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Plinio Corrêa de Oliveira
Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana
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CAPITOLO I Per smontare obiezioni previe
Solenne Messa Pontificale nella Basilica di San Pietro
In un viaggio per ferrovia, la regola prevede che il macchinista e i passeggeri occupino i rispettivi posti, il capostazione dia il segnale di partenza e il treno si metta in movimento. Ugualmente, nel lavoro intellettuale, bisogna iniziare esponendo i princìpi preliminari, giustificandoli criteriologicamente quando necessario, per poi passare al corpo della dottrina. Tuttavia, se la psicologia di molti lettori sembra essere prevenuta contro l'argomento da trattare, o animata da preconcetti molto radicati, la situazione è simile a quella di un macchinista che - avendo i passeggeri già occupato i loro posti - si rende conto che i binari sono colmi di ostacoli. Il viaggio non inizia, quindi, con la partenza del convoglio, ma con la rimozione previa di questi ostacoli, poiché solo dopo questa operazione la partenza sarà possibile. Analogamente, nella materia che tratteremo in questa opera, gli ostacoli - ossia i preconcetti che riempiono la mentalità di numerosi lettori riguardo la nobiltà e le élites tradizionali analoghe - sono tanto numerosi che l'argomento può essere trattato solo dopo la loro rimozione. Ecco quindi spiegato quel che poteva apparire strano o inusuale nel titolo e nel contenuto di questo primo capitolo. l. Senza pregiudizio per una giusta e ampia azione in favore dei lavoratori, è opportuna un'azione in favore delle élites Non è necessario ricordare che, oggigiorno, si parla molto di rivendicazioni sociali in favore dei lavoratori. La sollecitudine che si manifesta in tal senso è, in linea di massima, altamente lodevole e degna di essere sostenuta da tutti gli animi retti. Tuttavia, insistere unilateralmente in favore della classe lavoratrice, senza prendere in considerazione i problemi e i bisogni delle altre classi, a volte crudelmente colpite dalla grande crisi contemporanea, significa dimenticare che la società si compone di classi differenti, aventi funzioni, diritti e doveri specifici; e che non è composta soltanto da lavoratori manuali. La formazione, in tutto il mondo, di un'unica società senza classi è un'utopia che costituisce il tema invariabile dei successivi movimenti ugualitari scoppiati nell'Europa cristiana a partire dal secolo XV; ai nostri giorni, questa utopia viene predicata principalmente da socialisti, comunisti e anarchici (1). Le TFP e gli uffici delle TFP diffusi in Europa, nelle tre Americhe e in Oceania ed Africa, sono molto favorevoli a tutti i ragionevoli miglioramenti in favore della classe lavoratrice; ma non possono accettare l'idea che questi miglioramenti comportino la scomparsa delle altre classi, o un tale declino del loro significato, dei loro doveri, diritti e funzioni specifici in favore del bene comune, da equivalere alla loro virtuale estinzione. Impegnarsi a risolvere la questione sociale, appiattendo tutte le classi nell'illusione di beneficarne una sola, significa provocare una vera e propria lotta di classe, poiché sopprimerle tutte a beneficio esclusivo della dittatura di una sola, cioè del proletariato, significa costringere le altre classi all'alternativa tra la legittima difesa e la morte. Non ci si può attendere che le TFP siano d'accordo con questo processo di appiattimento sociale. Infatti, in contrapposizione ai sostenitori della lotta di classe - e in collaborazione con le molteplici iniziative che oggi si svolgono in favore della pace sociale mediante la giusta e necessaria promozione dei lavoratori - è necessario che tutti i nostri contemporanei ben orientati svolgano un'azione in favore dell'ordine sociale, opponendosi all'azione socialista o comunista mirante a creare tensioni e infine a far