Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

Fermatevi e vedete

 

 

 

Folha de São Paulo, 27 dicembre 1970 (*)

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Non ho resistito. Avevo intenzione di scrivere su qualche argomento a proposito degli avvenimenti rivoluzionari di attualità. Ma ho sentito che né dentro di me, né attorno a me, c’erano le condizioni per farlo. Dal fondo della mia anima emergevano i ricordi armoniosi e distensivi dei miei Natali di una volta. Attorno a me – nello sguardo di molta gente che conosco, ma anche degli sconosciuti che incrocio per le vie, nei riflessi degli amici a fianco dei quali combatto e lavoro, nonché delle persone più intime la cui amicizia mi accompagna da tanti anni – noto una sete spirituale non appagata, un desiderio muto e forse persino subcosciente, di ritrovare un po’ della vera gioia del vero Natale.

A questo punto, mi sembrava riprovevole privare me stesso e tante altre persone, di una occasione per liberare dalle carceri dell’oblìo tanti ricordi dorati, e di appagare la sete di meraviglioso, di dolce, di sacrosanto, di cui risplende il Natale. Via, quindi, le visioni tetre di popoli oppressi, di tiranni furibondi, di masse elettrizzate da demagoghi, di scribi sinuosi che modellano notiziari tendenziosi per ingannare il pubblico. Per qualche momento, apriamoci alla luce del Natale, affinché si ravvivino le nostre anime esauste e desolate. Dopo, riprenderemo con maggior coraggio i fardello quasi insopportabile...

Beninteso, non parlo della contentezza propagandistica e contraffatta che domina il Natale odierno. Esso ha perso nelle nostre abitudini sociali quasi tutto il suo profumo di prima. E divenne una funzione commerciale. Una propaganda frenetica non permette quasi alla gente la libertà psichica di dispensarsi da certi acquisti, sia quelli che rientrano nel preventivo che quelli che lo esorbitano. Bisogna “obbligare” il pubblico a comprare, per facilitare lo smaltimento degli stoccaggi accumulati ed aumentare il volume degli affari. Il Natale ha assunto così, da anni, l’aspetto affannoso e trepidante di una immensa corsa della gente al servizio dell’apparato espansionista. “Ipso facto”, la psicologia del regalo e delle feste è cambiata. Il regalo perde, sempre più, il suo carattere affettivo, disinteressato e intimo. Adesso è diventato una appendice degli affari. La sua principale ragion d’essere è di creare, conservare o ampliare i rapporti che servono agli affari.

Al soffio di questa mentalità, anche il regalo disinteressato prende un aspetto commerciale: ognuno cerca di prevedere quanto costerà il regalo che riceverà dall’amico, per dargli uno dello stesso prezzo. Perché, se il regalo dato varrà più di quello ricevuto, il donatore si sentirà beffato e frustrato. Insomma, il regalo è diventato un oggetto da baratto, calcolato in base al valore economico. Quanto alla festa – preparata di solito con immense difficoltà – tante volte è l’interesse economico che, al posto dell’amicizia, motiva la stesura della lista degli invitati, l’ammontare delle spese, ecc...

“Gloria a Dio nell’alto dei Cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Come questo cantico angelico incontrò un ambiente adeguato nelle vastità deserte dei campi di Betlemme, e nei cuori retti dei pastori che si svegliavano dal sonno pesante e tranquillo! Come, al contrario le parole del coro angelico sembrano strane, senza risonanza, senza affinità con le cogitazioni degli uomini in queste megalopoli moderne, dominate dall’ossessione dell’oro, cioè, della materia.

