Reforma Agrária – Questão de Consciência
Secção II
Proposizione 4
Obiezione
Il Vangelo raccomanda il distacco dai beni della terra (104). Pertanto, una società veramente cristiana deve condannare l’uso di tutto ciò che è superfluo per la sussistenza. Gioielli costosi, pizzi, seta e velluto, abitazioni inutilmente spaziose e adornate, cibi sontuosi, vini pregiati, vita sociale cerimoniosa e complicata: tutto questo si oppone alla semplicità evangelica. Gesù Cristo voleva per i suoi fedeli uno stile di vita semplice ed egualitario. A questo ideale conduce il sistema della piccola proprietà. D’altra parte, le medie e grandi proprietà portano necessariamente agli eccessi di cui sopra.
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Risposta Il Vangelo raccomanda il distacco dai beni della terra. Questo distacco non significa che l’uomo debba evitare di usarli, ma solo che deve usarli con superiorità e forza d’animo, oltre che con cristiana temperanza, invece di lasciarsi schiavizzare da essi. Quando l’uomo non fa questo e abusa di questi beni, il male non è nei beni, ma in lui. Così, ad esempio, il male dell’ubriacone è in lui stesso e non nel vino prezioso con cui si ubriaca. Tanto è vero che ci sono molti che bevono vino della migliore qualità e non ne abusano. Lo stesso si può dire di altri beni. La musica, ad esempio, ha subito molte deformazioni abominevoli in tempi di decadenza. Non è quindi il caso di rinunciare ad essa con il pretesto che corrompe. Si tratta di fare buona musica, la migliore, e di usarla per il bene. Tutto nell’universo è stato mirabilmente organizzato da Dio e non c’è nulla che non abbia una sua ragione d’essere. Sarebbe inconcepibile che l’oro, le pietre, la materia prima per i tessuti preziosi, ecc. fossero un’eccezione alla regola. Esistono per disegno della bontà divina per un giusto piacere dei sensi, proprio come un bel panorama, l’aria pura, i fiori, ecc. Inoltre, sono mezzi per abbellire ed elevare l’esistenza quotidiana degli uomini, per migliorare la loro cultura e renderli consapevoli della grandezza, della saggezza e dell’amore di Dio. È con questo spirito che la Chiesa ha sempre utilizzato tutti questi beni per ciò che le è più sacro, cioè il culto divino. Non lo avrebbe fatto affatto se avesse trasgredito la volontà del suo Fondatore. E in ogni momento ha incoraggiato individui, famiglie, istituzioni e nazioni a seguire il suo esempio con la stessa temperanza, abbellendo e rendendo dignitosi, per la grandezza spirituale e il bene materiale dell’umanità, gli ambienti della vita domestica e pubblica. Per questo è stata giustamente definita una benefattrice della cultura, dell’arte e della civiltà. Uno dei vantaggi di un’armoniosa disuguaglianza dei beni è proprio quello di consentire una fioritura particolarmente splendida delle arti, della cultura, della cortesia, ecc. nelle classi superiori, che poi si diffonde a tutta la società. |
Commento
Come si spiega il fatto che la proposta contestata abbia trovato il favore di tante persone stimate per la loro buona condotta?
Ogni volta che, in una determinata situazione, si forma una classe sociale ricca e corrotta, essa utilizza la ricchezza per soddisfare la propria depravazione. Le persone depravate possono usare qualsiasi cosa come opportunità o strumento per il male. Il selvaggio di alcune tribù, ad esempio, uccide o ruba perché è povero. Tra i civilizzati, ci sono quelli che rubano perché la loro ricchezza li rende impuniti.
Nelle classi ricche e corrotte nasce quindi un lusso eccessivo e perfino stravagante, in cui si raccolgono i prodotti più pregiati della natura o dell’industria umana senza il minimo riguardo per i veri beni dell’anima, e con l’unico scopo di placare l’inesauribile sete di piacere dei potentati del momento, dei nobili, dei borghesi di buona famiglia o dei “parvenus”, dei demagoghi plebei che sono saliti al vertice della ricchezza e del potere, ecc. Questo abuso diventa ancora più odioso perché a volte coincide con l’esistenza di una classe ridotta all’ingiusta indigenza. Da qui il fatto che, per molti, la parola “lusso” è sempre associata all’idea di depravazione e di eccessiva concentrazione di ricchezza.
Per ragioni abbastanza comprensibili, tra le quali la giusta indignazione si combina spesso con l’invidia e la rivolta, così facili da germogliare nel nostro ambiente egualitario, si forma una reazione “complessa” di “semplicismo” in senso opposto.
2 – Il “semplicismo” e lo spirito protestante
È curioso notare che la tesi contestata è molto antica e ha tracce di protestantesimo.