scoppiare la lotta di classe. Per mantenere l'ordine sociale è necessario che ad ogni classe venga riconosciuto il diritto a ciò che le spetta per esistere degnamente, e che ognuna, rispettata nei propri diritti specifici, sia in condizioni di compiere i doveri che le competono in ordine al bene comune. In altri termini, è indispensabile che l'azione a beneficio degli operai si coniughi con un'altra simmetrica in favore delle élites. Se la Chiesa si interessa alla questione sociale, non lo fa perché ami solo la classe operaia. Essa non è un Labour Party fondato per proteggere una sola classe. Più che le varie classi considerate ciascuna singolarmente e senza rapporto con le altre, essa ama la giustizia e la carità, impegnandosi a farle regnare tra gli uomini. Proprio per questo essa ama tutte le classi sociali... compresa la nobiltà, oggi così combattuta dalla demagogia ugualitaria (2). Queste osservazioni ci conducono naturalmente al tema di questo libro. Da una parte, difatti, Pio XII riconosce alla nobiltà un'importante e peculiare missione nel contesto della società contemporanea, missione che, come più avanti commenteremo, compete analogamente, in buona misura, alle altre élites sociali. Il Sommo Pontefice lo prova nelle 14 magistrali allocuzioni pronunciate nelle udienze augurali per l'anno nuovo concesse al Patriziato e alla Nobiltà romana negli anni tra il 1940 e il 1952, e di nuovo nel 1958 (3). D'altra parte, nessuno ignora la grande e multiforme offensiva portata avanti in tutto il mondo contemporaneo per lo sminuimento e l'estinzione della nobiltà, come pure delle altre élites. Basta constatare l'opprimente pressione, esercitata da ogni parte, volta ad ignorare, contestare o sminuire incessantemente il loro ruolo. In certo modo, dunque, l'azione in favore della nobiltà e delle élites è oggi più opportuna che mai. Così, bisogna formulare con sereno coraggio la seguente affermazione: nella nostra epoca, in cui è diventata così necessaria una opzione preferenziale per i poveri, si rende pure indispensabile una opzione preferenziale per i nobili, includendo in questa espressione anche altre élites tradizionali esposte al rischio della scomparsa e degne di appoggio. L'affermazione potrà sembrare assurda, visto che, in tesi, la condizione operaia è più vicina alla povertà di quanto non sia quella nobiliare, essendo poi notoria l'esistenza di molti nobili dotati di grandi fortune. Di grandi fortune, certo, a volte; ma in genere corrose da una implacabile persecuzione fiscale che ci pone continuamente davanti agli occhi l'avvilente spettacolo di castellani obbligati a trasformare buona parte dei loro castelli in alberghi o centri turistici, occupando essi stessi soltanto una parte della magione famigliare. 0 di castelli in cui il castellano svolge il ruolo, allo stesso tempo, di intendente e di cicerone - quando non di barista - mentre la castellana si affanna in lavori a volte non lontani dalla condizione servile, allo scopo di mantenere pulita e presentabile la dimora dei suoi antenati. Contro questa persecuzione - che si presenta del resto sotto varie forme, come è accaduto con l'abolizione del maggiorascato e l'obbligatoria spartizione delle eredità non sarebbe necessaria un' “opzione preferenziale per i nobili” ? No, se la nobiltà andasse necessariamente considerata come una classe parassitaria che dilapida i propri beni. Ma questa immagine della nobiltà, che fa parte della leggenda nera diffusa dalla Rivoluzione francese e di quelle successivamente avvenute in Europa e nel mondo, Pio XII l'ha respinta. Sebbene affermi chiaramente che nell'àmbito della nobiltà sono avvenuti abusi ed eccessi degni di severa censura da parte della storia, egli descrive, con parole commosse, la consonanza della missione della nobiltà con l'ordine naturale delle cose, istituito da Dio stesso, come pure il carattere elevato e benefico di questa missione (4).
