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Plinio Corrêa de Oliveira
Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana
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Documenti IV La stirpe nobile è un prezioso dono di Dio
1. La nobiltà è un dono di Dio Dall'allocuzione di Pio IX al Patriziato e alla Nobiltà romana, del 17 giugno 1871: “Un Cardinale principe romano presentava un giorno un suo nipote ad uno de miei Predecessori, il quale in tale occasione proferì una giusta sentenza: reggersi i troni principalmente per l'opera della Nobiltà e del Clero. La nobiltà è anch'essa, non si può negarlo, un dono di Dio, e benchè Nostro Signore volesse nascere umile in una stalla, pur si legge di lui, a capo di due Evangeli, una lunga genealogia che discende da Principi e Re. Voi usate degnamente di questo privilegio; mantenendo sacro il principio della legittimità. (...) “Seguite dunque a usar bene di questa prerogativa e nobilissimo uso sarà quello che potrete farne verso coloro che appartenendo al vostro ceto, non seguono i vostri princìpi. Alcune amorevoli parole da buoni amici potranno molto sui loro animi, e ancor di più potranno le vostre preghiere. Tollerate con animo generoso i dissapori che potrete incontrare. Iddio vi benedica, come io ne lo prego di tutto cuore, per tutta la vostra vita” (1).
2. Nostro Signore Gesù Cristo volle nascere nobile; Egli stesso amò l’aristocrazia Dall'allocuzione di Pio IX al Patriziato ed alla nobiltà romana, del 29 dicembre 1872: “Gesù Cristo stesso amò l'Aristocrazia; e, se non m'inganno, altra volta vi ho manifestata questa idea. Anch'Egli volle nascer nobile, dalla stirpe di David; e suo Vangelo ci fa conoscere il suo albero genealogico fino a Giuseppe, fino a Maria, de qua natus est Jesus. “Dunque l'aristocrazia, la nobiltà è un dono di Dio; e perciò conservatelo diligentemente, usatene degnamente. Voi già lo fate colle opere cristiane e caritatevoli, alle quali continuamente vi dedicate con tanta edificazione dei prossimi e con tanto vantaggio delle anime vostre” (2).
3. La nobiltà di nascita sembra essere un fatto fortuito, ma deriva dal benevolo disegno di Dio Dall'allocuzione di Leone XIII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, del 21 gennaio 1897: “Ci gode l'animo di rivedervi dopo un anno in questo luogo medesimo affratellati per consonanza di pensieri e di affetti che vi onorano. La Nostra carità non conosce, nè deve conoscere accettazione di persone, ma ella non è riprensibile se si compiace particolarmente in voi, ad intuito appunto del grado sociale che assegnato vi fu in apparenza da fatto fortuito, in verità da benigno consiglio del cielo. Come negare un particolare riguardo alla cospicuità del casato, se mostrò col fatto di averla in pregio il divin Redentore? Certo, nel suo terrestre pellegrinaggio, egli adottò la povertà, nè volle mai compagna la ricchezza: ma pure i natali suoi li elesse da stirpe regale. “Queste cose, diletti figli, vi rammemoriamo non per lusinga di folle orgoglio, ma bensì per darvi conforto ad opere degne del vostro grado. Ogni individuo e ogni ceto d'individui ha il suo uffizio e il suo valore: dall'ordinato conserto di tutti scaturisce l'armonia dell'umano consorzio. Ciò nonostante, è innegabile che negli ordini privati e pubblici l'aristocrazia del sangue è una forza speciale, come il censo, come l'ingegno. La quale, se discordasse dagli intendimenti di natura, non sarebbe stata, come fu in ogni tempo, una delle leggi moderatrici dei fatti umani. Onde, argomentando dal passato, non è illogico ingerirne che, comunque volgano i tempi, non sarà mai senza qualche efficacia un chiaro nome, chi sappia degnamente portarlo” (3).
