Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

Capitolo VI
 
La marcia della Rivoluzione

 

 

 

 

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Rivoluzione e Contro-Rivoluzione

Titolo originale: Revolução e Contra-Revolução

Pubblicato su Catolicismo, São Paulo, Brasile, Aprile 1959 (I et II), Gennaio 1977 (III)

Traduzione di Giovanni Cantoni

Prima edizione italiana, 1963, Dell’Albero, Torino. Seconda e terza edizioni italiane, 1972 e 1976, Cristianità, Piacenza

Tutti i diritti riservati - © 1998 Associazione Luci sull’Est

 

Le considerazioni precedenti ci hanno ormai fornito alcuni dati sulla marcia della Rivoluzione, cioè il suo carattere di processo, le metamorfosi attraverso cui passa, la sua irruzione nel più profondo dell’uomo e la sua esteriorizzazione in azioni.

Come si vede, vi è tutta una dinamica propria della Rivoluzione. Di questo fatto possiamo farci un’idea migliore studiando anche altri aspetti della marcia della Rivoluzione.

 

1. La forza propulsive della Rivoluzione

A. La Rivoluzione e le tendenze disordinate

La più potente forza propulsiva della Rivoluzione consiste nelle tendenze disordinate.

E per questo la Rivoluzione è stata paragonata a un tifone, a un terremoto, a un ciclone; infatti le forze naturali scatenate sono immagini materiali delle passioni sfrenate dell’uomo.

B. I parossismi della Rivoluzione sono interamente contenuti nei suoi germi

Come i cataclismi, le cattive passioni hanno una forza immensa, ma volta alla distruzione.

Questa forza ha già in potenza, fin dal primo momento delle sue grandi esplosioni, tutta la virulenza che si manifesterà più tardi nei suoi peggiori eccessi. Nelle prime negazioni del protestantesimo, per esempio, erano già impliciti gli neliti anarchici del comunismo. Se, dal punto di vista della formulazione esplicita, Lutero era soltanto Lutero, tutte le tendenze, tutto lo stato d’animo, tutti gli elementi imponderabili dell’esplosione luterana portavano già in sé, in modo autentico e pieno, sebbene implicito, lo spirito di Voltaire e di Robespierre, di Marx e di Lenin (10).

C. La Rivoluzione esaspera le sue stesse cause

Queste tendenze disordinate si sviluppano come i pruriti e i vizi, cioè, nella stessa misura in cui vengono soddisfatte, crescono d’intensità. Le tendenze producono crisi morali, dottrine erronee, e quindi rivoluzioni. Le une e le altre, a loro volta, esacerbano le tendenze. Queste ultime portano in seguito, e con un movimento analogo, a nuove crisi, nuovi errori, nuove rivoluzioni. Questo spiega perché ci troviamo oggi in un simile parossismo di empietà e d’immoralità, e anche in un tale abisso di disordini e di discordie.

 

2. Gli apparenti intervalli della Rivoluzione

Considerando l’esistenza di periodi caratterizzati da una notevole calma, si direbbe che in essi la Rivoluzione è cessata. Così può sembrare che il processo rivoluzionario sia discontinuo, e perciò che non sia uno.

Ora, queste bonacce sono semplici metamorfosi della Rivoluzione. I periodi di apparente tranquillità, supposti intervalli, sono stati generalmente tempi di fermentazione rivoluzionaria sorda e profonda. Si consideri il periodo della Restaurazione (1815-1830) (11).

 

3. La marcia di eccesso in eccesso

Con quanto abbiamo visto paragonata a quella precedente, ne sia soltanto il compimento o l’esasperazione fino alle estreme conseguenze. L’Umanesimo naturalista e il protestantesimo si sono compiuti e sono giunti alle loro estreme conseguenze nella Rivoluzione francese e questa, a sua volta, si è compiuta ed è giunta alle sue estreme conseguenze nel grande processo rivoluzionario di bolscevizzazione del mondo contemporaneo.

Infatti le passioni disordinate hanno un crescendo analogo a quello prodotto dall’accelerazione per la legge di gravità, si nutrono delle loro stesse opere e quindi producono conseguenze che, a loro volta, si sviluppano secondo un’intensità proporzionale. E nella stessa progressione gli errori generano errori e le rivoluzioni aprono la strada le une alle altre.

 

4. Le velocità della Rivoluzione

Questo processo rivoluzionario si manifesta con due diverse velocità. L’una, rapida, è generalmente destinata al fallimento sul piano immediato. L’altra è stata abitualmente coronata da successo ed è molto più lenta.