Pio XII sulla sedia gestatoria 2. Nobiltà: specie del genere “élites tradizionali” Apparirà frequentemente, in questo libro, l'espressione élites tradizionali. Con essa designiamo una realtà socio-economica che può esser descritta come segue. Secondo i testi pontifici che commenteremo, sotto tutti i punti di vista la nobiltà costituisce una élite, la più alta di esse, ma, certo, non l'unica. Nel genere élites, essa è una specie. Vi sono élites che sono tali per il fatto di partecipare delle caratteristiche e delle funzioni della nobiltà; ve ne sono altre che svolgono funzioni diverse nel corpo sociale, ma che non per questo mancano di una dignità particolare. Vi sono dunque élites che non sono nobiliari né ereditarie ex natura propria. Così, per esempio la professione di docente universitario incorpora i propri membri, a pieno titolo, a quella che si può chiamare l'élite di una nazione. Lo stesso accade con la professione di militare, di diplomatico, e di altre simili. Questi vari rami dell'attività umana, come abbiamo già detto, non costituiscono più privilegio della nobiltà. Tuttavia, non sono pochi i nobili che vi si dedicano, e nessuno pensa che, così facendo, questi nobili decadano ipso facto dalla loro condizione. Al contrario, l'esercizio di queste attività permette che il nobile contraddistingua la sua professione con l'eccellenza delle qualità specifiche della nobiltà (5). In questo elenco di élites, non vanno dimenticate quelle che muovono la vita economica di una nazione, nell'industria e nel commercio. Queste funzioni sono non solo lecite e degne, ma anche di evidente utilità. Tuttavia, lo scopo immediato e specifico di queste professioni è l'arricchimento di coloro che l'esercitano, ossia è solo arricchendosi a proprio vantaggio che, ipso facto e per una conseguenza collaterale, arricchiscono la nazione. E questo da solo non basta a conferire alcun carattere di nobiltà a queste professioni. In effetti, è necessaria una speciale consacrazione al bene comune – e soprattutto a ciò che questo ha di più prezioso, ossia la formazione cristiana della civiltà - per conferire un certo splendore nobiliare ad un'élite. Tuttavia, quando le circostanze offrono a industriali o commercianti l'occasione di prestare al bene comune notevoli servizi, con rilevante sacrificio di legittimi interessi personali - e sempre che questi servizi vengano effettivamente prestati - questo splendore rifulge anche in quanti abbiano svolto con adeguata elevatezza d'animo la propria attività commerciale o industriale. Non solo. Se, per una felice coincidenza di circostanze, in una famiglia non nobile, una stessa stirpe esercita per varie generazioni una di queste attività, ciò può essere senz'altro considerato sufficiente per elevare questa famiglia alla condizione nobiliare. Qualcosa del genere accadde con la nobiltà veneziana, composta solitamente da commercianti. Dato che questa classe esercitò il governo della Serenissima Repubblica, e curò lo stesso bene comune di quello Stato elevandolo alla condizione di potenza internazionale, non meraviglia che questi commercianti abbiano avuto accesso alla condizione nobiliare. Questo avvenne in modo così effettivo e naturale che assunsero pienamente l'elevato tonus di cultura e di stile della migliore nobiltà militare e feudale. D'altra parte, vi sono élites tradizionali fondate, fin dai loro primordi, su capacità e virtù che sono palesemente trasmissibili mediante la continuità genetica o dell'ambiente e dell'educazione famigliare (6). Quando questa trasmissibilità manifesta i suoi effetti e, di conseguenza, si costituiscono famiglie - a volte anche vasti insiemi di famiglie - che di generazione in generazione si distinguono per i loro rilevanti servigi al bene comune, allora sorge un'élite tradizionale. Essa unisce così la condizione di élite al prezioso predicato di essere tradizionale. A volte essa non si costituisce come classe formalmente nobiliare, per il mero fatto che in alcuni Paesi la legislazione, influenzata dalle dottrine della Rivoluzione francese, vieta al pubblico potere di conferire titoli nobiliari. E questo il caso di certi Stati non solo europei, ma anche del continente americano. Nonostante questo, gli insegnamenti pontifici sulla nobiltà sono in larga parte applicabili a queste élites tradizionali, in virtù dell'analogia delle situazioni. Ne deriva l'importanza e l'attualità di questi insegnamenti pontifici anche per coloro che, alfieri di autentiche ed elevate tradizioni famigliari, pur non essendo decorati da titoli nobiliari, hanno il dovere di compiere, nei rispettivi Paesi, una nobile missione in favore del bene comune e della Civiltà cristiana. Mutatis mutandis, lo stesso si può dire delle élites non tradizionali, nella misura in cui vanno diventando tradizionali.
