. A quell’epoca esisteva un’istituzione, molto calunniata ma splendida: la Santa Inquisizione contro la perfidia degli eretici. Come ogni altra cosa al mondo, essa aveva alcuni abusi, ma l’istituzione era magnifica.
Nonostante che tutto fosse nelle mani dello Stato, e che contemporaneamente due santi, San Luigi re di Francia e San Ferdinando re di Castiglia, governassero due Paesi vicini, due dei principali Paesi dell’Europa dell’epoca, nonostante santi sedessero sul trono d’Inghilterra, su quello del Sacro Romano Impero e su quello dell’Ungheria, nonostante tutto ciò, a un certo punto questa organizzazione cominciò a deteriorarsi.
E quale fu il risultato? Né le leggi né l’autorità pubblica dello Stato furono in grado d’impedire quel crollo che si è protratto fino ad oggi.
Se lo Stato potesse fare tutto, quello che è successo non sarebbe mai potuto accadere. Da questo possiamo dedurre che lo Stato non può fare tutto e che qui dobbiamo considerare un’azione più sottile e più importante di quella statale.
– II –
Vediamo ora la più profonda spiegazione di questi continui fallimenti, che si manifesta nella vittoria delle passioni dell’orgoglio e della sensualità, e analizziamo le enormi trasformazioni accadute nell’anima umana nel corso dei secoli.
Il legame tra le rivoluzioni
Prendendo il problema così com’è stato presentato, dobbiamo porci una domanda. Percorrendo la storia, vediamo che nel 1517 scoppiò la rivoluzione protestante, nel 1789 quella francese e nel 1917 quella russa. A prima vista, chi studia la storia ha l’impressione che si tratti di tre rivoluzioni che non hanno quasi nessun legame tra loro.
Qual è il legame tra queste rivoluzioni? In che modo l’una di esse ha portato all’altra? Quali sono stati i fenomeni che hanno portato a tutto ciò? È questo che dobbiamo studiare.
Quando esaminiamo il declino del Medioevo, notiamo che San Luigi morì nel 1270; quattordici anni dopo, nel 1284, Bonifacio VIII salì sul trono pontificio e morì nel 1303. Dal 1270 al 1303 passano trentatré anni. Dunque, fu questo breve spazio temporale, successivo alla morte di San Luigi, che preparò il famoso episodio noto come “schiaffo di Agnani”. Come avvenne?
Filippo il Bello, nipote di San Luigi IX, occupa il trono di Francia e subito entra in collisione con il Papa, praticamente perché vuole esercitare pieni poteri sul clero francese. Inoltre, sostiene che il Papa non ha giurisdizione universale sulla Cristianità, il che contrasta con la dottrina cattolica.
Quindi, fu una rivolta del re contro il Papa. E così, appena 33 anni dopo la morte di San Luigi, si verificò questo orribile evento: i rappresentanti di Filippo il Bello entrarono nella città di Agnani, dove si trovava Bonifacio VIII, e, dopo aver insultato il Pontefice davanti a una folla inferocita, lo schiaffeggiarono. Poco dopo, Bonifacio VIII, che si era comportato con straordinaria dignità, morì di dolore!
Si trattava di un atteggiamento di rivolta da parte di un re contro un papa, ma dimostrava l’esistenza di un’intera corrente, che esamineremo più avanti, la quale aveva creato il clima favorevole a questa insubordinazione, sebbene ci fosse stato un San Luigi. Ed è l’esistenza di questa corrente che spiega la prima esplosione della Rivoluzione. Qual era questa corrente?
La prima esplosione della Rivoluzione
Nella risposta a questa domanda vedremo come un grande ordine di cose, quale fu il Medioevo, possa morire a causa di piccoli eventi.
Nelle facoltà di diritto dell’epoca, soprattutto a Parigi e a Bologna, si affermarono i legisti, cioè studiosi del diritto romano, probabilmente legati tra loro da qualche associazione segreta, i quali sostenevano che il diritto romano fosse il vero principio dell’organizzazione statale. “Tutto ciò che un principe vuole ha forza di legge”. Essendo assolutisti, si opponevano a qualsiasi struttura medievale, organica e cristiana, e si schieravano in favore di una struttura anorganica e pagana.