Reazioni del genere si sono già verificate in altri tempi. Ci sono state sette protestanti che, in risposta al giusto sfarzo delle cerimonie liturgiche della Chiesa cattolica e alla vita personale eccessivamente sfarzosa di alcuni prelati, hanno istituito un culto privo di arte, di splendore e di espressione dell’anima. Per fare un altro esempio, le campagne di ispirazione protestante per l’astensione totale dall’alcol nascono dall’idea che il male sia nell’alcol e non nella debolezza dell’ubriaco. Gesù Cristo ha istituito il vino come materia di transustanziazione. La Scrittura dice che, preso con moderazione, “allieta il cuore dell’uomo” (105). E ci sono bevande alcoliche che sono state inventate o prodotte da ordini religiosi. Lo stesso si può dire di altri beni.
3 – La Chiesa, protettrice della civiltà contro il “semplicismo”
Non c’è forse un certo ottimismo ingenuo nella posizione della Chiesa?
Non ignora la debolezza umana. Ma non la esagera nemmeno. Soprattutto, confida nella grazia che rende l’uomo veramente temperato.
Secondo il suo insegnamento, le magnificenze della natura e dell’arte, ben utilizzate dall’uomo temperato, sono mezzi per elevarlo a Dio. Indubbiamente sono state utilizzate in questo senso da molti personaggi che hanno vissuto in mezzo agli oggetti del lusso più squisito e che oggi sono nella gloria degli altari: Papi, Re, Cardinali, Principi, nobili e altri grandi della terra.
Se l’uomo si allontanasse da tutto ciò che per un’anima equilibrata costituisce un’occasione remota, anziché prossima, di peccato – non solo i beni piacevoli dell’arte o dell’industria, ma persino i bei panorami, che possono lontanamente indurre alla dissipazione, e le regioni la cui abbondanza può indirettamente portare alla pigrizia – sarebbe la morte della cultura e della civiltà.
4 – La santità non è “semplicismo”
Ma, potrebbe dire qualcuno, la Chiesa non raccomanda la penitenza e l’abbandono dei beni terreni? Non ci sono stati molti santi che, per santificarsi, hanno abbandonato tutte queste cose?
Certo, la Chiesa ha raccomandato di astenersi dai beni di questo mondo attraverso la penitenza. La necessità della penitenza non deriva da un male presente in questi beni, ma dalla disgregazione della natura umana a causa del peccato originale e dei peccati attuali. L’astinenza dai beni terreni serve a domare le passioni disordinate e a mantenere l’uomo sulla via della temperanza. Oltre a questo effetto medicinale, la penitenza ha anche lo scopo di espiare davanti alla giustizia di Dio le colpe commesse per chi la pratica, o per il prossimo. In questo senso, è anche indispensabile alla vita cristiana.
Ci sono molte strade che portano al paradiso. Alcune sono eccezionali e molto suggestive: l’abbandono di tutte le ricchezze, per esempio. Altre sono per la maggioranza e sono meno impressionanti: il buon uso della ricchezza è una di queste. Ma entrambe portano a Dio e sono state percorse dai santi.
Un esempio tratto da un altro campo chiarirà la questione. San Paolo afferma la superiorità del celibato sul matrimonio (106). La Chiesa favorisce e glorifica in ogni modo la castità perfetta. Per mantenerla, organizza Ordini e Congregazioni per entrambi i sessi. La esige dai suoi ministri. Ai nostri giorni, Pio XII scrisse un’Enciclica speciale per dichiarare ancora una volta che il celibato è superiore allo stato matrimoniale (107), e in essa lodò i fedeli che, desiderosi di consacrarsi all’Azione Cattolica, volevano rimanere celibi per servire meglio la Chiesa (108). Ne è un esempio Contardo Ferrini, un professore universitario del secolo scorso che fu beatificato da Pio XI.
Tuttavia, questo è un percorso eccezionale, solo per pochi. La stragrande maggioranza farà la volontà di Dio attraverso il sacramento del matrimonio, assumendo i sacri e rispettabili oneri della vita familiare. E molti hanno raggiunto gli altari in questo modo.
È ovvio, tuttavia, che non c’è contraddizione tra celibato e matrimonio.
Allo stesso modo, non c’è contraddizione tra il completo abbandono delle ricchezze nella vita claustrale e l’uso virtuoso di esse nel mondo. Né c’è contraddizione tra la penitenza che ogni cattolico deve praticare e il progresso della civiltà, che porta con sé l’uso di beni spirituali e materiali sempre più eccellenti e abbondanti.
5 – Lusso per tutte le classi
Un’ultima osservazione: riguarda la parola “lusso”. Nella nostra lingua ha due sfumature di significato, una delle quali è peggiorativa e legata al concetto di lusso. Ma la parola ha anche un significato onesto, che qui sottolineiamo.