4. Gesù Cristo volle nascere di stirpe regale Dall'allocuzione di Leone XIII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, del 24 gennaio 1903: “E Gesù Cristo, se volle trascorrere la vita privata nell'oscurità di un ignobile abituro, passando per il figlio d'un fabbro, e se nella vita pubblica amò farsela tanto col popolo, scegliendo per Madre Maria e per Padre putativo Giuseppe, eletti rampolli della stirpe davidica; e ieri, giorno sacro al loro sposalizio, potemmo ripetere colla Chiesa le belle parole: Regali ex progenie Maria exorta refulget [Rifulge Maria, per nascita da stirpe regale] (4).
5. Nostro Signore Gesù Cristo volle nascere povero, ma volle pure avere un'insigne relazione con l’aristocrazia Dall'allocuzione di Benedetto XV al Patriziato ed alla Nobiltà romana, del 5 gennaio 1917: “Non havvi dinanzi a Dio preferenze di persone. Ma è indubitato, scrive San Bernardo, che la virtù dei nobili gli torna più accetta, perché più risplende. “Fu nobile anche Gesù Cristo, e nobili furono Maria e Giuseppe, quali discendenti da regale prosapia, sebbene la virtù ne ecelissasse lo splendore nei poveri natali, che la Chiesa ha commemorato nei passati giorni. Cristo adunque, che tanto insigne attinenza volle avere con l'aristocrazia terrena, accolga nella onnipotente umiltà della sua culla il caldo voto che Noi oggi vi deponiamo: che, cioè, come nel presepe la più alta nobiltà fu socia della più gloriosa virtù, tal sia dei diletti figli Nostri, i Patrizi ed i Nobili di Roma. Ed apporti la loro virtù la sociale rigenerazione cristiana, e con essa quelle grazie che ne sono inseparabili: il benessere delle famiglie di ognuno e la sospirata pace del mondo” (5).
6. Maria, Giuseppe e, quindi, Gesù, nacquero di stirpe regale Da un sermone di san Bernardino da Siena (1380-1444) su san Giuseppe: “In primo luogo, consideriamo la nobiltà della sposa, cioè della Ss.ma Vergine. La Beata Vergine fu la più nobile di tutte le creature esistite nella natura umana, che possano o abbiano potuto essere generate. San Matteo (cap. I), collocando tre volte quattordici generazioni, da Abramo a Gesù Cristo compreso, mostra che ella è discendente da 14 Patriarchi, da 14 Re e da 14 principi. (...) “San Luca, scrivendo anch'egli nel capitolo 3 sulla nobiltà di lei, a partire da Adamo ed Eva, prosegue nella sua genealogia fino a Cristo Dio. (…) “In secondo luogo, consideriamo la nobiltà dello sposo, cioè di san Giuseppe. Nacque egli di stirpe patriarcale, regale e principesca, discendendo direttamente com'è stato detto. Quindi san Matteo (cap. I) elenca in linea diretta tutti questi padri da Abramo fino allo sposo della Vergine, dimostrando chiaramente che in lui sfociò tutta la dignità patriarcale, regale e principessa. (...) “In terzo luogo, prendiamo in esame la nobiltà di Cristo. Egli fu, pertanto, come deriva da quanto è stato detto, Patriarca, Re e Principe, per parte di madre e padre. (...) “I menzionati Evangelisti descrivono la nobiltà della Vergine e di Giuseppe per rendere manifesta la nobiltà di Cristo. Giuseppe fu quindi di tanta nobiltà che, in un certo modo, se ci è permesso esprimerci così, diede la nobiltà temporale a Dio in Nostro Signore Gesù Cristo” (6).