Come sappiamo, lo Stato medioevale era composto da organismi, autonomi dal re per tutto ciò che rientrava nella loro sfera, i quali accettavano l’autorità regale solo per le questioni di comune interesse. I legisti invece volevano un ordine di cose in cui il re potesse governare al pari dell’imperatore romano. Pertanto, essi iniziarono a combattere l’influenza della Chiesa, che poneva un limite all’autorità regale. D’altra parte, combatterono pure la nobiltà, perché anch’essa poneva un limite al potere supremo. Si stava quindi tornando allo Stato pagano.
Mentre i legisti si battevano per questo nuovo ordine di cose, essi trovavano orecchie grate e attente nei re.
Il cambiamento di atteggiamento dei re
L’atteggiamento dei re medievali non era stato sempre questo; la causa del loro cambiamento è da ricercare nel fenomeno che ora descriveremo.
Tra i romanzi cavallereschi del tardo Medioevo e quelli del suo periodo di massimo splendore, notiamo una marcata differenza. Il cavaliere dell’epoca aurea è un crociato; combatte per una causa, e questa causa è sempre legata alla Chiesa cattolica. Sarà un cavaliere errante che viaggerà per valli e montagne in difesa di vedove e orfani, nello spirito di compiere un’opera di misericordia; oppure sarà un cavaliere che combatterà nelle crociate per liberare il Sepolcro di Cristo; comunque sia, ciò che caratterizza sempre il loro spirito è l’abnegazione, la rinuncia. Combatte, ma per amore della Croce.
Il romanticismo cavalleresco li trasforma lentamente: il cavaliere non è più un idealista ma un uomo vanitoso. Si comincia a raccontare storie assurde di un cavaliere che esce a combattere e trafigge cinque mori con la stessa spada, come se fossero cinque salsicce. Oppure di un altro uomo che esce a combattere contro una roccia e la sfracella in un colpo solo. È lo spirito di questi e altri racconti che Cervantes mette in ridicolo nel suo Don Chisciotte.
Nello stesso momento in cui l’ideale non è più servire la Croce, ma dimostrare forza e coraggio, nel romanzo appare un’altra figura: quella della “dama”. Sebbene essa sia ancora molto diafana e pura, essa è già la dama romantica, per la quale il cavaliere si entusiasma e combatte per soddisfare il suo amore. Ma allora la causa del cavaliere non è più quella di Cristo, ma quella del sentimentalismo, quella della sensualità. La dama sostituisce la Croce. La cavalleria diventa un modo per godere della vita.
Le passioni dell’orgoglio e della sensualità
Si mettono così in moto le due principali passioni dell’uomo: l’orgoglio e la sensualità. L’orgoglio si manifesta nella vanità, nel valore ostentato, nel vivere con sfarzo; la sensualità si mostra nella nascita dello spirito dell’“amore cortese”.
Se consideriamo un giovane re imbevuto di queste idee, ci rendiamo conto ch’egli desidera comandare. Immaginiamo che un legista dica a questo re: “Vostra Maestà ha il diritto di comandare il mondo intero”. Quest’affermazione suona come musica per le sue orecchie. In cuor suo, egli risponde: “Questo legista ha ragione”. È facile capire che una cosa richiama un’altra e come queste si uniscano per costituire un unico stato d’animo.
Allo stesso tempo, l’arte gotica cambiava aspetto. Nel XIII secolo era austera; nel XIV secolo cominciava a sorridere; poi apparve il cosiddetto gotico “fiammeggiante”, che si adornava di fiori ovunque e assumeva un aspetto giocoso; si può dire che il gotico iniziò a danzare. Nel momento stesso in cui le istituzioni e i costumi iniziarono a paganizzarsi, anche l’architettura divenne gioiosa e scherzosa.
Si trattò di un profondo cambiamento di stato d’animo che costituì una deviazione. L’idea di servire Dio, di vivere per un ideale, per la Croce, scomparve gradualmente e nei più profondi recessi dell’uomo, fu sostituita dalla preoccupazione per il piacere. L’uomo non ebbe più l’idea del dovere, bensì quella del piacere, egli desiderò godersi la vita.
Da quel momento, ovviamente sorse un naturale attrito con le antiche istituzioni. Nella sua anima si annidò un ardente desiderio di novità, di trasformazione. Questo desiderio, che non è un’idea-forza ma una passione disordinata, questo desiderio passò alle moltitudini dando origine non tanto al Protestantesimo quanto a un fenomeno che colpì tutti i Paesi cattolici; questo fenomeno si chiama Rinascimento.
