|
Plinio Corrêa de Oliveira
Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana
|
||
CAPITOLO VII Genesi della nobiltà La sua missione nel passato e nel presente (continuazione)
Goffredo di Buglione (Baisy, c. 1060 – Gerusalemme, 18 luglio 1100)
7. Il profilo morale del nobile medioevale In tutto il corpo sociale costituito dai professionisti di un stesso ramo specifico è facile notare quanto l'attività professionale influenzi la mentalità, la formazione morale e intellettuale di quelli che la esercitano e di conseguenza anche le relazioni domestiche e sociali estranee all'ambito professionale. Nel Medioevo e nell'Ancien Régime lo status nobiliare non poteva essere strettamente paragonato a una professione. Era, sotto un certo punto di vista, un modo di guadagnarsi la vita e, sotto un altro, qualcosa di molto più elevato. Di conseguenza, esso segnava profondamente il nobile, nonché tutta la sua famiglia, mediante la quale la condizione nobiliare doveva trasmettersi, nel corso dei secoli, alle generazioni successive. Il titolo di nobiltà si incorporava al nome di famiglia e talvolta lo sostituiva. Lo stemma raffigurava l'emblema di famiglia e il più delle volte la terra sulla quale il nobile esercitava il potere, portava il suo stesso nome, quando non accadeva il contrario, ed egli incorporava nel suo titolo il nome della contrada (23).
a) Nella guerra come nella pace, un esempio di perfezione Due principi fondamentali definivano la fisionomia del nobile: 1. Essendo un uomo da prendere a modello, posto al vertice del feudo come la fiamma sulla lampada, doveva per definizione dimostrare di essere un eroe cristiano disposto ad ogni olocausto in favore del bene del suo Re e del suo popolo e un braccio temporale armato in difesa della Fede e della Cristianità, nella frequente guerra contro i pagani e gli eretici. 2. Ma, pari passu, egli, come tutta la sua famiglia, doveva dare in tutto il resto il buon esempio, o meglio un ottimo esempio, ai suoi sudditi e ai suoi pari. Nella virtù come nella cultura, nell'esimio tratto sociale, nella finezza dei gusti, nella decorazione della casa e nelle feste, il suo esempio doveva trascinare tutto il corpo sociale affinché analogamente ognuno migliorasse in tutto.
b) Il cavaliere cristiano - la dama cristiana
Il Principe Eugenio di Savoia, uno dei più brillanti capi militari di tutti i tempi
Madame Elisabetta, la sorella più giovane del Re Luigi XVI di Francia, ammirata anche per la sua carità verso i poveri ed il suo eroismo durante la Rivoluzione Francese Come vedremo più avanti, questi due princìpi, avevano una mirabile portata pratica. Durante il Medioevo, essi furono applicati con autenticità di convinzioni e di sentimenti religiosi. Così prese forma nella cultura europea, e poi in quella di tutto l'occidente, la fisionomia spirituale del cavaliere cristiano e della dama cristiana. Cavaliere e dama, due concetti che nel corso dei secoli, e nonostante i successivi annacquamenti di contenuto provocati dalla progressiva laicizzazione dell'Ancien Régime, hanno sempre designato l'eccellenza del tipo umano. Ciò vale anche nei giorni nostri, in cui entrambi i qualificativi sono diventati deprecabilmente obsoleti. Avendo la nobiltà perso, non soltanto in Italia (che Pio XII teneva particolarmente presente) ma in tanti altri paesi, tutto quanto abbiamo descritto, le è rimasta principalmente il suo eletto tipo umano. Tale tipo, supremo e ultimo tesoro, non può essere conosciuto in profondità senza tenere presente come andò formandosi nel corso del processo generatore del feudalesimo e della gerarchia feudale.
