Plinio Corrêa de Oliveira

 

Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana

 

 

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Marzorati Editore, 1993

ISBN 88-280-0129-1

Per richieste dell'opera in formato cartaceo: www.atfp.it


CAPITOLO II 

Situazione della nobiltà italiana

nel Pontificato di Pio XII

 

La portata universale delle allocuzioni al Patriziato e alla Nobiltà romana 

 

 

Guardia Nobile Pontificale

 

1. Situazione della nobiltà italiana negli anni Quaranta – Perché trattare specificamente della nobiltà italiana? 

Nel 1947, la Costituzione dell'Italia repubblicana dichiarò aboliti i titoli nobiliari (1). Fu così vibrato l'ultimo colpo allo stato giuridico di una classe millenaria, ancor oggi pienamente viva come realtà sociale, aprendo un complesso problema nei suoi diversi aspetti.

Questa complessità risultava evidente già dagli antecedenti della questione. Contrariamente a quanto accade negli altri Paesi europei - Francia e Portogallo, ad esempio - la composizione della nobiltà italiana è estremamente eterogenea. In effetti, prima del processo di unificazione politica avvenuto nella penisola nel secolo passato, i vari sovrani che esercitavano il loro potere su una parte del territorio italiano hanno concesso titoli di nobiltà: Imperatori del Sacro Impero Romano-Germanico, Re di Spagna, delle Due Sicilie, della Sardegna, Granduchi di Toscana, Duchi di Parma, e altri ancora, senza parlare del patriziato di città come Firenze, Genova e Venezia, e soprattutto - ciò che più interessa nel presente studio - i Papi. Anche questi ultimi, sovrani di uno Stato relativamente esteso, concedevano titoli nobiliari, e continuarono a concederli perfino dopo l'estinzione de facto della loro sovranità temporale negli antichi Stati Pontifici.

Quando si consumò, nel 1870, l'unificazione italiana, con l'occupazione di Roma da parte delle truppe piemontesi, la Casa di Savoia tentò di amalgamare queste diverse nobiltà.

Politicamente e giuridicamente l'intento fallì. Molte famiglie nobili si mantennero fedeli alle dinastie deposte, dalle quali avevano ricevuto i loro titoli. In particolare, buona parte della aristocrazia romana continuò a comparire ufficialmente, secondo la tradizione, nelle solennità del Vaticano, rifiutò di riconoscere l'annessione di Roma all'Italia, respinse qualsiasi avvicinamento col Quirinale, e chiuse i suoi salotti in segno di protesta. A questa nobiltà che prese il lutto si diede il nome di Nobiltà Nera.

Tuttavia, socialmente parlando, l'amalgama si realizzò in grado notevole, mediante matrimoni, relazioni sociali, etc., per cui l'aristocrazia italiana costituisce ai nostri giorni, almeno sotto molti punti di vista, un tutt'unico.

Il Trattato Lateranense del 1929, nel suo articolo 42, assicurava tuttavia alla nobiltà romana una situazione speciale, poiché riconosceva al Papa il diritto di continuare a conferire titoli nobiliari e accettava quelli conferiti anteriormente dalla Santa Sede (2). In questo modo, continuarono legalmente a coesistere fianco a fianco - e da allora pacificamente - le due nobiltà, quella italiana e quella romana.

Il Concordato del 1985, stabilito tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, non fa alcuna menzione di questo argomento.

*     *     *

La situazione della nobiltà italiana come del resto quella della nobiltà europea in genere - non mancò di presentare aspetti complessi.

Nel Medioevo, la nobiltà costituiva all'interno dello Stato una classe sociale con funzioni specifiche, alle quali erano legate determinate onorificenze nonché corrispondenti incarichi.

Nel corso dell'epoca moderna, questa situazione è andata perdendo gradualmente la sua consistenza, rilevanza e lucentezza, sicché anche prima della Rivoluzione del 1789 la distinzione tra nobiltà e plebe era molto meno marcata che nel Medioevo.

Nel corso delle rivoluzioni ugualitarie del secolo XIX, la situazione della nobiltà subì successive mutilazioni, fino al punto che, nella monarchia italiana della fine della II Guerra Mondiale, il potere politico della nobiltà sopravviveva a malapena nella condizione di prestigiosa tradizione, vista d'altronde con rispetto e affetto dalla maggioranza della società. Contro questo residuo, la Costituzione repubblicana tentò di vibrare l'ultimo colpo (3).