Anche i successori di Pio XII ci hanno lasciato significativi documenti sull’importante e intramontabile missione della nobiltà nel nostro tempo. E’ degno di nota l’allocuzione di Paolo VI al Patriziato ed alla Nobiltà romana del 14 gennaio 1964 (foto sopra) Sotto, un altro momento della stessa udienza. Da sinistra verso destra, si notano, dopo il Papa, la famiglia dei principi Colonna, Mons. Filippo Pocci e Mons. Alulfi Pentini
3. Obiezioni antinobiliari impregnate dello spirito ugualitario della Rivoluzione francese Nobiltà, élites: perché mai, in questo libro, ci preoccupiamo solo di loro? Questa è l'obiezione che, indubbiamente, verrà in mente a lettori ugualitari, dalla mentalità ipso facto antinobiliare. La società odierna è satura di preconcetti radicalmente ugualitari, a volte accolti coscientemente o meno perfino da persone che fanno parte di settori di opinione dai quali si potrebbe aspettare una compatta unanimità nel senso opposto. E questo il caso, per esempio, di ecclesiastici entusiasmati dal trinomio rivoluzionario Libertà-Uguaglianza-Fratellanza e per ciò stesso dimentichi del fatto che esso veniva allora interpretato in un senso diametralmente contrario alla dottrina cattolica (7). Se troviamo queste dissonanze ugualitarie perfino in certi ambienti del clero, non deve sorprendere tanto il fatto che si manifestino anche fra nobili o membri di altre élites tradizionali. Essendo recentemente caduto il secondo centenario della Rivoluzione francese, queste riflessioni fanno venire in mente istintivamente il nobile rivoluzionario per eccellenza: il Duca di Orléans Philippe Egalité. Da allora in poi, il suo esempio non ha cessato di essere imitato in più di una stirpe illustre. Quando, nel 1891, Leone XIII pubblicò la sua celebre Enciclica Rerum novarum sulla condizione del mondo operaio, non mancò chi obiettasse, in certi ambienti capitalistici, che le relazioni tra capitale e lavoro costituivano materia specificamente economica, per cui il Romano Pontefice non aveva nulla a che fare con essa. La sua Enciclica costituiva pertanto una indebita intromissione in campo altrui... Non mancheranno lettori che, a loro volta, si domanderanno cosa ha a che fare un Papa con la nobiltà o con le élites, tradizionali o meno. La loro stessa sopravvivenza, nei nostri tempi così cambiati, sembrerà un residuo arcaico e inutile del mondo feudale. In questa prospettiva, la nobiltà e le élites contemporanee non sarebbero altro che un punto di riferimento, e addirittura di irradiazione, di maniere di pensare, sentire ed agire non apprezzate dall'uomo di oggi, e nemmeno capite. Quei pochi che ancora le apprezzano sarebbero ispirati da fatui sentimenti meramente estetici o poetici. Coloro che, per il fatto di farne parte, si sentono ancora in posizione di rilievo, sarebbero vittime di un mero sentimento di orgoglio e di vanità. Nulla quindi impedirà – penseranno questi lettori - che il percorso implacabile dell'evoluzione storica finisca per ripulire interamente la faccia della terra da queste sopravvivenze obsolete. E se Pio XII non ha agevolato il cammino della Storia - così inteso - almeno non doveva ostacolarlo. Perché mai, inoltre, Pio XII ha trattato così ampiamente questo argomento in un senso che evidentemente lusinga animi contro rivoluzionari come quello di colui che ha raccolto i suoi insegnamenti sul tema, li ha annotati ed adesso li rende pubblici? Non sarebbe stato meglio che il Pontefice avesse taciuto? La risposta a queste obiezioni ugualitarie, impregnate della vecchia mentalità dell'Ottantanove, è semplice. Chi la vuole conoscere, non potrà far nulla di meglio che ascoltarla dalle stesse autorevoli parole di quel Pontefice. Come più avanti si vedrà (8), nelle sue allocuzioni al Patriziato ed alla Nobiltà romana, egli indica, con notevole potere di sintesi, il profondo significato morale del suo intervento in questa materia. Egli mette anche in rilievo il ruolo legittimo della nobiltà, nel contesto di una dottrina sociale ispirata dal Diritto naturale nonché dalla Rivelazione. Contemporaneamente, mostra tutte le ricchezze spirituali che, nel passato cristiano, furono caratteristiche della nobiltà, e asserisce che essa continua ad essere custode di queste ricchezze, aggiungendo che le spetta l'elevata missione di affermarle e irradiarle nel mondo contemporaneo. E ciò perfino quando l'azione devastante delle rivoluzioni ideologiche, delle guerre mondiali e delle crisi socio-economiche avessero ridotto molti nobili in concreto ad una condizione modesta. In più di un passaggio, e in maniera altamente onorifica, il Pontefice ricorda l'analogia della loro situazione con quella di san Giuseppe, Principe della Casa di Davide eppure modesto carpentiere, ma soprattutto padre putativo del Verbo Incarnato e casto sposo della Regina di tutti gli Angeli e di tutti i santi (9). 