A. L’alta velocità

I movimenti precomunisti degli anabattisti, per esempio, trassero immediatamente, in diversi campi, tutte o quasi tutte le conseguenze dello spirito e delle tendenze della Pseudo-Riforma. Fallirono.

 

B. La marcia lenta

Lentamente, oltre quattro secoli, le correnti più moderate del protestantesimo, avanzando di eccesso in eccesso, per tappe successive di dinamismo e d’inerzia, vanno tuttavia favorendo gradatamente, in un modo o nell’altro, la marcia dell’Occidente verso lo stesso punto estremo (13).

C. Come si armonizzano queste velocità

È necessario studiare la parte di ciascuna di queste velocità nella marcia della Rivoluzione. Si direbbe che i movimenti più veloci siano inutili. Ma non è vero.

L’esplosione di questi estremismi alza una bandiera, crea un punto di attrazione fisso che affascina per il suo stesso radicalismo i moderati e verso cui questi cominciano lentamente a incamminarsi. Così, il socialismo respinge il comunismo, ma lo ammira in silenzio e tende a esso. Ancor prima nel tempo si potrebbe dire lo stesso a proposito del comunista Babeuf e dei suoi seguaci negli ultimi bagliori della Rivoluzione francese. Furono schiacciati. Ma lentamente la società sta percorrendo la via sulla quale essi avevano voluto portarla. Il fallimento degli estremisti è, dunque, soltanto apparente. Essi danno il loro contributo indirettamente, ma potentemente, alla Rivoluzione, attirando lentamente verso la realizzazione dei loro colpevoli ed esasperati vaneggiamenti la moltitudine innumerevole dei “prudenti”, dei “moderati” e dei mediocri.

 

5. Confutazione di obiezioni

Tenendo presenti queste nozioni, si offre l’occasione per confutare alcune obiezioni che, in precedenza, non avrebbero potuto essere adeguatamente analizzate.

A. Rivoluzionari di piccola velocità e “semi-contro-rivoluzionari”

Ciò che distingue il rivoluzionario che ha seguito il ritmo della marcia rapida, da chi sta a poco a poco diventando tale secondo il ritmo della marcia lenta, è il fatto che, quando il processo rivoluzionario ha avuto inizio nel primo, ha incontrato resistenze nulle o quasi nulle. La virtù e la verità vivevano in quell’anima una vita di superficie. Erano come legna secca, che qualsiasi scintilla può incendiare. Al contrario, quando questo processo avviene lentamente, ciò accade perché la scintilla della Rivoluzione ha trovato, almeno in parte, legna verde. In altri termini, ha trovato molta verità o molta virtù che si mantengono avverse all’azione dello spirito rivoluzionario. Un’anima in simile situazione si trova divisa in sé stessa e vive di due princìpi opposti, quello della Rivoluzione e quello dell’Ordine.

Dalla coesistenza di questi due princìpi possono sorgere situazioni molto diverse:

a. Il rivoluzionario di piccola velocità: si lascia trascinare dalla Rivoluzione, alla quale oppone soltanto la resistenza dell’inerzia.

b. Il rivoluzionario di velocità lenta, ma con “coaguli” contro-rivoluzionari: anch’egli si lascia trascinare dalla Rivoluzione. Ma su qualche punto concreto la respinge. Così, per esempio, sarà socialista in tutto, ma conserverà il gusto dei modi aristocratici. In qualche caso giungerà anche ad attaccare la volgarità socialista. Si tratta senza dubbio d’una resistenza. Ma d’una resistenza su d’un punto particolare, che non risale ai princìpi, perché tutta fatta d’abitudini e d’impressioni. Resistenza, proprio per questo, senza grande fondamento, che morirà con l’individuo, e che, nel caso si dia in un gruppo sociale, presto o tardi, con la violenza o con la persuasione, in una o più generazioni, la Rivoluzione smantellerà nel suo corso inesorabile.

c. Il “semi-contro-rivoluzionario” (14): si distingue dal precedente solo perché in lui il processo di “coagulo” è stato più vigoroso ed è risalito fino alla zona dei princìpi fondamentali. Di qualche principio, sia ben chiaro, e non di tutti. In lui la reazione contro la Rivoluzione è più ostinata, più vivace. Essa costituisce un ostacolo che non è soltanto d’inerzia. La sua conversione a una posizione completamente contro-rivoluzionaria è più facile, almeno in tesi. Un qualsiasi eccesso della Rivoluzione può determinare in lui una trasformazione completa, una cristallizzazione di tutte le tendenze buone, in un atteggiamento di fermezza incrollabile. Finché questa felice trasformazione non è avvenuta, il “semi-contro-rivoluzionario” non può essere considerato un soldato della Contro-Rivoluzione.