7. Dio Figlio volle nascere di stirpe regale per riunire nella sua Persona tutti i generi di grandezza Dagli scritti di san Pietro Giuliano Eymard (1811-1868) su san Giuseppe: “Quando Dio Padre decise di dare suo Figlio al mondo, volle farlo con onore, poiché Egli è degno di ogni onore e di ogni lode. “Gli preparò quindi una corte ed una servitù regale degni di Lui. Dio voleva che, perfino sulla terra, suo Figlio incontrasse un'accoglienza degna e gloriosa, se non agli occhi del mondo, almeno ai suoi propri occhi. “Questo mistero di grazia dell'Incarnazione del Verbo non fu realizzato improvvisamente da Dio e quelli che erano stati scelti per prenderne parte, furono preparati da Lui molto tempo prima. La corte del Figlio di Dio fatto Uomo si compone di Maria e di Giuseppe; lo stesso Dio non avrebbe potuto trovare per suo Figlio servi più degni di stargli vicino. Consideriamo particolarmente san Giuseppe. “Incaricato dell'educazione del Principe regale del Cielo e della terra, di dirigerlo e di servirlo, era necessario che i suoi servizi facessero onore al suo divino allievo: non stava bene che un Dio si dovesse vergognare di suo padre. Quindi, dovendo essere Re, della stirpe di Davide, fa nascere san Giuseppe dallo stesso ceppo regale: vuole che Lui sia nobile, persino della nobiltà terrena. Nelle vene di san Giuseppe scorre dunque il sangue di Davide, di Salomone, e di tutti i nobili Re di Giuda e se la sua stessa dinastia avesse continuato a regnare, lui [san Giuseppe] sarebbe stato l'erede del trono e avrebbe dovuto occuparlo. “Non fermatevi a considerare la sua povertà attuale: l'ingiustizia scacciò la sua famiglia dal trono al quale aveva diritto, ma non per questo egli cessa di essere Re, figlio di quei Re di Giuda, i maggiori, i più nobili, i più ricchi dell'universo. Anche nei registri anagrafici di Betlemme san Giuseppe sarà iscritto e riconosciuto dal governatore romano quale erede di Davide: questa la sua regale pergamena, facilmente riconoscibile e che porta la sua regale firma. “Ma che importanza ha la nobiltà di Giuseppe?, direte forse. Gesù è venuto soltanto per umiliarsi. Rispondo che il Figlio di Dio, il quale ha voluto umiliarsi per un certo tempo, ha voluto anche riunire nella sua Persona tutti i generi di grandezza: Egli è Re anche per diritto di eredità, poiché di sangue reale. Gesù è nobile e, quando sceglierà i suoi Apostoli tra i plebei, li mobiliterà: questo diritto Gli appartiene, giacché figlio di Abramo ed erede del trono di Davide. Egli ama quest'onore di famiglia; la Chiesa non intende la nobiltà in termini di democrazia: rispettiamo, pertanto, tutto ciò che essa rispetta. La nobiltà è di Dio. “Ma allora, è necessario essere nobile per servire Nostro Signore? Se lo siete, Gli dareste una gloria in più; tuttavia, non è necessario, Egli si accontenta della buona volontà e della nobiltà del cuore. Eppure, gli annali della Chiesa dimostrano che un grande numero di santi, tra i più illustri, ostentavano un blasone, possedevano un nome, una famiglia distinta: alcuni erano persino di sangue reale. “Nostro Signore si compiace nel ricevere omaggio di tutto quanto è onorifico. San Giuseppe ricevette nel Tempio un'accurata educazione e così Dio lo preparò a diventare un nobile servitore del suo Figlio, il cavaliere del più nobile Principe, il protettore della più augusta Regina dell'universo” (7).