4. Gli insegnamenti di Pio XII: valido scudo davanti agli attacchi alla nobiltà Non è impossibile che alcuni lettori appartenenti alla nobiltà si domandino che beneficio possano trarre dalla lettura di questo studio. Infatti, penseranno, la maggior parte di questi insegnamenti non li abbiamo forse già ricevuti nell'àmbito venerato del focolare paterno, ricco di tradizioni di alto significato formativo e morale? Non li abbiamo già praticati per tutta la vita, con gli occhi levati al nostalgico esempio dei nostri antenati? È ben vero che forse non era tanto chiara nel loro animo l'inestimabile radice religiosa di questi doveri, né il loro fondamento nei documenti pontifici. Tuttavia - domanderanno ancora - in che cosa ci porterà un vero arricchimento dell'anima il conoscere tutto questo, se quello che custodivamo come preziosa eredità domestica è stato finora sufficiente per dare alla nostra vita un orientamento insieme genuinamente aristocratico e genuinamente cristiano? Un aristocratico che, avanzando queste motivazioni, giudicasse inutile lo studio degli immortali testi di Pio XII sulla nobiltà romana - così validi per tutta la nobiltà europea - dimostrerebbe di essere superficiale tanto nello spirito quanto nella formazione religiosa. L’integrità morale del cattolico, o si fonda sulla conoscenza lucida e amorevole degli insegnamenti della Chiesa e nella radicata adesione ad essi, oppure manca di serio fondamento, rischiando di crollare da un momento all'altro, soprattutto nel periodo turbolento e saturo di incitamenti al peccato e alla rivoluzione sociale dell'attuale società post-cristiana. Contro le seduzioni e le pressioni di questa società, la soave e profonda influenza della formazione domestica non basta, se non viene sostenuta dagli insegnamenti della Fede e dall'osservanza effettiva dei Comandamenti, come pure dalla pratica assidua dei doveri di pietà e dal ricorso frequente ai Sacramenti. In questa prospettiva, è necessariamente di grande incoraggiamento per il vero aristocratico cattolico sapere che il suo modo tradizionale di pensare, sentire ed agire, proprio in qualità di aristocratico, trova ampio e stabile fondamento negli insegnamenti del Vicario di Cristo. Questo è tanto più sicuro in quanto il nobile, nell'epoca di democratismo neopagano in cui vive, va soggetto a incomprensioni, contestazioni e perfino sarcasmi talvolta così insistenti da potersi esporre alla vile tentazione di vergognarsi di essere nobile. Ne nascerà facilmente la speranza di sottrarsi a questa situazione scomoda abbandonando tacitamente o espressamente la sua condizione nobiliare. Gli insegnamenti di Pio XII al riguardo, che qui pubblichiamo e commentiamo, gli faranno in questa emergenza da scudo validissimo davanti agli ostinati nemici della nobiltà, giacché costoro sono obbligati a riconoscere che il nobile fedele a se stesso, alla Fede ed alle sue tradizioni non è uno stravagante che ha elucubrato per proprio conto le convinzioni e lo stile di vita che lo caratterizzano. Tutto questo gli deriva da una fonte immensamente più alta, da un'ispirazione immensamente più universale rappresentata dall'insegnamento tradizionale della Chiesa cattolica. Questo insegnamento, è possibile che sia odiato dagli oppositori della nobiltà. Tuttavia non è loro possibile degradarlo a semplice categoria di elucubrazione individuale fatta da uno stravagante paladino donchisciottesco di un mondo che fu e non potrà più esistere. Tutto questo non persuaderà forse il contestatore, ma imporrà alla sua offensiva un calo di disinvoltura e di forza d'impatto, il che è polemicamente molto vantaggioso per l'apologista della nobiltà e