Cristianità, N. 16-18 marzo-aprile 1976 (*)
di Plinio Corrêa de Oliveira
Che cos’è precisamente un anticomunista? Alla domanda sembra così semplice rispondere che dà l’impressione di essere stupida. Ma essa riceve risposte diverse. E tra le due più comuni vi è un mondo di sfumature di importanza capitale. Se non capiamo queste sfumature, non comprenderemo nulla della politica internazionale.
Anzi, ci faremo perfino trascinare dal comunismo, come sta succedendo a innumerevoli nostri contemporanei.
È dunque indispensabile sapere che risposta dare alla domanda.
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I trattati di Yalta e di Teheran, della fine della seconda guerra mondiale, a ragione sono stati giudicati da tutti gli anticomunisti come aberrazioni.
Hanno consacrato de facto l’espansione imperialista della Russia – espansione che, alcuni decenni dopo, sarebbe stata consacrata de jure dallo sciagurato trattato di Helsinki.
Fino a Yalta e a Teheran, un anticomunista si definiva come un oppositore della filosofia marxista e del programma politico, sociale ed economico da essa derivante.
E siccome Mosca era la Mecca rossa da cui si stendevano su tutto il mondo i tentacoli della propaganda marxista, gli oppositori del comunismo erano anche avversari di Mosca.
A queste ragioni per essere «anti», Yalta e Teheran portarono gli anticomunisti ad aggiungerne altre.
Infatti, la dominazione russa sull’Europa orientale, che comporta l’ instaurazione del regime comunista nelle nazioni satelliti, dagli anticomunisti poteva essere vista solo con esecrazione.
Ma il crimine perpetrato da Mosca contro l’Europa Orientale presentava anche altri aspetti. Nazioni sovrane furono schiavizzate dall’imperialismo russo.
Proprio per la stessa ragione che spinse gli europei dei secoli XVIII e XIX a indignarsi contro la divisione della Polonia tra le corone austriaca, russa e prussiana, e contro l’annientamento di posteriori tentativi di riacquistare l’autonomia fatti dai polacchi contro la Russia, gli anticomunisti del dopo-Yalta si diedero a coprire di infamia la conquista imperialista dell’Europa Orientale da parte dei russi.
Questo nuovo motivo di condanna non aveva niente a che vedere con il comunismo propriamente detto. Lo ispirava il diritto delle genti, che già aveva ispirato un analogo atteggiamento contro la Russia zarista.
Se almeno i popoli soggiogati fossero stati consultati con tutta onestà e libertà, secondo le forme plebiscitarie generalmente ammesse, sulla loro accettazione o non accettazione della dominazione russa… e se avessero risposto favorevolmente! Invece erano stati soggiogati con la forza, e con la forza venivano mantenuti soggiogati.
Perciò gli anticomunisti, più focosi che mai, concludevano che con il comunismo non vi è indubbiamente nessun possibile compromesso. Di fronte a esso vi sono solo due atteggiamenti: la lotta o la resa. Quindi la lotta sì faceva sempre più accanita.
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Fino a questo punto, il concetto di “anticomunista” continuava a essere chiaro. Chi avrebbe detto che la propaganda comunista avrebbe avuto la diabolica abilità di ricavare da questa condizione un’occasione per confondere la mente di innumerevoli anticomunisti, facendo il primo passo di una lunga marcia di ambiguità, che ci avrebbe condotto alla miserevole situazione in cui ci troviamo oggi?
Nessuno certamente, ma è quanto è successo.
Fino a questo momento, se per caso qualcuno avesse chiesto a un anticomunista se era anti-zarista, molto probabilmente avrebbe risposto di no. Se avesse risposto affermativamente, avrebbe messo in chiaro che si opponeva allo zarismo non in quanto anticomunista, ma in quanto democratico. Vi erano anticomunisti democratici e non democratici.
Questa profonda differenza di opinione non impediva né agli uni né agli altri di essere anticomunisti.
Chiaramente, per i democratici anticomunisti il carattere dispotico del regime sovietico costituirà uno degli argomenti preferiti della loro dialettica anti-rossa. È perfettamente comprensibile che questo argomento abbia ottenuto un grande successo tattico nelle nazioni dell’Occidente, profondamente imbevute di spirito democratico.
Questo successo propagandistico ha portato numerose personalità dell’Occidente a insistere sempre di più sull’argomentazione democratica contro il comunismo, in interviste e dichiarazioni alla stampa, alla radio e alla televisione.
Importanti organizzazioni anticomuniste hanno operato nello stesso modo.
E a poco a poco, l’enorme avanzata anticomunista che si andava generalizzando nel mondo, veniva mutando i suoi leitmotiv.
La difesa delle tradizioni cristiane, della famiglia e della proprietà, schiacciate dai comunisti, restava sempre più in secondo piano.
E la ragione principale – gradatamente, la ragione unica – della grande offensiva anticomunista, veniva a consistere nel fatto che il regime comunista è antidemocratico.
Questa separazione tra le due dialettiche anticomuniste, cioè quella antica, basata sulla tradizione, sulla famiglia e sulla proprietà, e quella nuova, basata soltanto sui principi democratici, era contraddittoria e perfettamente artificiale.
Infatti, qualsiasi democrazia contraria alla tradizione, è favorevole alla abolizione della famiglia e della proprietà, e quindi sprofonda nel più completo totalitarismo.
Cioè nel contrario di quello che si intende per democrazia.
Ma questa nuova concezione dell’anticomunismo ha avuto una glorificazione mondiale quando il defunto presidente John Kennedy, in un discorso tenuto a Berlino, proclamò che era contrario al comunismo soltanto perché in Russia e nei paesi satelliti il regime non era consacrato da libere elezioni.
I1 capo della maggiore potenza temporale anticomunista dell’Occidente consacrava, di conseguenza, un nuovo senso, un senso vuoto, dell’anticomunismo.
Fedele alla dottrina pagana della sovranità assoluta de1 popolo, insegnata da Rousseau, Kennedy affermava che le maggioranze possono praticare contro le minoranze tutti gli abusi, negare a esse tutti i diritti naturali, e imporre loro anche il più dispotico e il più ingiusto dei regimi.
Non ho prove documentarie assolutamente incontrovertibili per affermare che questa graduale modificazione della mentalità politica di tanti anticomunisti sia derivata – in un modo o in un altro – dalla politica comunista.
Però, siccome il comunismo ne ha tratto un così eccezionale vantaggio, per quanto mi riguarda non ho dubbi che sia all’origine di questa trasformazione.
Infatti, in questo campo vale il principio secondo cui tutto quanto favorisce il comunismo è stato presumibilmente opera sua.
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Con il passare dei decenni, siamo all’ultima mossa.
Innumerevoli europei autentici si sono a questo modo lasciati ingannare da una abile manovra propagandistica che li ha trasformati da anticomunisti militanti in non comunisti stupidi e inoffensivi. Montati su di loro, i PC di Francia e d’Italia sperano ora di conquistare il potere.
«Lo stupido è il cavallo del diavolo», dice un vecchio proverbio che ha corso in Brasile.
E ha assolutamente ragione.
(*) Nota: Titolo originale – Bobo é cavalo do demonio, pubblicato su diversi periodici degli Stati Uniti, Canada, e dell’America Latina, a partir del 15 gennaio 1976.