8. La nobiltà di sangue è un potente stimolo alla pratica della virtù Dal magnifico testo dell'omelia di san Carlo Borromeo (1538-1584), arcivescovo di Milano, nella festa della Natività della Madonna, l'8 settembre 1584: “L'inizio del Santo Vangelo, scritto da san Matteo, che da questo pulpito vi è stato poco fa proclamato dalla Santa Madre Chiesa, ci induce innanzitutto ad esaminare attentamente la nobiltà, l'insigne lignaggio e la magnificenza della Ss.ma Vergine. Se quindi si deve considerare nobile quello che trae la sua origine dal merito di illustri antenati, quanto grande è la nobiltà di Maria che trasse la sua origine da Re, Patriarchi, Profeti e sacerdoti della tribù di Giuda, dalla razza di Abramo, dalla stirpe regale di Davide? “Anche se non ignoriamo che tutti apparteniamo alla vera nobiltà - quella cristiana - la quale conferisce a tutti l'Unigenito del Padre, in quanto ‘a tutti quelli che lo ricevono diede il potere di diventare figli di Dio' (Gv. 1, 12), e che a tutti i fedeli cristiani è comune questa dignità e nobiltà, tuttavia non pensiamo assolutamente che debba essere disprezzata o rifiutata la nobiltà secondo la carne. Al contrario, chi non riconoscesse che anche questa stessa nobiltà é un dono e favore singolare di Dio, e non ringraziasse specialmente per essa Dio, che è il dispensatore di tutti i beni, costui sarebbe in verità assolutamente indegno della qualifica di nobile, poiché, per deformità di uno spirito ingrato che non potrebbe essere più vergognosa, oscurerebbe lo splendore dei suoi maggiori, in quanto la nobiltà della carne molto contribuisce anche al vero brillio dell'anima e le dona non piccoli benefici. “Innanzitutto, lo splendore del sangue, la virtù degli antenati e le imprese famose predispongono in modo meraviglioso il nobile a marciare sulle orme di coloro dai quali discende. È fuor di dubbio, poi, che la sua natura è più inclinata al bene e alla virtù: sia perché questo gli spetta per la conformità del suo sangue a quello dei suoi progenitori e, di conseguenza, per la trasmissione del loro spirito; sia per la perenne memoria che conserva delle sue virtù, le quali ritiene più care - e ciò sa ben valutarlo - per avere brillato nei suoi consanguinei; sia finalmente per la sana educazione e formazione che ricevette da uomini illustri. È certamente riconosciuto come vero che la nobiltà, la magnificenza, la dignità, la virtù e l'autorità dei genitori inducono molti figli a mantenere lo zelo per queste cose. Ne deriva che i nobili, per un certo qual istinto della natura, sono desiderosi di onore, coltivano la magnanimità, disprezzano i vantaggi di basso prezzo, aborriscono infine tutto quanto ritengono indegno della loro nobiltà. “In secondo luogo, la nobiltà è ugualmente uno stimolo ad aggrapparsi alle virtù. Ciò è diverso dal primo beneficio che abbiamo riferito, poiché quella lo predispone il nobile ad abbracciare più facilmente le opere rette; quest'altro, tuttavia, aggiunge anche al primo, ormai diventato facile, stimoli veementi; e, come un freno, coarta i vizi e le azioni sconvenienti al nobile e fa sì che, se talvolta il nobile cade in una qualsiasi mancanza, sùbito si farà prendere da un pudore straordinario e procurerà, con tutte le sue forze, di purificarsi da quella macchia. “Infine, l'ultimo beneficio da considerare nella nobiltà è che, così come una pietra preziosa rifulge più quando è incastonata nell'oro che nel ferro, così le stesse virtù sono più splendenti nel nobile che nel plebeo; e la nobiltà si unisce alla virtù diventandone il maggior ornamento. “Non è soltanto vero che si deve attribuire valore alla nobiltà e al lustro degli antenati, ma inoltre sosteniamo molto fermamente queste due tesi: la prima è che, così come nel nobile è molto più splendida la virtù, anche il vizio in lui è di gran lunga più vergognoso. Così come più facilmente si nota la sporcizia in un luogo chiaro e illuminato dai raggi