Il Rinascimento porta con sé il desiderio sfrenato di vivere per il piacere
Protestantesimo e Rinascimento sono eventi intimamente collegati. Se guardiamo a ciò che il Rinascimento portò con sé, troviamo la realizzazione di un ardente desiderio di godersi la vita. Certamente ci fu anche un Rinascimento cristiano, ma ne parleremo più avanti. Se analizziamo i punti in cui il Rinascimento si differenzia dalla cultura medievale, notiamo che tutti obbediscono a questo impulso: il desiderio di godersi la vita.
Prendiamo la prima caratteristica del Rinascimento: il naturalismo. Sappiamo tutti che la ragione umana s’irrita e si arrabbia molto quando deve accettare il soprannaturale; è nella natura dell’uomo orgoglioso non volerlo ammettere. E, evidentemente, quando l’uomo si abbandona ai piaceri della vita, inizia a rifiutare il soprannaturale in tutte le sue manifestazioni e vuole affermare il dominio della propria ragione. Siccome fare l’opposto richiede uno sforzo e una lotta che lo irritano molto, egli diventa un naturalista.
Orbene, se confrontiamo l’arte rinascimentale con quella medievale, vediamo alcuni artisti del Medioevo profondamente impregnati di soprannaturale. Un Beato Angelico, un Giotto, dai loro dipinti si ha quasi l’impressione che vi sia rappresentato il soprannaturale. Invece, nei dipinti del Rinascimento notiamo che, perfino in quel “pittore delle Madonne” che fu Raffaello, il senso del soprannaturale è incomparabilmente minore, molto più tenue, seppure esista, ma spesso non esiste affatto. La pittura rinascimentale ha spesso un carattere pagano non dissimulato.
A un grande pittore del Rinascimento italiano fu chiesto di dipingere un San Giovanni Battista per una chiesa. In solo tre giorni il pittore presentò il quadro. Come aveva fatto a dipingerlo così velocemente e in modo così completo? In realtà, la tela era già stata dipinta: si trattava di un ritratto di Bacco, che l’artista aveva solo leggermente modificato aggiungendovi le insegne di San Giovanni Battista!
Questo Bacco, che interpreta la missione di San Giovanni Battista, è un caso tipico di questo fraintendimento rinascimentale; ma questo fraintendimento, se ben analizzato, manifesta non tanto un inganno quanto un fondo di paganesimo che sta emergendo, che sta nascendo e imponendosi a tutti gli spiriti.
In verità, sul Rinascimento spagnolo non si può dire esattamente lo stesso che sulle altre manifestazioni rinascimentali. Ad esempio, se consideriamo i dipinti di uno Zurbarán, è impossibile non notare in essi un grande afflato spirituale. Ma, a questo punto, dobbiamo dire che il Rinascimento spagnolo fu solo più moderato degli altri.
La società alla vigilia della Rivoluzione francese
Alla vigilia della Rivoluzione francese, la società presentava un tipo di uomo già profondamente diverso da quello rinascimentale e ancor più da quello medioevale. L’opera dell’assolutismo e dei legisti si era compiuta. Il potere reale si era pienamente affermato e aveva assorbito quasi tutte le manifestazioni della vita del Paese. Tutto è centralizzato. La Francia appare come una testa in cui tutto è stato concentrato e in cui, una volta sferrato un colpo, tutto crolla.
D’altra parte, il naturalismo rinascimentale si era evoluto e si era orientato verso il deismo. Che cos’è il deismo?
Ostinandosi a non voler riconoscere il soprannaturale, si forma un tipo di religione che afferma che Dio esiste, ma solo il Dio della ragione, solo quello che la ragione umana può comprendere. Non esiste un’altra forma di religione. Gesù Cristo non è Dio. Esiste solo un Dio perso tra le nuvole e di cui non sappiamo cosa credere.
Il deista tipico è, ad esempio, Voltaire, il quale affermava di credere in Dio, ma negava che Gesù Cristo fosse Dio. Le sue lettere terminavano sempre con l’espressione “écrasons l’infâme”: “schiacciamo l’infame”! Bisogna schiacciare Gesù Cristo, che è il grande autore delle superstizioni. Per lui, il clero è un gruppo di uomini che vive sfruttando la credulità popolare. I nobili sono un gruppo di sfruttatori che vivono a spese dei poveri. Non esiste alcuna forma di gerarchia e, soprattutto, Dio si perde nelle nuvole.