c) Olocausto, buone maniere, etichetta e protocollo - Semplificazioni e mutilazioni imposte dal mondo borghese Olocausto. La parola merita di essere sottolineata, poiché l'olocausto aveva, nella vita del nobile, un'importanza centrale. In un certo senso, esso si faceva sentire perfino nella vita sociale, sotto forma di un'ascesi che la segnava profondamente. Infatti, le buone maniere, l'etichetta e il protocollo prendevano forma secondo modelli che esigevano da parte del nobile una continua repressione di ciò che v'è di volgare, di grossolano e perfino di prepotente in così tanti impulsi umani. La vita sociale era, sotto certi aspetti, un sacrificio continuo che andava diventando sempre più esigente man mano che la civiltà progrediva e si raffinava. Quest'affermazione potrà suscitare un sorriso di scetticismo in non pochi lettori. Perché costoro possano ben valutare quanto c'è in essa di reale, basterà che considerino le mitigazioni, le semplificazioni e le mutilazioni che il mondo borghese, nato dalla Rivoluzione francese, ha gradualmente imposto alle etichette e ai cerimoniali sopravvissuti nei nostri giorni. Invariabilmente tutte queste alterazioni sono state fatte per offrire spensieratezza, comodità, conforto borghese ai magnati dell'arrivismo, decisi a conservare per quanto possibile, nel seno della loro recente opulenza, la volgarità delle loro anteriori condizioni di vita. Così, l'erosione di ogni buon gusto, di ogni etichetta e bella maniera obbediva al desiderio di laissez-faire, di rilassamento, e a favorire il dominio del capriccio inopinato e stravagante dell'hippismo, che giunse al suo apice nella folle ribellione della Sorbona, nel 1968, e nei movimenti giovanili tipo punk, dark, etc., che ne sono seguiti.
d) Varietà armonica nella pratica delle virtù evangeliche: nell'annientamento di se stesso nello stato religioso - in mezzo alle grandezze e agli splendori della società temporale Bisogna qui menzionare un profilo morale che spicca in modo accentuato in numerosi nobili. Molti santi, nati nobili, rinunciarono interamente alla loro condizione sociale per praticare la perfezione della virtù nell'annientamento terreno dello stato religioso. E che splendidi esempi hanno dato così alla Cristianità e al mondo! Ma altri santi, anch'essi nati nobili, rimasero fra le grandezze terrene, mettendo così in rilievo agli occhi delle altre categorie sociali, col prestigio inerente alla loro condizione socio-politica, tutto quanto c'è di ammirevole nelle virtù cristiane, e dando un buon esempio morale a tutta la collettività al vertice della quale si trovavano. Questo, con grande vantaggio non solo per la salvezza delle anime, ma anche per la stessa società temporale. In questo senso, niente è più efficace per lo Stato e la società che l'avere nei loro gradini superiori persone aureolate con l'alta e sublime rispettabilità che s'irradia dalla personalità dei santi della Chiesa cattolica. Inoltre, questi santi - così degni di rispetto e ammirazione per la loro condizione gerarchica - diventavano particolarmente amabili agli occhi delle moltitudini per la pratica costante ed esemplare della carità cristiana. Effettivamente sono innumerevoli i nobili beatificati o canonizzati che – senza rinunciare a quegli onori terreni cui avevano diritto per la loro origine nobiliare - eccelsero per il loro particolare amore agli sventurati: ossia per la loro spiccata opzione preferenziale per i poveri. In questo stesso servizio sollecito ai poveri, brillarono frequentemente i nobili che preferirono gli ammirevoli sacrifici della vita religiosa per farsi poveri con i poveri, in modo da alleggerire loro le croci della vita terrena preparandoli per il Cielo. Allungheremmo troppo questo studio se facessimo qui menzione dei così numerosi nobili, di entrambi i sessi, sia fra coloro che praticarono le virtù evangeliche in mezzo alle grandezze e gli splendori della società temporale, che fra coloro che le praticarono nella rinuncia alla vita secolare, per amore di Dio e del prossimo (24).