Il Natale autentico è morto? Con un po’ di esagerazione, si potrebbe dire di sì. È morto nell’anima metallizzata di tanti milioni di uomini. È morto persino in certi presepi. Sì, nei presepi progressisti, che ci mostrano la Sacra Famiglia con le fattezze e la fisionomia sfigurate dall’arte moderna, e con connotazioni che inducono alla rivoluzione sociale. Però, se c’è qualche esagerazione nel dire che il Natale è morto, in realtà conserva pure alcuni barlumi di vita. Cerchiamoli. Li troveremo innanzitutto – zampillanti – per il fatto stesso che è Natale. Ogni festa del calendario liturgico porta con sé un’effusione di grazie peculiari. Che gli uomini lo vogliano o meno, la grazia bussa loro alla porta dell’anima, in modo più sublime, più tenero, più insistente in questi giorni natalizi. Si direbbe che, nonostante tutto, aleggia nell’aria una luce, una pace, un respiro, una forza di idealismo e dedicazione, che è difficile non percepire. Inoltre, in numerose chiese, in molti focolari, il presepe autentico ci mette ancora davanti agli occhi l’immagine del Dio-Bambino, che venne a spezzare le catene della morte, per calpestare il peccato, per perdonare, per rigenerare, per aprire agli uomini nuovi e illimitati orizzonti di fede e di ideale, nuove e illimitate possibilità di virtù e di bene. Iddio, eccolo compassionevole e alla nostra portata, fatto uomo come noi, avendo presso a Sé la Madre perfetta. Madre di Lui ma anche Madre nostra. Attraverso Lei, persino i peggiori peccatori possono chiedere e sperare ogni cosa. Lì, inoltre, c’è San Giuseppe, l’uomo sublime che raccoglie in sé la meravigliosa antitesi delle più svariate qualità. È principe della Casa di Davide ed è pure falegname. È il difensore intrepido della Sacra Famiglia. Però, nel contempo, è padre tenerissimo e sposo pieno di affetto. Sposo perfetto, è tuttavia lo sposo castissimo di Colei che fu sempre Vergine. Padre vero, ma non secondo la carne. Modello di tutti i guerrieri, di tutti i principi, di tutti i sapienti e di tutti i lavoratori che, in futuro, la Chiesa avrebbe suscitato in questa terra per il Cielo, egli non fu principalmente nulla di questo. I suoi titoli più alti sono due: padre di Gesù e sposo di Maria. Titoli piccoli e immensi, che allo stesso tempo, paradossalmente, polverizzano e comunicano vita, nobiltà e splendore a tutti i titoli della terra.

I pastori si presentano in quel luogo in un’amabile intimità con gli animali… nonché con la Madonna, San Giuseppe e lo stesso Bambin Gesù. È l’immagine commovente di un Dio eccelso, che porta l’irradiazione della sua grandezza sino all’estremo toccare ed elevare perfino quel che c’è di più umile e piccolo tra gli uomini. E che, non contento di questo, attira e copre di benedizioni persino le creature irrazionali. Contemplando tutto questo, le nostre anime tese si rilassano. I nostri egoismi si disarmano. La pace penetra in noi e intorno a noi. Sentiamo che nel nostro prossimo qualcosa pure si nobilita e addolcisce. Fioriscono i doni dell’anima: il dono dell’affetto. Il dono del perdono. E, come un simbolo, ecco l’offerta delicata e disinteressata di qualche regalo. Affinché non manchi nulla, anche il fratel corpo – come diceva San Francesco – ha la sua parte nella gioia. Fatta la preghiera presso al presepe, tutti si siedono alla stessa tavola. Si mangia senza ghiottoneria, si beve senza ubriachezza. È la festa in cui splende la gioia di aver fede, di essere virtuosi, di avere agito e posto le cose in ordine sacrale. L’allegria del Natale? Sì. Ma molto più di questo. L’allegria dei 365 giorni dell’anno, per il vero cattolico. Perché nell’anima in cui, mediante la grazia, abita il Salvatore, questa allegria dura sempre e mai si spegne. Né il dolore, né la battaglia, neanche la malattia e neppure la morte la eliminano. È l’allegria della fede e del soprannaturale. L’allegria dell’ordine sacrale.

“Oh voi che passate per la via, fermatevi e vedete se c’è un dolore simile al mio”, esclamò il Profeta Isaia, prevedendo la Passione del Salvatore e la compassione di Maria. Ma egli avrebbe potuto anche dire, profetizzando le gioie cristiane perenni e indistruttibili che il Natale porta all’apogeo: oh voi che passate per la via, fermatevi e vedete se c’è una gioia simile alla mia. – Oh voi che vivete avidamente per l’oro, oh voi che vivete stoltamente per la vanagloria, oh voi che vivete turpemente per la sensualità, oh voi che vivete diabolicamente per la rivolta e il crimine: fermatevi e vedete le anime veramente cattoliche, illuminate dalla gioia del Natale: che cos’è la vostra gioia paragonata alla loro? Non vedete in queste parole una provocazione o uno sdegno. Esse sono molto più di questo. Sono un invito al Natale perenne, che è la vita del vero fedele: “Christianus alter Christus” – il cristiano è un altro Gesù Cristo.

No, non v’è un’allegria equivalente. Nemmeno quando il cattolico, come Nostro Signore Gesù, è inchiodato sulla croce… 


(*) Nota: Traduzione di Umberto Braccesi e diffuso dal sito: http://www.pliniocorreadeoliveira.it/il_fondatore_013.htm


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