Accanto a questo troviamo l’enciclopedismo. Ma che cos’è l’enciclopedismo? È un gruppo di dotti che si riunisce per compilare un’enciclopedia, cioè una raccolta di tutto il sapere che è esistito nel tempo, ma totalmente plasmata dall’idea che non si può sapere nulla di Dio e che tutte le religioni sono false. Quindi, il deismo genera una forma di cultura che è anche atea.
Come sempre, ci sono i mezzi termini. Troviamo giansenisti e gallicani che sono cattolici e che, senz’arrivare al deismo, vivono all’interno della Chiesa cattolica, ma come una sorta di quinta colonna nemica. I giansenisti sono protestanti dissimulati, i gallicani sono coloro che negano l’autorità del Papa sulla Chiesa di Francia.
La trasformazione del nobile
Dopo aver studiato la rivolta contro la religione, vediamo come il gusto per il piacere si è manifestato nella trasformazione del tipo umano.
Che tipo di nobile vige alla vigilia della Rivoluzione? È il tipo più diverso che si possa immaginare dal nobile di un tempo. Il nobile medievale è un guerriero forte, abbastanza vigoroso da combattere. Il suo discendente, un marchesino alla vigilia della Rivoluzione, è più simile a un bibelot (bamboccio) che a un guerriero. La sua prima preoccupazione è quella di essere non coraggioso o eroico, ma aggraziato.
È fragile, indossa scarpe con tacchi alti e verniciate. La cosa bella è che i suoi piedi sono piccoli, le mani bianche e sottili, le unghie a volte smaltate. Porta un colletto di pizzo, abiti di seta e parrucca incipriata. I suoi vestiti sono pieni di fiori, i bottoni sono fatti di pietre preziose. Cammina profumato e con andatura femminea. Non c’è nessuno come lui che s’inchina riverentemente, che sorride, che è così gentile. Sembra un giocattolino caduto sulla terra come un raggio di luna. Viaggia in una carrozza che sembra una bomboniera, fatta più per conservare i pasticcini che le persone; lì tutto è dorato, tutto ha cristalli e piume in cima; dietro ci sono due servitori piumati, altri due davanti; egli indossa un cappello a tre punte, anch’esso con le piume; i cavalli sono educati a camminare educatamente. Addobbato in questo modo, egli percorre le vie.
È facile capire che questo tipo di uomo, nel corso di una lunga evoluzione storica, ha finito per essere plasmato quasi esclusivamente per il piacere. Non ha ideali per cui lottare né princìpi da servire. La sua unica preoccupazione è quella di godersi la vita e, per godersela, vuol essere elegante, bello, piacevole e leggiadro.
Di conseguenza, quando arriva la tempesta, egli non si fa più rispettare da nessuno. Un uomo può rispettarne un altro, ma non un giocattolo. Si può pensare ch’esso sia grazioso, ci si può anche dispiacere per averlo rotto, ma nessuno gli obbedisce o lo serve come un superiore.
Alla vigilia della Rivoluzione, i nobili non vivevano più nelle loro tenute, ma in Parigi. Vivevano lontani dai loro contadini. In una sola regione della Francia il nobile manteneva l’antico ruolo di padre dei contadini, vivendo in mezzo a loro e cercando di risolvere i loro problemi. Si trattava della Vandea.
Ad eccezione di questa regione, l’unica che ha combattuto contro la Rivoluzione e dove c’era una coesione controrivoluzionaria, tutte le province della Francia erano veramente degradate, perché il gusto di godersi la vita aveva assorbito tutte le virtù, tutte le qualità.
Il gentiluomo, gradevole e cortese, che era il naturale sostegno del trono, non era più in grado di opporsi alla Rivoluzione. Cosa lo aveva corroso? Il gusto del piacere.
La trasformazione della borghesia
Accanto a lui c’era il borghese, la cui fisionomia era molto diversa da quella del nobile. Il borghese viveva nell’economia e si occupava di cose economiche. Per questo motivo, mentre il nobile cercava di essere snello ed elegante, il borghese era grasso, ben nutrito e incline all’obesità. Pancia e borghesia sembravano essere correlate. E non a torto, visto che la Scrittura ci parla di coloro che hanno come dio il proprio ventre!
Il borghese era un uomo stabile: scarpe e abiti resistenti, robusti ed economici; era in buona salute, calmo, semplice, lavoratore, ma allo stesso tempo soddisfatto di sé. Rispetto al nobile, era come un pollo rispetto a un galletto.