Il lusso giusto consiste nell’abbondanza e nell’eccellenza, subordinata alle leggi della morale e dell’estetica, dei beni che sono convenienti per l’esistenza. Il lusso è quindi qualcosa di più del semplice possesso di quanto basta. Un quadro di un maestro, per esempio, non è necessario, ma è conveniente per un’esistenza piacevole.
Fino a che punto un uomo può avere ciò che è conveniente oltre a ciò che è necessario? Nella misura in cui la sua situazione patrimoniale lo permette, e a condizione che l’accumulo nelle sue mani di beni semplicemente convenienti non coesista con la miseria degli altri. In questo caso, infatti, rispettando le esigenze di decoro, giustizia e carità, dovrebbe dare liberamente ciò che è suo.
Ma se qualcuno si concede il lusso nella misura in cui può, e senza venir meno ai suoi doveri verso il prossimo, il suo lusso non può essere considerato contrario ai diritti della società o degli altri.
I beni che rendono la vita particolarmente piacevole e decorosa, e che sono considerati lussuosi, non dovrebbero essere il privilegio di una sola classe sociale. In questo senso, il lusso dovrebbe esistere anche tra i medi e piccoli proprietari terrieri e tra i salariati. Un lusso proporzionato e autentico, si potrebbe dire. Non i gingilli effimeri e costosi con cui una persona si concede qualche giorno perché appartiene a una classe superiore alla sua. Ma il lusso con cui un uomo sottolinea la propria dignità e quella della sua classe, dimostrando quanto sia orgoglioso di appartenervi, per quanto modestamente. Questo è uno degli aspetti più belli dell’ideale di elevazione della classe operaia rurale. Un esempio delle possibilità di questa elevazione è il lusso popolare dei contadini in alcune regioni d’Europa, dotati di mobili di quercia intagliata, tessuti di velluto, gioielli d’oro, tutti di autentico gusto contadino.
Come si può realizzare questo ideale nelle condizioni economiche odierne, caratterizzate dalla produzione di massa di oggetti effimeri? È un problema che spetta agli esperti risolvere. Il principio dell’autentico lusso popolare corrisponde a un’esigenza della natura umana, che è importante ricordare e che in un modo o nell’altro deve essere presa in considerazione.
6 – Il lusso in famiglia
Il lusso autentico dovrebbe essere una situazione per tutta la famiglia e non solo per il singolo. Pertanto, comporta una sorta di continuità familiare attraverso le generazioni e deriva in parte dalla trasmissione di padre in figlio – per quanto possibile in tutte le classi sociali – di oggetti durevoli e decorosi. Si tratta di uno degli elementi più efficaci nella formazione di una tradizione familiare e la civiltà non dovrebbe essere privata dei preziosi vantaggi che ne derivano.
7 – Conclusione
La disuguaglianza della proprietà rurale offre ai grandi e medi proprietari terrieri i mezzi necessari per organizzare uno stile di vita particolarmente decoroso e dignitoso per il progresso della civiltà cristiana.
8 – Inevitabili critiche alla dottrina della Chiesa
La posizione equilibrata della dottrina cattolica, ugualmente distante da un “semplicismo” protestante, contrario alla civiltà, e da un amoralismo sensuale nell’uso dei beni terreni, ha sempre suscitato le risate sarcastiche e incomprensibili dell’anticlericalismo.
I “semplicisti” l’accusano di assecondare la sensualità del mondo, approvando il lusso, l’uso di prelibatezze e di vini.
I mondani la accusano di non tollerare le debolezze degli uomini e di rendere così la vita impossibile.
Non c’è modo di evitare questo doppio rimprovero di empietà. Nostro Signore disse che Giovanni Battista venne mentre digiunava e faceva penitenza, e loro dissero: “Ha un demonio”. Il Figlio dell’uomo, perché mangia e beve, è chiamato mangione (109).
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Ma, dirà qualcuno, la parabola di Lazzaro e del ricco malvagio (110) non dimostra forse proprio che l’opulenza porta alla perdizione?
Questo testo evangelico sottolinea come non sia assolutamente ogni uomo opulento a essere condannato, ma solo quello malvagio. La parabola ci mostra il ricco malvagio all’inferno. Lazzaro, il povero buono, va nel seno di Abramo. Secondo le Scritture, era un uomo che viveva nell’opulenza (111). Il buon povero che riposa accanto al buon ricco: questa è l’immagine toccante della pace sociale.
