Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

Farsa, salame ed eroe

 

 

 

 

 

 

 

 

Folha de S. Paulo, 14 febbraio 1971 (*)

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«A proposito del Cile - mi scrive un'anonima lettrice - Le chiedo la gentilezza di una spiegazione. Allende è il propugnatore dell'attacco alla proprietà privata, o è un moderato, costretto da estremisti a una parte che ripugna al suo temperamento? Vedo nel suo comportamento sintomi che sembrano giustificare l'una e l'altra ipotesi. E da questo nasce la mia perplessità.

«Veniamo ai fatti. Nel periodo di instaurazione del suo governo, Allende fu salutato come un moderato perfino dai suoi oppositori. Sembrava essere la garanzia contro una radicalizzazione totale e rapida. Ebbe così le simpatie, almeno relative, di ogni categoria di imprenditori, agricoltori, commercianti e industriali. Speravano da lui che stroncasse i terroristi del MIR [Movimiento di izquierda revolucionaria], ed evitasse le riforme violente.

«Questa prima immagine non tardò a svanire. Egli infatti amnistiò i terroristi del MIR, incrociò le braccia di fronte alle invasioni delle fattorie, e subito stimolò una riforma agraria illegale e violenta.

«Adesso Allende sembra desideroso di recuperare il suo primo volto. Benché acceleri l'esproprio di fattorie con più di 80 ettari, garantisce le altre dalle occupazioni illegali e dalla riforma confiscatoria. In questo modo imprime un ritmo lento alla esecuzione del programma agrario dei socialisti e dei marxisti. E nello stesso tempo si mette contro il nuovo segretario generale del Partito Socialista, Carlos Altamirano, il quale discorda da quella che è o sembra essere la "moderazione" di Allende.

«Le chiedo di spiegarmi quali sono le rivalità personali e gli scontri dottrinali che danno origine a una tale confusione, e qual è all'interno di questa confusione la meta di Allende».

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Ho l'impressione che la lettrice sia una insegnante, a giudicare dalla chiarezza e dalla concatenazione con cui narra i fatti, e dalla precisione con cui enuncia le domande.

Detto ciò, passo a rispondere, rettificando subito il presupposto che, nella sua domanda, la simpatica insegnante dà come scontato.

Il Partito Socialista, al quale appartengono Allende e Altamirano, è ufficialmente marxista, quindi comunista.

Perciò gli avvenimenti interni del partito di Allende e Altamirano non devono essere giudicati - come fa la lettrice - secondo criteri validi per partiti liberali e borghesi, ma secondo quelli adatti a partiti totalitari. Un partito democratico è, internamente, una democrazia liberale in miniatura, e in esso i membri operano con la elasticità di movimento inerente a questo regime. I partiti totalitari sono soliti essere, nella loro vita interna, uno Stato dittatoriale in miniatura, in cui la ragione degli avvenimenti deve essere cercata molto più nella decisione suprema di un dittatore, che non nello scontro delle opinioni o delle ambizioni personali.

Ciò posto, la vera domanda non deve essere quale sia il ruolo di Allende, semplice fantoccio, come sono in generale i comunisti alla ribalta. Quello che in realtà interessa scoprire è se il comunismo ricava qualche vantaggio dagli andirivieni di Allende, e quale sia questo vantaggio. Solo chiarendo questo problema si può scoprire il senso dell'azione del presidente del Cile.

Passo dunque a questo punto.

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In politica - in Cile, come in Brasile o in qualsiasi altro paese - non basta sconfiggere l'avversario. Perché una vittoria sia definitiva sono necessarie due condizioni: a) che il vinto si veda spogliato di qualsiasi possibilità di reazione; b) che il vincitore non esca dalla lotta tanto indebolito, che gli manchino i mezzi per risolvere i mille problemi inerenti all'esercizio del potere.

Salito alla carica suprema, tocca ad Allende, il presidente riformista, sconfiggere l'imprenditore rurale, industriale e commerciale. Se potesse, se li mangerebbe. Ma ne deriverebbero scontenti profondi, risentimenti non sopibili, reazioni di disperazione di incalcolabile portata. E un ovvio indebolimento del governo.

In queste condizioni, la vera formula per ottenere una vittoria duratura sugli imprenditori - e anche sulla grande maggioranza dei cileni, che è anticomunista - consiste nell'indurre gli stessi scontenti ad accettare le riforme con rassegnazione.