solari, che non in un angoletto oscuro, e le macchie su un vestito di oro che non in un vestito comune e lacero, o infine i segni e le cicatrici sul viso che in altra parte occulta del corpo, così anche i vizi sono più notevoli e attirano di più l'attenzione, e più vergognosamente sfigurano l'anima colpevole nei nobili che non negli uomini di volgare condizione. Che c'è in verità di più indegno dell'adolescente nato da genitori illustri e di raffinata educazione che finisce corrotto e dedito alle taverne, ai giochi, agli alcoolici e alle abbuffate? “La seconda tesi è che, anche quando qualcuno è nobilissimo, se alla nobiltà dei suoi maggiori non aggiunge le proprie virtù, immediatamente diventa oscuro; poiché, con la discontinuità della virtù, cessa in lui la nobiltà, dato che, seppure rimangono in lui le vestigia del lustro dei suoi antenati, esse sono certamente inutili; queste infatti neanche raggiungono il loro scopo, quello cioè di farlo diventare sempre più incline alle grandi imprese, che siano per lui stimolo alla virtù e freno al peccato. Tutta la nobiltà gli serve a sommo obbrobrio, e non aggiunge il minimo grado al suo onore. Questo è quanto rimproverava Nostro Signore Gesù Cristo ai farisei, che si vantavano di essere figli di Abramo, dicendo loro: 'Se siete figli di Abramo, compite le opere di Abramo' (Gv. 8, 39). Infatti uno si può vantare di essere figlio o nipote, e partecipe alla nobiltà, solo di colui del quale imita le virtù. Perciò il Signore diceva ai farisei: 'Avete come padre il diavolo' (Gv. 8, 44), ed erano chiamati inoltre, dal santissimo Precursore di Cristo, 'razza di vipere' (Lc. 3, 7). “Chi è in verità così ignorante e sprovveduto da trovare ancora motivo di dubitare della somma nobiltà della Ss.ma Vergine Maria? Chi non sa che ella non soltanto uguagliò le virtù dei genitori ma di gran lunga le superò, in modo tale che si può e si deve chiamarla, con ragione, nobilissima, poiché lo splendore di così illustri Patriarchi, Re, Profeti e sacerdoti, che il Vangelo di oggi ci descrive, giunse in lei al massimo? “Qualcuno chiederà senz'altro per qual ragione, da tutto quanto finora è stato esposto, si può dedurre la nobiltà degli antenati di Maria, visto che è stata descritta l'origine di Giuseppe, che di Maria fu sposo. Tuttavia, chi più accuratamente abbia studiato le Sacre Scritture risolverà facilmente questo dubbio, in quanto nella Legge divina si stabiliva che la Vergine non prendesse uomo fuori dalla propria tribù, principalmente in vista della linea di successione ereditaria (Cfr. Num. 36, 6 ss.); e perciò rimane chiaro che Maria e Giuseppe erano della stessa tribù e famiglia, e questa descrizione della generazione umana del Figlio di Dio ci rende palese che era unica la nobiltà dell'una e dell'altro”. Il santo passa ad affrontare un altro aspetto del grande argomento di cui discorre: “In terzo luogo, infine, o dilettissime figlie - perché questo vi riguarda - è descritta la progenie di Giuseppe, non quella di Maria, perché impariate a non insuperbirvi e a non dire in modo insultante ai vostri mariti: 'Io ho introdotto la nobiltà nella tua casa; io ti ho portato lo splendore degli onori; dovete attribuire a me, o marito, quello che avete ricevuto in dignità'. Sappiate, in verità, e scolpite questo costantemente nel vostro animo, che il decoro e la nobiltà della famiglia della moglie non è dovuta ad un'altra famiglia se non a quella dello sposo; sono detestabili quelle mogli che si preferiscono al marito o - peggio ancora - si vergognano della famiglia di lui; nascondendone il cognome e menzionando soltanto la propria origine. C'è qui realmente un diabolico spirito di superbia. Qual'è dunque la famiglia di Maria? Quella di Giuseppe. Qual'è la tribù, quale la casa, quale la nobiltà di Maria? Quelle del suo sposo Giuseppe. E questo, o mogli cristiane veramente nobili e timorate di Dio, è ciò di cui più si deve tenere conto” (8).