Ora, mentre si delineava così accentuatamente, nel quadro storico, la curva discendente del potere politico dell'aristocrazia, la situazione sociale ed economica di questa seguiva la stessa direzione, sebbene più lentamente. Per le sue proprietà agricole e urbane, i suoi castelli, i suoi palazzi, i suoi tesori artistici, per la rilevanza sociale dei suoi nomi e dei suoi titoli, per l'insigne valore morale e culturale del suo tradizionale ambiente domestico, delle sue buone maniere, del suo stile di vita, la nobiltà, all'inizio del secolo, si trovava ancora all'apice dell'organizzazione sociale.

Le crisi derivanti dalla I Guerra Mondiale provocarono alcune modifiche a questo quadro, privando parte delle famiglie nobiliari dei loro mezzi di sussistenza e obbligando molti dei loro membri ad assicurarseli - per quanto onestamente e dignitosamente - esercitando professioni in contrasto con la psicologia, le abitudini e il prestigio sociale della classe.

D'altra parte, la società contemporanea, modellata sempre più dalla finanza e dalla tecnica, creava nuovi rapporti e situazioni, come pure nuovi centri di influenza sociale, abitualmente estranei ai quadri classici dell'aristocrazia. Così, tutto un nuovo ordine di cose andava nascendo a fianco dell'antico, che ancora viveva, diminuendo a sua volta l'importanza sociale della nobiltà.

A ulteriore detrimento di questa ultima classe, si aggiungeva infine un fattore ideologico di considerevole importanza. L'adorazione del progresso tecnico (4) e dell'uguaglianza predicata dalla Rivoluzione del 1789 tendeva a creare un clima di odio, di prevenzione, di diffamazione e di sarcasmo verso una nobiltà basata sulla tradizione e trasmessa nel modo che la demagogia ugualitaria odiava di più, ossia mediante il sangue e la culla.

La II Guerra Mondiale provocò nuovi e più ampi rovesci economici a molte famiglie nobili, accentuando ancor di più la gravità dei numerosi problemi ai quali l'aristocrazia doveva far fronte. Si compiva così, in alto grado, la crisi di una grande classe sociale. Fu di fronte a questo scenario che Pio XII trattò della situazione contemporanea della nobiltà italiana, nelle sue allocuzioni al Patriziato ed alla Nobiltà romana, con evidente riferimento a tutta la nobiltà europea.

 

Il Patriziato e la Nobiltà di Roma ricevuti in udienza del Sommo Pontefice

  

2. Pio XII e la nobiltà romana 

Questa situazione, per quanto riguarda la Nobiltà romana, era conosciuta da Pio XII in tutti i suoi dettagli.

In effetti, egli apparteneva ad una famiglia nobile, la cui sfera di relazioni si situava naturalmente nella nobiltà. Del resto, un membro preminente della sua famiglia fu insignito nel 1929 del titolo di Marchese, e i nipoti del Papa - don Carlo Maria, don Marcantonio e don Giulio Pacelli - ricevettero dal Re d'Italia, Vittorio Emanuele III, il titolo ereditario di Principi (5). 

In quel Papa c'era un qualcosa che faceva pensare alla nobiltà: la sua figura alta e slanciata, il suo portamento, i suoi gesti, perfino le sue mani. Quel Pontefice, di spirito così universale e così amico dei piccoli e dei poveri, era allo stesso tempo molto romano e rivolgeva la sua attenzione, la sua considerazione e il suo affetto anche alla nobiltà romana:

“Nel patriziato e nella nobiltà romana Noi rivediamo ed amiamo una schiera di figli e di figlie, il cui vanto è il vincolo alla fedeltà a vita verso la Chiesa e il Romano Pontefice, il cui amore per il Vicario di Cristo erompe dalla profonda radice della fede, né viene meno per volgere di anni e di vicende varianti coi tempi e con gli uomini. In mezzo a voi Ci sentiamo più romani per la consuetudine della vita, per l'aria che abbiamo respirato e respiriamo, per il medesimo cielo, per il medesimo sole, per le medesime rive del Tevere sulle quali posò la Nostra culla, per quel suolo sacro fin nei riposti aditi delle sue viscere, donde Roma trae per i suoi figli gli auspici di una eternità che s'inciela” (6).

 

 

La Guardia Nobile presenta i suoi auguri a Papa Pio XII in occasione del Capodanno. Parla il principe Chigi della Rovere, Comandante del Corpo.

 

3. Portata universale delle allocuzioni di Pio XII al Patriziato e alla Nobiltà romana 

Enunciato così l'argomento, può sembrare, a prima vista, che le allocuzioni al Patriziato ed alla Nobiltà romana interessino soltanto l'Italia.

In realtà, tuttavia, la crisi che colpisce la nobiltà italiana si ritrova, mutatis mutandis, in tutti i Paesi che hanno avuto un passato monarchico e aristocratico, come pure in quelli che vivono attualmente in regime monarchico, con le rispettive nobiltà poste in una situazione analoga a quella che aveva l'Italia prima della caduta della dinastia dei Savoia nel 1946.

