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Plinio Corrêa de Oliveira
Capitolo VIII
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Pubblicato su Catolicismo, São Paulo, Brasile, Aprile 1959 (I et II), Gennaio 1977 (III) Traduzione di Giovanni Cantoni Prima edizione italiana, 1963, Dell’Albero, Torino. Seconda e terza edizioni italiane, 1972 e 1976, Cristianità, Piacenza Tutti i diritti riservati - © 1998 Associazione Luci sull’Est
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Le considerazioni precedenti richiedono di esser sviluppate per quanto riguarda la parte dell’intelligenza, della volontà e della sensibilità nei rapporti tra errore e passione. Infatti potrebbe sembrare che affermiamo esser ogni errore concepito dall’intelligenza per giustificare una passione sregolata. Così, il moralista che sostenesse una tesi liberale sarebbe sempre mosso da una tendenza liberale. Non è questo il nostro pensiero. Può succedere che il moralista giunga a una conclusione liberale unicamente per debolezza dell’intelligenza colpita dal peccato originale. In tal caso vi sarà stata necessariamente qualche colpa morale di altra natura, per esempio la negligenza? Si tratta d’un problema estraneo al nostro studio. Affermiamo piuttosto che, storicamente, questa Rivoluzione ebbe la sua origine prima in una fermentazione violentissima di passioni. E siamo ben lontani dal negare il grande ruolo degli errori dottrinali in questo processo. Molti sono stati gli studi di autori di grande valore, come de Maistre, de Bonald, Donoso Cortés e tanti altri, su tali errori e sul modo in cui sono derivati gli uni dagli altri, dal secolo XV al secolo XVI, e così via fino al secolo XX. Non è, dunque, nostra intenzione insistere in questa sede sull’argomento. Ci sembra, tuttavia, particolarmente opportuno mettere a fuoco l’importanza dei fattori “passionali” e la loro influenza sugli aspetti strettamente ideologici del processo rivoluzionario in cui ci troviamo. Infatti, a nostro modo di vedere, si è prestata poca attenzione a questo fatto e ciò comporta una visione incompleta della Rivoluzione e conduce, di conseguenza, all’adozione di metodi contro-rivoluzionari inadeguati. A questo punto vi è qualcosa da aggiungere sul modo in cui le passioni possono influire sulle idee.
1. La natura decaduta, la grazia e il libero arbitrio L’uomo, con le sole forze della sua natura, può conoscere molte verità e praticare diverse virtù. Tuttavia, senza l’aiuto della grazia, non gli è possibile perseverare nella conoscenza e nella pratica di tutti i comandamenti (37). Questo vuol dire che in ogni uomo decaduto vi sono sempre la debolezza dell’intelligenza e una tendenza primordiale, e anteriore a qualsiasi ragionamento, che lo incita alla ribellione contro la legge (38).
2. Il germe della Rivoluzione Questa tendenza fondamentale alla ribellione può, in un dato momento, avere il consenso del libero arbitrio. L’uomo decaduto pecca, così, violando l’uno o l’altro comandamento. Ma la ribellione può andare oltre e giungere fino all’odio, più o meno inconfessato, contro l’ordine morale stesso nel suo insieme. Quest’odio, per essenza rivoluzionario, può generare errori dottrinali e condurre perfino alla professione cosciente ed esplicita di princìpi contrari alla legge morale e alla dottrina rivelata in quanto tali, e ciò costituisce un peccato contro lo Spirito Santo. Quando quest’odio cominciò a guidare le tendenze più profonde della storia dell’Occidente, ebbe inizio la Rivoluzione, di cui oggi si dispiega il processo e sui cui errori dottrinali tale odio ha impresso vigorosamente il suo marchio. Quest’odio è la causa più attiva della grande apostasia dei nostri giorni. Per sua natura è qualcosa che non può essere ridotto semplicemente a un sistema dottrinale: è la passione sregolata al più alto grado d’esacerbazione. Come si può facilmente veder, tale affermazione, relativa a questa Rivoluzione in concreto, non implica il dire che alla radice di ogni errore vi sia sempre una passione disordinata. E non implica la negazione del fatto che molte volte è stato un errore a scatenare in questa o in quell’anima, o anche in questo o quel gruppo sociale, il disordine delle passioni. Intendiamo soltanto affermare che il processo rivoluzionario, considerato nel suo insieme e anche nei suoi principali episodi, ha avuto come germe più attivo e più profondo il disordine delle passioni.