delle élites tradizionali. Questo vale soprattutto se il detrattore della classe nobiliare sia un cattolico o – proh dolor! - un sacerdote. Nella tragica crisi in cui si dibatte la Chiesa (10) - alla quale allude Paolo VI impiegando l'espressione “autodemolizione” e affermando di avere la sensazione che il “fumo di Satana è penetrato nel tempio di Dio” (11). “Riferendosi alla situazione della Chiesa di oggi, il Santo Padre afferma di avere la sensazione che ‘da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio”'(Omelia “Resistite Fortes in Fide”, 29/6/72, in Insegnamenti di Paolo VI, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1972, vol. X, p. 707). - Non è difficile che ciò avvenga e che un'offensiva contro la nobiltà, come pure contro altre élites tradizionali e addirittura non tradizionali, pretenda di basarsi su passi della Sacra Scrittura. In questa circostanza, è molto importante per il nobile, come per i membri di ogni altra élite, appoggiarsi all'insegnamento di Pio XII e anche dei suoi predecessori e successori, mettendo l'oppositore nella situazione di confessare il suo errore, o di porsi in esplicita contraddizione con gli insegnamenti pontifici citati in questo studio. 5. Insufficienza delle nozioni intuitive ed implicite - Ricchezza di concetti con cui Pio XII ha trattato l’argomento Abbiamo fatto poco fa riferimento alle contestazioni delle quali è oggetto, ai nostri giorni, l'istituzione nobiliare, e alle pronte e taglienti risposte che i nobili debbono dare in sua difesa. In realtà, a quelli che discutono in favore e contro la nobiltà non manca una certa quale nozione intuitiva e vaga di ciò che essa proclama di essere, riguardo alla sua stessa natura, ragione d'essere e fedeltà alla Civiltà cristiana. Tuttavia, semplici nozioni intuitive di questo genere, di solito più implicite che esplicite, non bastano a costituire la materia prima di una discussione seria e concludente con gli oppositori. Da qui viene l'abituale sterilità di tante controversie sull'argomento. Purtroppo, si deve aggiungere che la bibliografia ostile alla nobiltà è molto più abbondante e facile da trovarsi di quella in suo favore. Questo spiega, almeno in parte, il fatto che i difensori della nobiltà siano frequentemente meno informati sulla materia, e che pertanto si dimostrino più insicuri e timorosi dei loro avversari. Gli aspetti principali di un'aggiornata apologia della nobiltà e delle élites tradizionali sono espressi dall'indimenticabile Pontefice Pio XII nelle sue allocuzioni al Patriziato e alla Nobiltà romana, con quell'elevatezza di vedute, ricchezza di concetti e concisione di linguaggio che il lettore potrà apprezzare più avanti. Ciò costituisce un motivo di più per valutare l'utilità e l'opportunità di questo studio.
La Guardia Nobile Pontificia presta omaggio al Papa in occasione del Natale del 1945. Da sinistra a destra (partendo dalla seconda guardia) si vedono il marchese Francesco Theodoli, il principe Giulio Pacelli (nipote del Papa), i nobili Agostino Sacconi e Angelo Antonucci Lucidi, il conte Federico Moroni e il nobile Fabio Petrucci. Dietro il Papa, il principe Francesco Chigi della Rovere, Comandante del Corpo della Guardia Nobile. 6. Allocuzioni di pura convenienza sociale, vuote di contenuto, di pensiero e di sentimento? Probabilmente ci saranno alcuni che, con palese superficialità, riterranno di essere dispensati dal leggere e meditare le allocuzioni di Pio XII al Patriziato e alla Nobiltà romana, col pretesto che siano documenti di esclusiva convenienza sociale, senza alcun contenuto dottrinario o affettivo. Il giudizio di Paolo VI al riguardo era molto diverso: “Vorremmo dirvi molte cose. La vostra presenza suscita tante riflessioni. Così era anche per i Nostri venerati Predecessori, per Papa Pio XII di felice memoria specialmente, i quali in occasione come questa ebbero a rivolgere a voi magistrali discorsi, che invitavano la vostra meditazione a considerare alla luce dei loro mirabili insegnamenti sia le condizioni vostre, sia quelle del tempo nostro. Vogliamo credere che l'eco di quelle parole, simile a vento che gonfia una vela, come non è spento in Noi che, estranei a questa caratteristica adunanza, ne raccoglievamo l'onda riflessa, vibri ancora nei