Il conformismo del rivoluzionario di marcia lenta, e del “semi-contro-rivoluzionario”, è caratterizzato dalla facilità con cui entrambi accettano le conquiste della Rivoluzione. Per esempio, pur affermando la tesi dell’unione della Chiesa e dello Stato, vivono con indifferenza nel regime dell’ipotesi, cioè della separazione, senza tentare nessuno sforzo serio perché diventi possibile un giorno restaurare l’unione in condizioni convenienti.

B. Monarchie protestanti — Repubbliche cattoliche

Un’obiezione che si potrebbe fare alle nostre tesi consisterebbe nel dire che, se il movimento repubblicano universale è il frutto dello spirito protestante, non si comprende come mai nel mondo vi sia attualmente soltanto un re cattolico e tanti paesi protestanti si mantengano monarchici (15).

La spiegazione è semplice. L’Inghilterra, l’Olanda e le nazioni nordiche, per tutta una serie di ragioni storiche, psicologiche e così via, hanno molti motivi di attaccamento alla monarchia. Penetrando in esse, la Rivoluzione non ha potuto evitare che il sentimento monarchico “coagulasse”. Così, la monarchia continua a sopravvivere ostinatamente in questi paesi, nonostante che in essi la Rivoluzione stia penetrando sempre più a fondo in altri campi. “Sopravvive”... ma nella misura in cui il morire a poco a poco si può chiamare sopravvivere. Infatti la monarchia inglese, ridotta in larghissima misura a una funzione di rappresentanza, e le altre monarchie protestanti, trasformate a quasi tutti gli effetti in repubbliche nelle quali la carica suprema è vitalizia ed ereditaria, stanno soavemente agonizzando e, se le cose continuano così, si estingueranno senza rumore.

Senza negare l’esistenza di altre cause che contribuiscono a questa sopravvivenza, vogliamo però mettere in evidenza il fattore — per altro molto importante — che si situa nell’ambito della nostra esposizione.

Al contrario, nelle nazioni latine, l’amore per una disciplina esterna e visibile, per un potere pubblico forte e carico di prestigio, è — per molte ragioni — assai minore.

La Rivoluzione non ha trovato in esse, quindi, un sentimento monarchico così radicato. Ha abbattuto facilmente i troni. Ma finora non ha avuto la forza sufficiente per spazzar via la religione.

C. L’austerità protestante

Un’altra obiezione al nostro studio potrebbe derivare dal fatto che alcune sette protestanti sono di un’austerità che tocca i limiti dell’esagerazione. Come è possibile allora spiegare tutto il protestantesimo come un’esplosione del desiderio di godere la vita?

Anche a questa obiezione non è difficile rispondere. Penetrando in certi ambienti, la Rivoluzione ha trovato un amore all’austerità molto vivo. Così, si è formato un “coagulo”. E, benchè in questi ambienti essa abbia mietuto ogni successo in materia di orgoglio, non ha ottenuto in materia di sensualità successi simili. In tali ambienti si gode la vita attraverso i discreti diletti dell’orgoglio e non attraverso i grossolani piaceri della carne. Può infine darsi che l’austerità, cullata dall’orgoglio esasperato, abbia reagito esageratamente contro la sensualità. Ma questa reazione, per quanto ostinata sia, è sterile: presto o tardi, per estenuazione o con la violenza, sarà stroncata dalla Rivoluzione. Infatti il soffio di vita che rigenererà la terra non può venire da un puritanesimo rigido, freddo, mummificato.

D. Il fronte unico della Rivoluzione

Questi “coaguli” e cristallizzazioni portano abitualmente allo scontro fra le forze della Rivoluzione. Osservando questo fatto si direbbe che le potenze del male sono divise contro sé stesse e che è falsa la nostra concezione unitaria del processo rivoluzionario.

Illusione. Queste forze, per un istinto profondo, che le mostra in armonia nei loro elementi essenziali e in contrasto soltanto in quelli accidentali, hanno una sorprendente capacità di unirsi contro la Chiesa cattolica tutte le volte che si trovano di fronte a essa.

Sterili negli elementi buoni che restano in esse, le forze rivoluzionarie sono realmente efficienti soltanto per il male. E così ciascuna di esse attacca dal proprio lato la Chiesa, che si presenta come una città assediata da un esercito immenso.