3. Rivoluzione e malafede Si potrebbe forse opporre la seguente obiezione: se l’importanza delle passioni nel processo rivoluzionario è così grande, sembra che la vittima di questo sia sempre, almeno in qualche misura, in malafede. Se, per esempio, il protestantesimo è figlio della Rivoluzione, ogni protestante è in malafede? Questo non contrasta con la dottrina della Chiesa, che ammette vi siano, nelle altre religioni, anime in buona fede? È ovvio che una persona in completa buona fede, e fornita d’uno spirito fondamentalmente contro-rivoluzionario, può essere presa nella rete dei sofismi rivoluzionari (siano essi di natura religiosa, filosofica, politica o di qualsiasi altro genere) a causa di un’ignoranza invincibile. In tali persone non vi è colpa alcuna. Mutatis mutandis, lo stesso si può dire di quanti fanno propria la dottrina della Rivoluzione, nell’uno o nell’altro punto particolare, a causa d’un lapsus involontario dell’intelligenza. Diversa deve essere la risposta nel caso in cui qualcuno faccia proprio lo spirito della Rivoluzione perché mosso dalle passioni disordinate a essa inerenti. Un rivoluzionario in queste condizioni può essere convinto della perfetta bontà delle sue tesi sovversive. Non sarà dunque insincero. Ma sarà colpevole dell’errore in cui è caduto. E può anche accadere che il rivoluzionario professi una dottrina di cui non è persuaso, o di cui non è completamente convinto. In questo caso sarà parzialmente o totalmente insincero... A questo riguardo, a nostro parere, sarebbe quasi superfluo sottolineare che, quando affermiamo esser le dottrine di Marx implicite nelle negazioni della Pseudo-Riforma e della Rivoluzione francese, con ciò non vogliamo dire che gli adepti di quei due movimenti fossero consapevolmente marxisti ante litteram e che occultassero ipocritamente le loro opinioni. Il carattere specifico della virtù cristiana è la retta disposizione delle potenze dell’anima e, quindi, l’aumento della lucidità dell’intelligenza, illuminata dalla grazia e guidata dal Magistero della Chiesa. Solo per questa ragione ogni santo è un modello d’equilibrio e d’imparzialità. L’obiettività dei suoi giudizi e il fermo orientamento della sua volontà verso il bene non sono indeboliti, neppure di poco, dal soffio venefico delle passioni disordinate. Al contrario, nella misura in cui l’uomo decade dalla virtù e si lascia dominare dal giogo di queste passioni, diminuisce parimenti in lui l’obiettività in tutto quanto ha rapporto con esse. In particolar modo quest’obiettività rimane turbata quanto ai giudizi che l’uomo formula su sé stesso. Fino a che punto un rivoluzionario “di marcia lenta”, del secolo XVI o del secolo XVIII, accecato dallo spirito della Rivoluzione, si rendeva conto del senso profondo e delle conseguenze ultime della sua dottrina? In ogni caso concreto è un segreto di Dio. In ogni modo l’ipotesi che fossero tutti consapevolmente marxisti è da escludersi completamente. Note: (37) Vedi parte I, cap. VII, 2, D. (38) Donoso Cortes dà un importante sviluppo a questa verità, in un modo che ha molti legami con il presente studio. Cfr. Ensayo sobre el catolicismo, el liberalismo y el socialismo, libro I, cap. IV, in Obras completas, B.A.C., Madrid 1946, tomo II, p. 377. |