La morte sarà inghiottita dalla vittoria

Lepanto, Roma, Anno VI – n. 67-68, Ottobre-Novembre 1987, pag. 1-2 (*)

di Plinio Corrêa de Oliveira

«Voglio svelarvi un mistero: non tutti moriremo, ma tutti verremo trasformati. In un attimo, in un batter d’occhio, al suono della tromba suprema. Perché infatti la tromba suonerà e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi verremo trasformati. Pertanto è necessario che questo corpo corruttibile sia rivestito d’immortalità. E quando questo corpo mortale sarà rivestito d’immortalità, sarà compiuta la parola che è scritta: la morte è stata inghiottita dalla vittoria».

Con queste magnifiche parole, san Paolo (1 Cor. 15, 51-54) annuncia ai pagani la buona novella della resurrezione della carne.

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Lo spirito del mondo non comprende queste cose e assume verso la morte atteggiamenti completamente diversi da quelli del vero cattolico.

Alla radice di tutto, un terrore, un terror panico, che alla vista della sepoltura sconvolge tutto l’essere, perturba ogni lucidità, distrugge ogni coraggio. Le miserie grandi e piccole occasionate da questo terrore sono quasi innumerevoli: l’esitazione di andare dal medico ricevendone una diagnosi minacciosa; la paura di far testamento; il terrore di assistere all’agonia di qualcuno; il profondo disagio di dover partecipare ai funerali, sono fenomeni nervosi confessati o inconfessati e così universali che sarebbe superfluo insistervi. Altro aspetto del terrore della morte sta nell’esagerata cura della salute, nel timore di invecchiare, nella tendenza a dimenticare la propria età. E così ci si avvicina al momento ineluttabile. Quando infine la mano della morte si posa su qualcuno, conducendolo inequivocabilmente verso il grande ultimo viaggio, queste miserie si accentuano ulteriormente. Quante volte il malato — contando sulla complicità di medici e amici — cerca d’illudersi fino alla fine sulla gravità del proprio stato! Quando ormai non c’é più rimedio se non il riconoscere che sono giunti gli istanti supremi, il malato non ha coraggio di guardare davanti a sé verso il tramonto che lo sta avviluppando, verso l’oscurità che si avvicina, e preferisce rivolgersi al passato: ecco quindi gli inderogabili congedi, le reminiscenze, gli ultimi doni, eccetera. Finché sopraggiunge il disfacimento finale, trascinando tutto nella sua voragine.

Il fatto è compiuto. La morte irrompe nel focolare. Tocca ai vivi prendere atteggiamento verso di essa. Quelli che avevano per il morto un affetto sincero restano atterriti, si ribellano. Ecco i pianti tragici, le grida lancinanti, la prostrazioni profonde e irrimediabili. Altri, al contrario, restano spaventati, cercando di evitare il morto, per fuggire quanto ricorda la morte. Sono quelli che si eclissano a bella posta dagli ambienti sociali dei funerali, quelli che abbreviano al massimo la presenza del cadavere in casa o all’obitorio, che «semplificano» in tutti i modi le onoranze funebri perché passino rapidamente e senza lasciar ricordo.

Tra questi due atteggiamenti estremi, quant’è differente la posizione delle anime cattoliche!

La Chiesa c’insegna che la morte è un castigo imposto da Dio agli uomini in conseguenza del peccato originale. È proprio di un castigo il procurare afflizione e dolore. E siccome Dio è infinitamente saggio e potente, e compie con perfezione tutte le sue opere, questo castigo da Lui istituito dev’essere necessariamente capace di produrre molta afflizione e molto dolore. Ne fu esempio supremo la morte volontaria del nostro Salvatore, che fu sommamente afflittiva, inesprimibilmente dolorosa. E come gl’istinti umani recedono dall’afflizione e dal dolore, è naturale che vengano terrorizzati dalla morte.

È vero che molti santi sono morti inondati da consolazioni soprannaturali, accettando la morte come un piacere maggiore di quello col quale altri accettano onori o ricchezze. Si tratta di veri miracoli della Grazia, nei quali l’unione soprannaturale è tanto intensa da sospendere; per così dire, i rantoli della natura. L’uomo comune non rientra però in questo caso: muore con timore e dolore.

Se la morte fa soffrire, è legittimo che partecipino di questo dolore quelli che amano il morto. La Chiesa ha approvato, inoltre, i costumi sociali tendenti a circondare la morte con manifestazioni esterne di dolore. Ella, che è Maestra e fonte stessa d’immortalità, non disdegna di partecipare alle lacrime.

In una parola, come Maestra, la Chiesa giustifica il nostro dolore; come Madre ella vi si associa. Incita tuttavia la carità dei fedeli affinché si manifesti generosamente verso la morte. Velare cadaveri, partecipare a funerali, visitare le famiglie in lutto, presenziare a Messe in suffragio dei defunti, sono atti praticati oggi molto spesso con spirito assolutamente mondano e naturalista. Questo spirito dev’essere abolito, ma non lo devono essere questi atti, in sé stessi ottimi e rigorosamente coerenti con quanto la Chiesa insegna sulla morte.

Nel secolo scorso [XIX], totalmente impregnato di romanticismo, quanto ci si compiaceva del dolore! Per questo, senza grandi difficoltà, si mantenevano le usanze cristiane riguardo la morte e i funerali. In molti sensi addirittura li si esagerava, esprimendo il dolore con una nota da tragedia lancinante, di disperazione, di rivolta che diverge dall’insegnamento della Chiesa.

Nessuno può fissar lo sguardo a lungo sulla morte, se non ha la Fede! È quanto è successo agli uomini: perduta nel secolo XIX la Fede, nel secolo XX essi hanno cominciato a distogliere lo sguardo dalla morte.

Un tempo, i cadaveri restavano velati per ventiquattr’ore. Oggi a volte non si raggiungono le dodici. Un tempo, il dolore aveva tutta la libertà di manifestarsi nella camera ardente, nei limiti del decoro e della compostezza. Oggi è considerato di buon gusto soffocare il più possibile i propri sentimenti in pubblico, e quelli che desiderano piangere si chiudono nella stanza.

Il punto estremo di questa trasformazione viene raggiunto, in alcune nazioni, da uno stile funebre nel quale i cadaveri vengono truccati come se fossero vivi, vestiti a festa e condotti in un magnifico giardino che funge da cimitero; qui avviluppati in un lenzuolo verde, scendono nelle fosse, se non vengono cremati. Di lutto, neanche si parla!

Perché abbiamo fatto questa lunga digressione sulla morte? Perché in un certo senso, ciò che v’é di più importante nella vita è proprio la morte. Se gli uomini non avranno un atteggiamento retto, equilibrato e cristiano verso la morte, non saranno capaci di tenere un atteggiamento retto, equilibrato e cristiano davanti alla vita.

(*) Catolicismo, N° 11, Nov-1951, pag. 1 e 2 (brani).

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