Era il tipo di uomo che voleva elevarsi, e voleva farlo perché pensava di avere tutto e, per essere al vertice della società, gli mancava solo il titolo nobiliare. Lo vediamo quindi insorgere contro il nobile per rovesciarlo, per un motivo analogo a quello per cui i nobili avevano tentato di rovesciare il Papa al tempo di Filippo il Bello.
Il nobile voleva godersi la vita e primeggiare. Ma, nel corso di alcuni secoli, si è indebolito a tal punto che ora è il borghese che vuole godersi la vita e prevalere.
Pertanto, la borghesia organizza una rivoluzione, suscitata non solo dalle idee volteriane, che sono seducenti perché fanno appello alla ragione umana, ma anche dal desiderio di comandare, dal desiderio di dominare. E così abbiamo la rivolta della borghesia contro la nobiltà.
Questo movimento di idee era così forte, così forte era la trasformazione della borghesia e il suo desiderio di governare, che, quando la Rivoluzione francese iniziò, le carte erano già state date, per così dire. Le antiche istituzioni, vissute da uomini che non ne avevano più lo spirito, sembravano ormai incomprensibili.
Il borghese apparve sulla scena mondiale in modo prorompente. Nel momento in cui egli decise di scuotere la società, tutte le istituzioni crollarono come se fossero una scenografia teatrale. Fu la presenza di un nuovo spirito e di una nuova mentalità che rovesciò tutto.
– III –
Le trasformazioni finali della borghesia
Passiamo ora a un’altra tappa che, attraverso una serie di movimenti, ha collegato la Rivoluzione francese a quella comunista.
Nel corso degli anni, il borghese, ormai socialmente prevalente, viene divorato dal desiderio di godersi la vita. E questo desiderio lo trasforma. Mentre prima della Rivoluzione francese, o anche all’inizio del XIX secolo, il borghese era un tipo stabile, giudizioso e lavoratore, suo figlio sarà un dissipatore. Cercherà di sembrare un dandy, un elegantone. Nella misura in cui inizia ad assumere questo aspetto, egli diventerà un tipo superficiale e vuoto, perdendo così le qualità che avevano reso grande la sua stirpe.
Il nipote del borghese è il playboy. Si ha l’impressione ch’egli abbia perso completamente la sua stabilità e il suo peso. La sua velocità è pazzesca: non cammina, corre, oppure si sdraia e dorme. Non ha la velocità della calma o delle idee. Il suo senso di coordinazione del pensiero è completamente scomparso; salta da un’espressione all’altra senza la minima connessione. Non ha abitudini; il suo modo di esistere e di essere cambia completamente ogni giorno. La sua vita è una costante serie di piaceri. Fa sport, poi rock and roll. Cerca solo di divertirsi.
La brama di piacere esplode nel movimento operaio
Sebbene il playboy sia un fenomeno estremo, sta di fatto che la massa della borghesia tende a quello che possiamo chiamare “playboysmo”. Essa offre alla maggioranza della classe operaia e del proletariato lo spettacolo inebriante di una vita di piaceri che, vista dall’esterno, è abbagliante, sebbene all’interno sia frustrante.
Qual è il risultato? Semplificando e tagliando gli orizzonti, alla fine il borghese cade in discredito nei confronti dell’operaio, ma in questi si accende il desiderio di godere della vita borghese. Ne deriva questo tipo di desiderio delle masse che conosciamo, un desiderio di conquistare per sé i piaceri che costituiscono la vita dei borghesi.
D’altra parte, questo desiderio è accentuato da una certa modernizzazione che si manifesta in alcuni ecclesiastici. Nei suoi documenti, Pio XII ha fatto più di dieci importanti dichiarazioni in cui esprime la sua tristezza per questa tendenza di un certo clero a modernizzarsi; questa tendenza è quindi un fatto che si può riscontrare nei documenti pontifici.
E poi ci sono le varie tendenze dei nostri giorni verso l’ateismo, il panteismo, il liturgismo, il socialismo; e poi anche le folli forme artistiche come il cubismo e il dadaismo, che esprimono tutte questa sorta di smania di piacere, di desiderio sfrenato; anch’esse costituiscono una trasformazione rispetto alla quale tutte le alterazioni politiche e sociali sono semplici conseguenze.
La dinamica di questa brama di piacere
Quindi, il grande problema che ci si presenta è come riuscire a preservare qualcosa proprio nel momento in cui questo tremendo spirito di paganizzazione e questa brama di piacere sono al massimo della loro forza e della loro sfrenatezza.