vostri animi per riempirli di quegli austeri e magnanimi richiami, onde si alimenta la vocazione, prefissa dalla Provvidenza alla vostra vita, e si regge la funzione tuttora reclamata nei vostri riguardi dalla società contemporanea” (12). Del resto, per quanto riguarda il loro contenuto dottrinale, la semplice lettura dei testi di queste allocuzioni e dei commenti che le accompagnano, ne mostra tutta l'opportunità e le molteplici ricchezze contenutevi. Leggendo queste pagine apparirà evidente che questa opportunità, ben lungi dall'impallidire, non ha fatto che accentuarsi col tempo. Rimane da dire qualcosa sul contenuto affettivo di queste allocuzioni. Al riguardo, basta riferire queste parole rivolte da Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana nel suo discorso dei 1958: “Voi che, all'inizio degli anni nuovi, non mancavate di renderci visita, ricordate certamente la premurosa sollecitudine, con cui Ci adoperammo per spianarvi la via verso l'avvenire, che si annunziava fin d'allora aspra per i profondi sconvolgimento e le trasformazioni incombenti sul mondo. Siamo pertanto certi che voi, quando anche le vostre fronti saranno incorniciate di neve e di argento, sarete testimoni non soltanto della Nostra stima e del Nostro affetto, ma altresì della verità, fondatezza ed opportunità delle Nostre raccomandazioni, come dei frutti che vogliamo sperare ne siano provenuti a voi stessi ed alla società. Ricorderete in particolare ai figli ed ai nipoti come il Papa della vostra infanzia e fanciullezza non omise d'indicarvi i nuovi uffici che imponevano alla Nobiltà le mutate condizioni dei tempi” (13). Queste parole mostrano, senza dubbio alcuno, che le allocuzioni di Pio XII al Patriziato e alla Nobiltà romana rispondevano ad elevati disegni, chiaramente delineati nella mente e nel cuore del Pontefice, e mostrano anche l'importanza e il carattere duraturo dei frutti che se ne attendeva. Tutto il contrario, dunque, di allocuzioni che fossero di pura convenienza sociale, vuote di contenuto, di pensiero e di affetto. La stima di Pio XII per la nobiltà ereditaria risalta anche con speciale nitore nelle seguenti parole rivolte alla Guardia Nobile pontificia il 26 dicembre 1942: “Voi Guardia della Nostra persona, siete il Nostro usbergo, bello di quella nobiltà ch'è privilegio di sangue, e che già prima della vostra ammissione nel Corpo splendeva in voi quale pegno della vostra devozione, perché, secondo l'antico proverbio, 'bon sang ne peut mentir'. Vita è il sangue che trapassa di grado in grado, di generazione in generazione, nelle illustri vostre prosapie e tramanda seco il fuoco di quell'amore devoto alla Chiesa e al Romano Pontefice, cui non scema ne raffredda il mutar degli eventi, lieti o tristi. Nelle ore più oscure della storia dei Papi, la fedeltà dei vostri antenati rifulse più splendida e aperta, più generosa e ardente, che non nelle ore luminose di magnificenza e di materiale prosperità. (...) Così eletta tradizione di virtù familiare, come nel passato fu tramandata di padre in figlio, continuerà, non ne dubitiamo, a trasmettersi di generazione in generazione, quale retaggio di grandezza d'animo e di nobilissimo vanto del casato” (14).
Paolo VI riceve la Guardia Nobile il 7 gennaio 1964. Da sinistra verso destra, il principe Alessandro Odescalchi con lo stendardo del Corpo, il marchese Alessandro Cavalletti, il conte Carlo Nasalli Rocca di Cornellano, il marchese Luigi Serlupi d’Ongran, il Comandante della Guardia Nobile principe Mario del Drago, Mons. Nasalli Rocca di Cornellano, Maestro di Camera di Sua Santità. 7. Documenti di valore permanente Ma - dirà alla fine qualcuno - dopo Pio XII si è inaugurata per la Chiesa un'altra era, quella del Concilio Vaticano II. Tutte le allocuzioni del defunto Pontefice rivolte al Patriziato ed alla Nobiltà romana sono cadute come foglie morte sul pavimento della Chiesa, e i Papi conciliari e post-conciliari non sono più tornati sull'argomento. Nemmeno questo è vero. Per provarlo, riportiamo in questo studio, argumentandi gratia, espressivi documenti di successori del compianto Pontefice (15). Non rimane dunque che passare allo studio delle allocuzioni di Pio XII, focalizzandole e mettendone in risalto il magnifico tesoro dottrinale.