C'è di più. Anche negli Stati che non hanno passato monarchico, in virtù dello stesso ordinamento naturale delle cose, si sono costituite aristocrazie di fatto, se non di diritto (7). Ora, anche in questi Paesi l'ondata di ugualitarismo demagogico, nato dalla Rivoluzione del 1789 e portato all'apice dal comunismo, ha creato in certi ambienti un'atmosfera di insofferenza e incomprensione verso le élites tradizionali.

Queste allocuzioni del Santo Padre Pio XII hanno dunque un interesse universale.

Questo interesse è accresciuto dal fatto che, nell'analizzare la situazione come si presenta in Italia, il Papa si eleva ad alte considerazioni dottrinali e quindi di valore perenne e universale.

Per esempio, nell'allocuzione del 26 dicembre 1941, rivolta alla Guardia Nobile Pontificia, si legge questo passo in cui Pio XII - partendo da considerazioni sulla nobiltà - si solleva alle più alte riflessioni filosofiche e religiose:

“Si; la fede rende più nobile la vostra schiera, perché ogni nobiltà viene da Dio, Ente Nobilissimo e fonte di ogni perfezione. Tutto in Lui è nobiltà dell'essere. Quando Mosè, inviato a liberare il popolo d'Israele dal giogo di Faraone, chiese a Dio sul monte Horeb qual fosse il nome di Lui per manifestarlo al popolo, il Signore gli disse: 'Io sono Colui che sono: Ego sum qui sum. Così dirai ai figli di Israele: Colui che è, Qui est, mi ha mandato a voi' (Exod. 3, 14). Che è mai dunque la nobiltà? 'Ogni nobiltà - insegna l'Angelico Dottore san Tommaso - di qualsiasi cosa appartiene ad essa secondo il suo essere; sarebbe infatti nulla la nobiltà che viene all'uomo dalla sua sapienza, se per essa non fosse di fatto sapiente; e così delle altre perfezioni. Dunque il modo della nobiltà di una cosa corrisponde al modo con cui possiede l'essere; giacché una cosa si dice che è più o meno nobile, secondo che il suo essere si restringe a qualche grado speciale maggiore o minore di nobiltà... Ora Dio, che è il suo essere, ha l'essere secondo tutta la virtù dell'essere stesso; quindi non può mancare di nessuna nobiltà che ad alcuna cosa competa' (Contra Gent. l. I, c. 28).

“Anche voi avete da Dio l'essere; Egli vi ha fatti, e non voi stessi. 'Ipse fecit nos, et non ipsi nos' (Ps. 99,3). Vi ha dato nobiltà di sangue, nobiltà di valore, nobiltà di virtù, nobiltà di fede e di grazia cristiana. La nobiltà di sangue voi la mettete al servigio della Chiesa e a guardia del Successore di Pietro; nobiltà di opere leggiadre dei vostri maggiori, che nobilita voi stessi, se voi di giorno in giorno avrete cura di aggiungervi la nobiltà della virtù (...) Tanto degna di lode riluce la nobiltà congiunta con la virtù che la luce della virtù spesso eclissa la chiarezza della nobiltà; e nei fasti e negli atri di grandi famiglie unica e sola nobiltà resta talora il nome della virtù, come non dubitò di affermare anche il pagano Giovenale (Satyr. VIII, 19-20):

“Tota licet veteres exornent undique cerae

“atria, nobilitas sola est atque unica virtus.

“[Benché le vecchie figure di cera ornino dappertutto i palazzi delle grandi famiglie, l'unica ed esclusiva loro nobiltà è la virtù]” (8). 


Note: 

1) Questo capitolo, che si riferisce in modo specifico alla nobiltà italiana, è necessario per comprendere l'insieme delle allocuzioni di Pio XII qui commentate. Ciò nonostante, queste allocuzioni presentano interesse generale per le aristocrazie di tutti i Paesi e anche per le élites analoghe, come abbiamo già rilevato e torneremo ad affermare più avanti (Cfr. Capitolo I, 2; Capitolo II, 3).

In questo studio, l'Autore tiene presente genericamente la nobiltà e le élites tradizionali in Europa ed in America, e, com'è naturale, illustra o documenta le sue affermazioni con diversi esempi storici.

Per quanto riguarda la nobiltà europea, queste affermazioni toccano il più delle volte le nobiltà di Francia, Spagna e Portogallo, oppure - com'è doveroso - quella romana.

Il motivo di ciò sta nel fatto che, se si portassero esempi dalle nobiltà di tutti i Paesi europei, questo libro diventerebbe troppo voluminoso, e questo accadrebbe anche se l'autore si limitasse ad aggiungere - fra le nobiltà meno utilizzate dalla raccolta di esempi - appena quattro di loro, che hanno svolto nella storia e nella cultura del Continente un'azione di primaria importanza: quelle di Italia, Austria, Germania e Inghilterra.