Come creare questa rassegnazione? Una persona si rassegna a un male solo quando si persuade della impossibilità di evitarlo, o quando il danno che deriva dall'accettazione è minore di quello della reazione. Ad esempio, il padrone di casa non espelle un intruso soltanto se sa di non disporre delle forze necessarie a questo fine, o se teme di subire, in seguito alla espulsione, una terribile vendetta.

Così ad Allende conviene incutere nei sostenitori della proprietà privata entrambi i sentimenti: quello dell'impotenza a resistere, e quello della paura di conseguenze peggiori, in caso di resistenza, anche se legale e pacifica.

Per ottenere questo duplice risultato, è necessario, da un lato, incutere nell'avversario molta paura di quanto potrà succedere se cadesse Allende. A questo fine servono Altamirano e il MIR. Ed è necessario, d'altro lato, ottenere un po' di simpatia dall'avversario, garantendogli che non gli si porterà via tutto, se accetta di buon grado la sconfitta, ecc.

Anche questo non è difficile. Lo fa la quinta colonna inserita negli ambienti imprenditoriali. Il difficile, l'impossibile, sta nel recitare nello stesso tempo le parti di vincitore orco e di vincitore bonaccione.

Come uscirne? Recitando successivamente l'una e l'altra parte.

A questo punto la lettrice può vedere quanto sia conveniente per il comunismo che Allende faccia alternativamente la parte dell'orco onnipotente, che può distruggere tutto e tutti con un decreto, e del bonaccione, che distrugge solo la metà, e che fa uno sforzo terribile contro coloro che vogliono costringerlo alla distruzione totale.

La povera vittima, se non si accorge del gioco, finirà per difendere Allende contro i «distruttori» più terribili di lui (Altamirano e il MIR), e per consegnargli con rassegnazione metà del mantello, per conservare l'altra metà.

Potrebbe essere più chiaro il gioco di Allende?

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Insistiamo sui due elementi necessari perché Allende vinca la partita.

Anzitutto, comparse piene di furore, con l'aria di essere pronte ad abbattere Allende e a fare, in una volta sola, le riforme più radicali. Queste comparse sono Altamirano e il MIR.

L'altro elemento è la «quinta colonna» che influenza la classe vinta, e che favorisce il gioco diffondendo, da orecchio a orecchio, informazioni «riservate», che fanno di Allende un «buon gregario», dolente di essere costretto a perseguitare gli imprenditori, e disposto a essere blando nelle riforme.

Non è difficile trovare degli Altamirano, dei MIR e delle «quinte colonne». Lo prova la storia di tutti i tempi.

Napoleone, per esempio, voleva imporre agli avversari della Rivoluzione l'accettazione dello Stato ugualitario da essa prodotto. A questo fine, ebbe chi fece la parte di Altamirano. Fu la corrente dei giacobini, i terroristi dell'epoca. Il Corso la conteneva con pugno di ferro. Se fosse caduto, il giacobinismo sarebbe rinato. Davanti all'orrore di questa prospettiva, la destra si rassegnava al demagogo in uniforme. Contemporaneamente i suoi agenti andavano bisbigliando nei salotti della nobiltà che Napoleone la stimava, e che le imponeva dei sacrifici soltanto per non esasperare i giacobini. Così, la destra si rassegnava a perdere più della metà del suo mantello.

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È chiaro che non tutti si lasciano raggirare dalla manovra. Alcuni tra i vinti resistono alla farsa.

Da questo fatto deriva un altro prezioso vantaggio per il gioco: dividere l'avversario. «Divide et impera», insegnava anche il Machiavelli. Coloro che si rassegnano, sopravvivono un poco; coloro che non si rassegnano devono affrontare, isolati e indeboliti, una lotta dura e incerta.

La tattica di dividere l'avversario per divorarlo a poco a poco - tanto favorita dalla commedia appena descritta – ha un nome. Il leader rosso Rakosi l'ha portata, in Ungheria, alla massima perfezione. L'ha chiamata la «tattica del salame». Nessuno mangia in un solo boccone un intero salame. Tagliandolo a fette, sì. È persino gradevole. Così i comunisti separano e divorano i loro avversari.

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È impossibile una qualsiasi resistenza a questo processo? Solo la resistenza morale, fatta con prestigio e forza, può guastare molte cose. Ne è prova Mindszenty, il cardinale eroe.

Avrà il Cile qualche Mindszenty, con o senza talare? Speriamo, perché senza eroi nessun popolo oggi sopravvive... 

(*) Cfr. "Il crepuscolo artificiale del Cile cattolico", PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA E TFP CILENA, Cristianità, Piacenza 1973, pp. 65-68. – I grassetti sono di questo sito.