Fra le forze della Rivoluzione non bisogna omettere i cattolici che professano la dottrina della Chiesa, ma sono dominati dallo spirito rivoluzionario. Mille volte più pericolosi dei nemici dichiarati, combattono la Città Santa dentro le sue stesse mura e meritano certamente quanto di loro ha detto Pio IX:

“Ma, sebbene i figli del secolo sieno più astuti dei figli della luce, le loro frodi però e la loro violenza riescirebbero meno nocive, se molti, che diconsi cattolici di nome, non stendessero loro amica la mano. Poiché non mancano di quelli che, quasi per andar di conserva con essi, si sforzano di stringere società tra la luce e le tenebre, e comunanza tra la giustizia e l’iniquità per mezzo di dottrine che dicono cattolico-liberali, che, basate su perniciosissimi principii, blandiscono alla laica podestà che invade le cose spirituali, e spingono gli animi ad ossequio o almeno a tolleranza d’iniquissime leggi, come se non fosse scritto: niuno può servire a due padroni. Questi sono molto più pericolosi e più fatali degli aperti nemici, sia perché inosservati, e forse anche senza che se ne accorgano, assecondano gli sforzi loro, sia perché limitandosi fra certi confini di riprovate opinioni, presentano un’apparenza di probità e di intemerata dottrina, la quale affascina gl’imprudenti amatori della conciliazione, e trae in inganno gli onesti, i quali si opporrebbero all’errore aperto; e così dividono gli animi, squarciano l’unità, e fiaccano quelle forze, che insieme unite si dovrebbero opporre agli avversarii” (16).

 

6. Gli agenti della Rivoluzione: la massoneria e le altre forze segrete

Dal momento che stiamo studiando le forze propulsive della Rivoluzione, è opportuno dire una parola sui suoi agenti.

Non crediamo che il semplice dinamismo delle passioni e degli errori degli uomini possa unire mezzi così diversi per il raggiungimento d’un unico fine, cioè la vittoria della Rivoluzione.

Produrre un processo così coerente, così continuo, come quello della Rivoluzione, attraverso le mille vicissitudini di secoli interi, pieni d’imprevisti di ogni specie, ci sembra impossibile senza l’azione di successive generazioni di cospiratori, dotati di un’intelligenza e d’una potenza straordinarie. Pensare che la Rivoluzione sarebbe giunta allo stato in cui si trova senza tale azione equivale ad ammettere che centinaia di lettere dell’alfabeto gettate da una finestra possano disporsi spontaneamente al suolo, in modo da formare un’opera qualsiasi, per esempio il Inno a Satana di Carducci.

Le forze propulsive della Rivoluzione sono state manovrate fino a oggi da agenti astutissimi, che se ne sono serviti come di mezzi per realizzare il processo rivoluzionario.

In modo generale si possono qualificare agenti della Rivoluzione tutte le sette, di qualunque natura, da essa generate dalla sua nascita fino a oggi, per la diffusione del pensiero o per l’articolazione delle trame rivoluzionarie. Però la setta madre, attorno alla quale si articolano tutte le altre come semplici forze ausiliarie — talora consapevolmente, talaltra inconsapevolmente — è la massoneria, come si rileva chiaramente dai documenti pontifici e specialmente dall’enciclica Humanum genus di Leone XIII, del 20 aprile 1884 (17).

Il successo finora ottenuto da questi cospiratori, e specialmente dalla massoneria, è dovuto non solo al fatto di possedere un’incontestabile capacità d’organizzarsi e di cospirare, ma anche alla loro lucida conoscenza di quanto costituisce l’essenza profonda della Rivoluzione e del modo di utilizzare le leggi naturali — parliamo di quelle della politica, della sociologia, della psicologia, dell’arte, dell’economia e così via — per far procedere la realizzazione dei loro piani.

In questo senso gli agenti del caos e della sovversione fanno come lo scienziato che, invece d’agire con le sue sole forze, studia e mette in azione quelle, mille volte più potenti, della natura.

Questo fatto, oltre a spiegare in gran parte il successo della Rivoluzione, costituisce un’indicazione importante per i soldati della Contro-Rivoluzione.


Note:

(10) Cfr. Leone XIII, Enciclica Quod Apostolici muneris, del 28-12-1878, in ASS, vol. XI, p. 370.

(11) Vedi Parte I, cap. IV.

(12) Vedi n. 1, C di questo cap.

(13) Vedi parte II, cap. VIII, 2.

(14) Vedi parte I, cap. IX.

(15) Vedi parte II, cap. VIII.

(16) Pio IX, Lettera al presidente e ai membri del Circolo Sant’Ambrogio di Milano, del 6-3-1873, in La Civiltà Cattolica, Roma 1873, serie VIII, vol. X, fasc. 547, pp. 99-100.

(17) Cfr. Leone XIII, Enciclica Humanum genus, del 20-4-1884, in ASS, vol. XVI, pp. 417-433. 

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