Testi pontifici
L’uso buono e cattivo degli oggetti preziosi secondo la dottrina cattolica
“Non sarebbe quindi giusto il giudicarla [la professione di orafo] per sé stessa inutile, od anche nociva, il vedere in essa una ingiuria alla povertà, e quasi una sfida lanciata a coloro che non possono avervi parte. Senza dubbio in questo campo, più che in altri, è facile l’abuso. Troppo spesso, nonostante i limiti che la retta coscienza fissa per l’uso delle ricchezze, si vedono alcuni far sfoggio di un lusso provocante, privo di qualsiasi significato ragionevole e destinato soltanto alla soddisfazione di una vanità, che ignora, e con ciò stesso insulta le sofferenze e i bisogni dei poveri. Ma sarebbe, d’altra parte, ingiusto il condannare la produzione e l’uso di oggetti preziosi, ogniqualvolta essi corrispondono ad un fine onesto e conforme ai precetti della legge morale. Tutto ciò che contribuisce all’abbellimento della vita sociale, tutto ciò che ne mette in rilievo gli aspetti lieti o solenni, tutto ciò che fa risplendere nelle cose materiali la perennità e la nobiltà dello spirito, merita di essere rispettato e apprezzato.” (112).
Costumi ostentati: un male. La brillantezza degli abiti: un bene
“Se l’ostentazione vana è da condannare, è del tutto normale che le persone si preoccupino di esaltare le circostanze straordinarie della loro vita con lo splendore esteriore dei loro abiti, esprimendo così i loro sentimenti di gioia, orgoglio o anche tristezza.” (113).
Anche la vita popolare tipica deve avere vita e splendore
“È proprio qui che il folklore acquista il suo vero significato. Una società che ignora le tradizioni più sane e feconde, esso [il folklore] si sforza di conservare una continuità viva, non imposta dall’esterno, ma nata nell’anima profonda delle generazioni, che riconoscono in queste tradizioni l’espressione delle proprie aspirazioni, credenze, desideri e rimpianti, i ricordi gloriosi del passato e le speranze del futuro. Le risorse intime di un popolo si esprimono con assoluta naturalezza in tutte le sue usanze, storie, leggende, giochi e parate, dove si sviluppano lo splendore dei costumi e l’originalità dei gruppi e delle figure. Le anime che sono state in contatto permanente con le dure esigenze della vita spesso possiedono un senso artistico istintivo che può produrre risultati magnifici da materiale semplice. In queste feste popolari, dove il folclore della buona legge ha il suo giusto posto, tutti godono del patrimonio comune, e vi si arricchiscono ancora di più se accettano di dare il loro contributo” (114).
Il lusso esagerato e corrotto, causa di conflitti sociali
“… Noi vediamo in generale che mentre da un lato non si ha alcun ritegno ad accumulare ricchezze, manca dall’altro la rassegnazione d’un tempo nel sopportare quei disagi che sogliono accompagnare la povertà e la miseria; e mentre fra i proletari ed i ricchi già esiste quella lotta accanita che abbiamo detto, ad acuire l’avversione dei non abbienti s’aggiunge il lusso smodato di molti, congiunto a impudente dissolutezza.” (115).
La Chiesa elogia la castità perfetta anche per i laici
“La castità perfetta è la materia di uno dei tre voti che costituiscono lo stato religioso (Cf. CIC, can. 487) ed è richiesta nei chierici della chiesa latina ordinati negli ordini maggiori (Cf. CIC, can. 132 § 1) e nei membri degli istituti secolari, (Cf. Const. apost. Provida Mater, art. III, § 2: AAS 39(1947), p. 121) ma è praticata pure da numerosi laici, uomini e donne che, pur vivendo al di fuori dello stato pubblico di perfezione, rinunziano completamente, di proposito o per voto privato, al matrimonio e ai piaceri della carne per poter servire più liberamente il loro prossimo e unirsi a Dio più facilmente e intimamente.
A tutti i dilettissimi figli e figlie, che in qualsiasi modo hanno consacrato a Dio il loro corpo e la loro anima, rivolgiamo il Nostro cuore paterno e li esortiamo vivamente a confermarsi nel loro santo proposito e a restarvi diligentemente fedeli.” (116).
Note
(104) Cfr. Luca 14, 33.
(105) Salmo 104, 15.
(106) I Cor 7, 25-35.
(107) Pio XII, Enciclica “Sacra Virginitas”.
(108) Cfr. Testi pontifici di questa proposizione.
(109) Mt 11, 18-19.
(110) Luca 16, 19-33.
(111) Gen 13, 2.
(112) Pio XII, Discorso del 9 novembre 1953 al IV Congresso Nazionale della Confederazione Italiana degli Orafi, Gioiellieri ed Affini.
(113) Pio XII, Discorso del 10 settembre 1954 al VI Congresso internazionale dei maestri sarti. Traduzione all’italiano nostra.
(114) Pio XII, Discorso alla riunione degli “Stati Generali del Folklore”, 19 luglio 1953 – Traduzione all’italiano nostra.
(115) Benedetto XV, Lettera enciclica “Sacra Propediem”, 6 gennaio 1921
(116) Pio XII, Enciclica “Sacra Virginitas”, 25 marzo 1954 – AAS, vol. XLVI, n. 5, p. 163.