9. Grande è il potere della stirpe sulle nostre azioni Dalla orazione funebre per Filippo Emanuele di Lorena, duca di Mercoeur e Penthièvre, pronunciata nella chiesa metropolitana di Notre-Dame di Parigi, il 27 aprile 1602, da san Francesco di Sales (1567-1622), vescovo-principe di Ginevra e Dottore della Chiesa: “È sempre Dio che fa in noi tutta la nostra salvezza, della quale è il grande architetto: tuttavia, Egli procede in diverso modo nella sua misericordia; perché ci dà certi beni senza il nostro concorso, ed altri invece mediante i nostri desideri, fatiche e aspirazioni. Il principe Filippo Emanuele, duca di Mercoeur, ricevette abbondantemente i beni della prima specie, sui quali costruì un eccellente edificio di perfezione con quelli della seconda specie. In primo luogo, infatti, Dio lo fece nascere da due casate fra le più illustri, antiche e cattoliche esistenti fra i prìncipi d'Europa [la casa di Lorena e quella di Savoia]. “È già molto essere frutto di un buon albero, un metallo di buona lega, rivo di buona fonte. (...) “Nacque, dico, per la gloria delle armi e l'onore della Chiesa, questo defunto principe, degno rampollo di due grandi stirpi, delle quali, così come ricevette il sangue, ereditò anche le virtù: come due rivoli che unendosi formano un grande e nobile fiume, così le due case degli avi paterni e materni di questo principe, avendo posto nella sua anima le buone qualità di ognuna, lo fecero diventare perfettamente compiuto, in tutti i doni della natura. Egli poteva ben dire, con la divina Sapienza: 'Puer autem eram ingeniosus, et sortitus sum animam bonam' ('Io tuttavia ero un fanciullo di buon naturale, ed ebbi per sorte una buona anima'; Sap. 8, 19). Fu una felice circostanza per la sua virtù il trovarsi in un recipiente tanto capace; e fu un gran bene per la sua capacità trovarsi in tale virtù. (...) “Ho giudicato conveniente parlare della sua stirpe, nonostante possa sembrare a molti che, essendo la nobiltà una cosa estrinseca a noi, unicamente le nostre opere sono nostre. In verità la stirpe molto ci aiuta e ha un grande potere sui nostri disegni, e persino sulle nostre stesse azioni, sia per l'affinità delle passioni che molte volte ereditiamo dai nostri predecessori, sia per la memoria che conserviamo delle loro imprese, sia anche per il buono e più raro alimento che ne riceviamo” (9). Note: 1) Discorsi del Sommo Pontefice Pio IX, Tipografia di G. Aurelj, Roma, 1872, vol. I, p. 127. 2) Discorsi del Sommo Pontefice Pio IX, Tipografia di G. Aurelj, Roma, 1872, vol. II, p. 148. 3) Leonis XIII Pontificis Maximi Acta. Ex Typographia Vaticana, Romae, 1898, vol. XVII, pp. 357-358. 4) Leonis XIII Pontificis Maximi Acta. Ex Typographia Vaticana, Romae, 1903, vol. XXII, p. 368. 5) L'Osservatore Romano, 6/1/1917. 6) Sancti Bernardini Senensis Sermones eximii, vol. IV, in Aedibus Andreae Poletti, Venetiis, 1745, p. 232. 7) Mois de Saint Joseph, le premier et le plus parfait des adorateurs – Extraits des écrits du P. Eymard, Desclée de Brouwer, Paris, VII ed., pp. 59-62. 8) Sancti Caroli Borromaei Homiliae CXXII, Ignatii Adami et Francisci Antonii Veith Bibliopolarum, Augustae Vindelicorum, ed. novissima, versio latina, s. d., Homilia CXXII, coll. 1211-1214. 9) Oeuvres complètes de Saint François de Sales, Béthune Editeur, Paris 1836, vol. II, pp. 404-406. |