Giulio Patrizi di Ripacandida, duca di Castelgaragnone, in alta uniforme della Guardia Nobile Note: 1) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 70, 98-105. 2) Cfr. Capitolo IV, 8; Capitolo V, 6. 3) Il Patriziato Romano si divideva in due categorie: a) Patrizi romani, che discendevano da coloro che, nel Medioevo, avevano occupato incarichi civili di governo nella Città Pontificia; b) Patrizi romani coscritti, che appartenevano a una delle sessanta famiglie che il Sommo Pontefice aveva riconosciuto come tali in una Bolla Pontificia speciale, nella quale erano citati nominalmente; questi costituivano il fior fiore del patriziato romano. La nobiltà romana si divideva anch'essa in due categorie: a) I nobili che discendevano dai feudatari, ossia dalle famiglie che avevano ricevuto un feudo dal Sommo Pontefice; b) I semplici nobili, la cui nobiltà proveniva dall'affidamento di un incarico a Corte oppure direttamente da una concessione pontificia. Fra queste allocuzioni, quelle del 1952 e del 1958 compendiavano tutto ciò che il Pontefice aveva detto nelle precedenti. Nel 1944 fu tenuta una allocuzione straordinaria pronunciata l'11 luglio, in cui Pio XII ringraziava le famiglie della Nobiltà romana per l'offerta di una generosa somma di denaro in aiuto dei bisognosi. Tra il 1953 e il 1957, Pio XII non pronunciò allocuzioni al Patriziato e alla Nobiltà romana. Le riprese più tardi, pronunciandone una nel gennaio del 1958. Egli morì il 9 ottobre 1958. 4) Cfr. PNR 1943. 5) Cfr. Capitolo IV, 3 e 7; Capitolo VI, 2, b. 6) Cfr. Capitolo V, 2. 7) Cfr. Capitolo III, 3 e 4; e anche importanti brani di Documenti Pontifici chiarificatori della questione riportati nell'Appendice I. 8) Cfr. Capitolo I, 6. 9) Cfr. Capitolo IV, 8; Capitolo V, 6. 10) La bibliografia su questo tema è vasta. Si veda specialmente: Vittorio Messori a colloquio col cardinale Joseph Ratzinger, Rapporto sulla fede, Edizioni Paoline, Milano 1985, 218 pp.; Romano Amerio, Iota unum – Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli 1985, 656 pp. A titolo di esempio, riportiamo qui alcune altre opere riguardanti questa crisi: Dietrich von Hildebrand, Le cheval de Troie dans la cité de Dieu, Beauchesne, Parigi, 1970, 239 pp.; dr. Rudolf Graber, vescovo di Ratisbona, Athanasius und die Kirche unserer Zeit, Verlag und Druck Joseph Kral, Abensber, 1973, 87 pp.; Dietrich von Hildebrand, Der verwustete Weinberg, Verlag Joseph Habbel, Ratisbona 1973, 247 pp.; Cornelio Fabro, L'avventura della teologia progressista, Rusconi Editore, Milano 1974, 322 pp.; Cornelio Fabro, La svolta antropologica di Kart Rahner, Rusconi Editore, Milano 1974, 250 pp.; Anton Holzer, Vatikanum II - Reform-konzil oder Konstituante einer neuer Kirche, Saka, Basel, 1977, 352 pp.; Wiegand Siebel, Katholisch oder konziliar - Die Krise der Kirche heute, Langen Muller, Munchen-Wien, 1978, 469 pp.; Cardinale Giuseppe Siri, Gethsemani - Réflexions sur le mouvement théologique contemporain, Téqui, Paris, 1981, 384 pp.; Enrique Rueda, The Homosexual Network, The Devin Adair Company, Old Greenwich, Connecticut, 1982, 680 pp.; prof. George May, Der Glauben in der nachkonziliaren Kirche, Mediatrix Verlag, Wien, 1983, 271 pp.; Richard Cowden-Guido, John Paul II and the Battle for Vatican II, Trinity Communications, Manassas, Virginia, 1986, 448 pp. 11) "La Chiesa attraversa oggi un momento di inquietudine. Taluni si esercitano nell'autocritica, si direbbe perfino nell'autodemolizione. È come un rivolgimento interiore acuto e complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio. (...) La Chiesa viene colpita pure da chi ne fa parte" (Discorso al Pontificio Seminario Lombardo, 7/12/68, in Insegnamenti di Paolo VI, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1968, vol. VI, p. 1188). 12) PNR 1964, p. 73 13) PNR 1958, p. 708 14) GNP 1942, pp. 349-350 15) Cfr. Capitolo I, 6; Capitolo IV, 11. |