Poiché questa smania è enorme, poiché questa tendenza neopagana è colossale e si appaga solo di ciò che può soddisfare l’orgoglio e la sensualità, ogni volta che uno scrittore scrive un libro che favorisce l’orgoglio, viene applaudito; al contrario, ogni volta che un suo libro è orientato verso la gerarchia e l’umiltà, le sue parole risultano come malinconiche, come fattori di tristezza e scoraggiamento, per cui egli non trova popolarità. Questa brama di piacere porta gli uomini dalla parte della Rivoluzione.
Supponiamo che un romanzo sia profondamente morale, bello e nobile. Se il suo autore volesse competere con un libro immorale, quale sarebbe il risultato? Il romanzo immorale, che soddisfa quelle passioni che aspettano cibo e mezzi per espandersi, vincerà sicuramente. Invece il romanzo morale, che parla solo alla ragione, che ci ricorda il dovere, non piacerà, perché c’è appetito solo per l’idea del piacere, della sensualità.
Un oratore che tiene una conferenza a favore del divorzio sarà applaudito da tutti, perché ci sono innumerevoli passioni che si scatenano alla ricerca del “libero amore”. Ma se un oratore parla contro il divorzio, troverà un uditorio che potrà anche essere d’accordo con lui, ma che ne uscirà triste per aver dovuto farlo, deplorando il fatto che la logica dell’oratore li abbia intrappolati; gli ascoltatori lasceranno la conferenza con la sensazione di essere stati privati di qualcosa.
Immaginiamo un conferenziere che usa parlare contro l’egualitarismo. Se, invece, dicesse quanto è bello e nobile fare in modo che gli altri non soffrano; quanto è bello, quindi, che l’uomo si spogli della propria superiorità per consolare chi ha meno di lui e che, spinto da un sublime spirito di carità cristiana, sappia equiparare e livellare tutti, allora tutto l’auditorio applaudirebbe.
Perché mai? Perché tutti hanno il desiderio di abbattere quelle barriere che causano un costante attrito nel mondo e, proprio per questo, essi hanno già un orecchio pronto per accogliere idee come questa.
Per esempio, se si fondasse un partito politico chiamato “Partito Radicale Progressista Rivoluzionario”, mille serpenti si solleverebbero con avidità. Ma se noi battezzassimo un “Partito della Reazione Rigenerativa”, allora otterremmo solo i voti di poche vecchie, di pochi uomini sensibili, di una minima parte dell’elettorato, perché la maggioranza è già stata conquistata dall’altra fazione; per fare il nostro partito, ci resterebbero solo i voti di una manciata di contadini retrogradi, mentre il “Partito Rivoluzionario Radicale Progressista” prenderà tutti i voti!
Perché? Perché una certa determinazione politica, una certa determinazione ideologica, prima che nelle idee, sta già nello spirito pubblico.
La brama di piacere nella popolazione cattolica
Come spiegare il fatto che, pur essendo nazione di settanta milioni di cattolici e con una minoranza insignificante di protestanti, atei e scismatici, noi brasiliani ci troviamo in piena e massima crisi morale? Il popolo brasiliano è cattolico e profondamente legato alle tradizioni cristiane che ha ricevuto dai suoi antenati. Ma, d’altra parte, la sua anima è presa da un movimento molto più dinamico, quello delle forze libere del neopaganesimo. I brasiliani hanno brama di piacere, e anzi per quella forma esplosiva di piacere che è la distruzione di ogni ordine, di ogni gerarchia, di tutto il nostro passato cristiano.
Qual è il risultato? Mentre andiamo in chiesa e ci battiamo il petto, mentre dichiariamo al censimento di essere cattolici, le nostre anime sono sempre più svuotate di contenuto cattolico. E questo accade a tal punto, che il nostro grande problema – ma crediamo che sia lo stesso per tutte le nazioni cattoliche del mondo – non sta nel convertire i protestanti di queste nazioni. Se “cattolicizzeremo” i cattolici di queste nazioni, avremo risolto il nostro angosciante problema.
A cosa servirà convertire il 5% dei protestanti, mentre la divisione nelle nostre anime, che esiste fin dalla prima Rivoluzione e che va aggravandosi, è dovuta alla doppia eredità che abbiamo ricevuto, attraverso il sangue portoghese o spagnolo da cui discendiamo, ossia l’eredità della fede e quella della Rivoluzione? Mentre vediamo che, per uno spaventoso fenomeno dell’anima, tutto ciò che rappresenta la nostra fede s’indebolisce ogni giorno, per cui, allo stesso tempo, tutto ciò che rappresenta la Rivoluzione si rafforza?