La battaglia di Rocroy. Il vittorioso principe di Condé si mostra clemente con l’eroico esercito vinto e) Come non governare - come governare Governare non significa solo, né principalmente, promulgare leggi e punire coloro che le trasgrediscono, costringendo la popolazione ad obbedire mediante una burocrazia tanto più efficace quanto più onnicomprensiva, ed una forza poliziesca tanto più coercitiva quanto più invadente e intimidatoria. In questo modo si può governare, nella migliore delle ipotesi, una prigione, ma non un popolo. Come abbiamo osservato all'inizio di questo capitolo, per governare gli uomini è necessario innanzitutto conquistarne l'ammirazione, la fiducia e l'affetto. A questo risultato non si giunge senza una profonda consonanza di princìpi, di aspirazioni, di ripulse, senza un sistema di cultura e di tradizioni comuni a governati e governanti. Quest'obiettivo, i signori feudali l'ottennero in genere nei rispettivi feudi, stimolando continuamente le popolazioni verso la perfezione in tutti i campi. Perfino per avere il consenso popolare alle guerre provocate dalle condizioni dell'epoca, la nobiltà usò mezzi di persuasione, dando ad esempio ogni priorità ad un totale appoggio alle prediche della gerarchia ecclesiastica sulle circostanze morali che potevano far diventare legittima una guerra intrapresa sia per motivi religiosi che temporali.
f) Il bonum e il pulchrum della guerra giusta - i cavalieri li sentivano fin nel fondo dell'anima Il bonum della guerra giusta, la nobiltà lo faceva risplendere, insieme al pulchrum, nella forza espressiva del cerimoniale bellico, nel brillare degli armamenti, nell’addobbamento dei cavalli, etc. La guerra, per il nobile, era un olocausto per la esaltazione della Chiesa, per la libera diffusione della Fede, per il legittimo bene comune temporale. Era un olocausto al quale egli era ordinato, analogamente al modo in cui chierici e religiosi erano ordinati agli olocausto morali inerenti ai rispettivi stati. Il bonum e il pulchrum di questo olocausto, i cavalieri - che del resto non sempre erano nobili - lo percepivano fin nel fondo dell'anima, e in questo stato d'animo partivano per la guerra. La bellezza di cui circondavano la loro attività militare era ben lungi dal rappresentare, per loro, un semplice mezzo di sedurre e persuadere alla guerra gli uomini validi della plebe. Nonostante ciò, produceva concretamente quest'effetto sulle popolazioni. (Notiamo di passaggio che per il popolo non esisteva una leva obbligatoria, con l'ampiezza e durata indefinita delle mobilitazioni dei nostri giorni). Beninteso, molto più delle brillanti apparenze, influiva sulla popolazione, in quei tempi di Fede ardente, l'insegnamento della Chiesa. Essa non lasciava dubbi sul fatto che, oltre ad essere semplicemente lecita, la guerra santa poteva costituire un dovere per tutto il popolo cristiano, compresi sia i nobili che i plebei (25). Note: 23) Questa simbiosi tra uomo, funzione e terra, fu espressa in modo toccante da Paul Claudel ne L'Otage: "Coufontaine - …. Così come la terra ci dà il suo nome, io le dò la mia umanità. In essa, noi siamo sprovvisti di radici; in me per la grazia di Dio essa non è sprovvista del suo frutto, il quale sono io, suo signore. "È per questo che, preceduto dal 'de', sono io l'uomo che per eccellenza utilizza il suo nome. "Come una piccola Francia, il mio feudo è il mio regno; la terra in me e nella mia stirpe, diventa gentile e nobile, come qualcosa che non può essere comperata". (Gallimard, 1952, pp 26-27). 24) Sul numero dei nobili elevati dalla Chiesa all'onore degli altari, Cfr. Documenti XII. 25) In Documenti XI, il lettore potrà trovare gli insegnamenti di Papi, santi, dottori e teologi sulle condizioni di liceità della guerra. |