In realtà, l'ammirevole varietà degli aspetti delle nobiltà dei Paesi europei richiederebbe che, raccogliendo gli esempi illustrativi della loro nascita, sviluppo e decadenza, si facesse un'edizione speciale di questo libro. Cosa che l'autore forse potrebbe intraprendere, se le sue funzioni di Presidente del Consiglio Nazionale della Società Brasiliana per la Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà - TFP - glielo permettessero.

2) Il Trattato dell'11 febbraio 1929, stabiliva:

"Art. 42 - L'Italia ammetterà il riconoscimento, mediante Decreto Reale, dei titoli nobiliari conferiti dai Sommi Pontefici anche dopo il 1870 e di quelli che saranno conferiti in avvenire.

"Saranno stabiliti casi nei quali il detto riconoscimento non è soggetto in Italia al pagamento di tassa" (Raccolta di Concordati su Materie Ecclesiastiche tra la Santa Sede e le Autorità Civili, vol. II, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1954, p. 102.)

La "tassa" alla quale si fa menzione in questo paragrafo del Trattato è una cifra simbolica che lo Stato italiano esigeva dai nobili degli Stati preunitari per ottenere il riconoscimento dei loro titoli e della loro iscrizione alla nobiltà. La dispensa da questa "tassa", in certi casi, era l'unico piccolissimo privilegio tributario concesso dal Trattato ai nobili pontifici.

3) Tenendo presenti le allocuzioni pontificie qui commentate, rivolte al Patriziato ed alla Nobiltà romana, e in un certo senso all'intera nobiltà italiana, è utile per lo studio di queste allocuzioni dire qualcosa sulla situazione della nobiltà nelle successive Costituzioni dell'Italia unitaria, ossia tanto quella monarchica che repubblicana.

Lo Statuto Albertino, che rimase in vigore fino al 1947, era lo Statuto costituzionale del Regno di Sardegna, promulgato il 4 marzo 1848 dal Re Carlo Alberto; questo Statuto fu imposto successivamente agli Stati annessi da quel Regno, per finire poi adottato come Costituzione dell'Italia unificata. Riguardo i titoli nobiliari, esso stabiliva quanto segue:

"Art. 79. I titoli di nobiltà sono mantenuti a coloro che vi hanno diritto. Il Re può conferirne dei nuovi.

"Art. 80. Niuno può ricevere decorazioni, titoli, o pensioni da una potenza estera senza l'autorizzazione del Re. (Statuto del Regno, annotato dall'avv. Carlo Gallini, Unione Tipografica Editrice, Torino 1878, p. 102).

La Costituzione italiana del 1947, a sua volta, stabilisce nelle sue Disposizioni transitorie e finali (Art. XIV): "I titoli nobiliari non sono riconosciuti.

"I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome.

"L'Ordine Mauriziano è conservato come ente ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla legge.

"La legge regola la soppressione della Consulta araldica" (Costituzione della Repubblica italiana, "Gazzetta Ufficiale" n. 298, 27-12-1947, pp. 45-46).

Il "predicato" del titolo è costituito dal nome dell'antico territorio aggiunto al nome di famiglia (per esempio: Principe Colonna di Paliano). La costituzione del 1947 autorizza che, nei documenti, risulti questo cognome composto, purché sia anteriore all'epoca fascista.

Secondo quanto ci risulta, la "Consulta araldica" dell'epoca monarchica era il tribunale speciale per i casi di titoli contesi, stemmi, etc. Oggi - sebbene privo di valore legale, ma con molta autorevolezza morale e storica - è stata sostituita dal Corpo della Nobiltà Italiana, dotato di un tribunale di consulta che fa testo per l'ammissione di membri e soci in società come l'Ordine di Malta, il Circolo della Caccia, il Circolo degli Scacchi, etc.

Non esiste alcuna specie di privilegio politico o fiscale riconosciuto alla nobiltà, sia nell'antica che nella nuova Costituzione italiana, anche perché nello Statuto Albertino la nobiltà è riconosciuta come mera reminiscenza del passato.

4) Ad alcuni lettori questa espressione potrà apparire forse esagerata. Sarà loro utile conoscere ciò che al riguardo osserva Pio XII nel Radiomessaggio natalizio del 1953 (Cfr. Capitolo V, 3, c).

5) Cfr. Libro d'Oro della Nobiltà Italiana, XIX edizione, 1986-1989, vol. XX.

6) PNR 1941, p. 363.

7) Cfr. Capitolo V, 1; PNR 1947, pp. 370-371.

8) GNP 1941, pp. 337-338.