Al fondo di questa crisi c’è un problema dell’anima, c’è una lotta interiore, e in questa lotta le forze delle passioni disordinate, che costituiscono la Rivoluzione, sono le forze dinamiche. Dall’altra parte, le forze che rappresentano la tradizione, la virtù, la fede, sono forze declinanti, sonnolenti, indebolite. E quando abbiamo il dinamismo da una parte e l’inerzia dall’altra, la vita da una parte e la morte dall’altra, arriverà un momento in cui questa divisione cesserà, perché che è vivo avrà divorato ciò ch’era morto.
La Rivoluzione ha preparato la degenerazione dell’Occidente. Cosa dobbiamo fare? Prepararsi alla Contro-Rivoluzione, la quale comincia con l’essere, prima di tutto, la Contro-Rivoluzione della Croce.
Pertanto, a quale situazione pratica e fattiva siamo giunti? La Rivoluzione, immensamente abile, ha preparato la degradazione dell’Occidente usando metodi speciali, tutti basati sul principio secondo cui, per condurre l’uomo all’errore, è necessario fomentare le passioni.
Applicando i principi che abbiamo sviluppato nel nostro libro “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione“, potremmo studiare il modo in cui, attraverso un sistema di insufflazione, la Rivoluzione iniziò in qualche settore a diffondere moderatamente il gusto del piacere. In seguito, una volta fatto nascere il gusto per l’empietà, essa cominciò a diffonderlo in altri settori, e così preparò un immenso incendio in tutti i settori della società.
Cosa dovremo fare? Esattamente il contrario. Dobbiamo preparare la Contro-Rivoluzione, che comincia con l’essere, prima di tutto, la Contro-Rivoluzione della Croce. Ma cosa significa “controrivoluzione della Croce”?
Forse, oggi noi ci troviamo nel momento migliore per realizzare la Contro-Rivoluzione.
I Vangeli ci raccontano la parabola del figlio prodigo che, non tollerando più l’autorità del padre, lascia la casa paterna, spinto da uno spirito che potremmo definire rivoluzionario, per godersi la vita in città. Lì sperpera tutto il suo patrimonio e finisce per sopravvivere mangiando le ghiande che vengono date in pasto ai porci. C’è qualcosa di estremamente psicologico in questa parabola raccontata da Nostro Signore. Finché quest’uomo viveva di denaro, non si ricordava di suo padre; ma quando cominciò a sentire in boca il saporaccio delle ghiande dei porci e nello stomaco il vuoto dei pasti insoddisfacenti, allora si ricordò di suo padre. In altre parole, l’ora della sofferenza diventa l’ora della riparazione, l’ora della penitenza.
Il mondo contemporaneo si trova esattamente in questa situazione, sta nella fase di sofferenza e di penitenza. Camminando per le grandi città di oggi, notiamo un’atmosfera pesante. I volti sono cupi, la gente corre al lavoro, c’è fame, la vita è ardua, soprattutto le anime sono vuote. Esse non si rendono conto di essere vuote, ma questo non significa nulla: di fatto sono vuote. E questo sentimento di frustrazione nelle anime produce le nevrosi, le psicosi e la disperazione che sono così caratteristiche delle grandi città. Abbiamo tutti la sensazione di trovarci in uno di quei momenti storici in cui una catastrofe minaccia l’umanità, e la bomba atomica è la minore di tutte. Nel suo intimo, il mondo intero trema e sente emergere una domanda indefinibile.
Proprio per questo, per questo dolore, che è il risultato di ciò che il diavolo aveva promesso agli uomini – aveva promesso il piacere ma ha finito col dare le ghiande dei porci, perché il diavolo mente sempre – per questo fatto, notiamo qualcosa di completamente nuovo.
Segni di una grande opportunità per la Contro-Rivoluzione
Vent’anni fa, un movimento contro-rivoluzionario sarebbe stato considerato un’utopia. Chiunque studia il movimento cattolico da allora a oggi, può dire che le possibilità di un movimento controrivoluzionario non sono mai state così grandi come oggi, non perché la crisi non sia al suo apice, ma proprio perché lo è, perché questo apice porta anche all’inizio della disperazione e poi all’inizio della reazione.
Ed è per questo motivo, per una sorta di profonda amarezza e disillusione che si riscontra in tutti, ma soprattutto nei giovani, che abbiamo osservato questo fatto fantastico che ci ha sorpreso tutti. Quando abbiamo progettato il libro “Riforma agraria – Una questione di coscienza“, avevamo previsto una tiratura di 5.000 copie. In due mesi ne uscirono 12.000 copie, richieste con tale impazienza in tutto il Brasile, che pensammo subito di stampare una nuova edizione di 18.000 copie, per un totale di 30.000 copie in pochissimo tempo, quasi tutte già vendute, un vero record per un libro “furiosamente reazionario”, come si disse.
Cosa significa tutto ciò, se non che oggi esiste un appetito, un fatto del tutto nuovo, che nel periodo precedente non esisteva? Questo fatto, che sta accadendo al vertice della Rivoluzione, è molto più importante di un evento puramente istituzionale. È un fatto, un fenomeno che accade nell’anima delle folle, nella vita sociale dei popoli, che consiste in un desiderio di superare l’estremo della Rivoluzione, un desiderio di qualcosa di positivo, di ideale e di sofferto.
È per questo motivo che troviamo tanti giovani che, pur potendo essere in Europa a divertirsi splendidamente, a comprare le automobili più lussuose, a bere lo champagne più pregiato, a vivere la vita più agiata e spensierata; invece, essi dedicano la loro vita a combattere la Rivoluzione. Questo è anche il motivo per cui, molti altri pur non essendo ricchi, invece di cercare di arricchirsi, che è la grande ansia dell’uomo contemporaneo, spendono il loro tempo e mettono a repentaglio il loro futuro economico nel lavoro contro-rivoluzionario.
Seguire Nostro Signore Gesù Cristo in uno spirito di sacrificio, di rinuncia, di compimento del dovere. Da uomini impregnati di questo spirito nascerà l’alba di un nuovo Medioevo.
Qual è la ragione di questo fatto meraviglioso? Ci sono persone che vivono alla ricerca della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo. Vogliono sentir parlare di doveri e ideali, ma sanno che le parole “dovere” e “ideale” non hanno alcun significato se non sono abbinate alle Sue parole. Infatti, Nostro Signore Gesù Cristo, il Sommo Bene, è l’unico ideale perfetto, e tutti gl’ideali che sono racchiusi in Lui sono veri, mentre tutti gl’ideali che si allontanano da Lui sono una menzogna, un abominio, un peccato.
Bisogna poi capire il significato profondo di questo movimento di anime, capire perché c’è quello che potremmo chiamare “misticismo”, che è il misticismo della sequela di Nostro Signore Gesù Cristo con uno spirito di sacrificio, di rinuncia, di compimento del dovere, spirito opposto a tutto ciò che è stato fatto finora. L’alba di un nuovo Medioevo sorgerà da uomini impregnati di questo spirito. Finché gli uomini avranno uno spirito opposto, quello del piacere e di godersi la vita, ci sarà solo abominio e paganesimo.
In un momento in cui la civiltà cristiana è in procinto di morire, ma anche di rinascere, non vogliamo mascherare nulla di quanto è mirabilmente vero, logico, coerente, profondo e sincero nella Croce di Nostro Signore Gesù Cristo. Dobbiamo condurre una vita di dovere, di lotta, di lavoro, di serietà, per amore di Nostro Signore Gesù Cristo.
Sulle orme di Nostro Signore e sotto lo sguardo della Beata Vergine
Sono parole terribili! Ma la terribilità di queste parole è attenuata da due considerazioni. Ci fu una santa alla quale apparve Nostro Signore che, mentre portava la Croce lungo un sentiero di spine, la invitava a seguirlo. Ella cominciò a percorrere lo stesso sentiero, ma i suoi piedi non lo sopportavano. Allora disse: “Signore, non posso andare avanti!” Egli si rivolse a lei e l’avvertì: “Non fare come me, ma poni i tuoi piedi sulle mie orme; se camminerai passando dove ho camminato io, allora avanzerai”.
Quindi non basta voler soffrire, ma bisogna seguire esattamente Nostro Signore, ponendo i piedi dove li ha messi Lui, vivendo in una stretta e intima unione con Lui, e allora sì, questo cammino diventa percorribile. Soprattutto, lo diventa se, lungo la via, ad aiutare la nostra debolezza, a consolare il nostro cuore, abbiamo la cosa più dolce in Cielo e in Terra: il sorriso ineffabile di Maria Santissima!
Madonna del Buon Successo (Quito, Ecuador)
(*) Traduzione a cura di Guido Vignelli.