Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

1770-1970: una visione di insieme

 

 

 

 

Cristianità, Piacenza, Anno I, n. 2, novembre-dicembre 1973, pag. 9-10 (*)

  Bookmark and Share

"Cedere per non perdere": passato e presente della formula della sconfitta

 

Mi sembra molto fruttuoso e persino indispensabile - per la comprensione delle più recenti mosse politiche del comunismo internazionale - lanciare uno sguardo retrospettivo alla storia degli ultimi 200 anni. L’importanza di questo studio ripaga largamente della fatica.

Infatti il comunismo oggi sembra onnipotente e nello stesso tempo disfatto. Onnipotente, perché: a) copre una tale fascia di terre e di popoli da costituire uno dei maggiori "imperi ideologici" della storia; b) mai ha avuto davanti a sé avversari così ingenui, così timidi, così arrendisti. Ma parimenti sembra disfatto perché: a) mai i suoi massimi dirigenti si sono mostrati così indifferenti a quanto costituisce la specifica essenza ideologica del comunismo: b) mai l’opposizione nelle file dei diversi partiti comunisti è stata così audace, così colta e così popolare; c) e mai il movimento autonomista nei paesi satelliti è parso così incontenibile.

Se il grande ideale dei nostri giorni è sconfiggere il comunismo, la scelta del modo migliore per raggiungere questo fine è del massimo interesse. Ora, questa scelta deve essere fatta tenendo conto di quello che succede nelle file dell’avversario. Da questo sorge, a sua volta, come sommamente importante, la seguente domanda: questo duplice fenomeno di vittoria e di putrefazione è autentico? Oppure nasconde una sua nuova manovra?

Se una retrospettiva storica dal 1770 a oggi chiarisce il problema, la sua utilità è innegabile.

* * *

Nei suoi aspetti essenziali la storia di questo periodo si identifica con quella della preparazione, irruzione, espansione e apogeo dell’immensa convulsione di idee, modi di vita, sistemi artistici, istituzioni politiche, sociali ed economiche che si è convenuto di chiamare Rivoluzione francese. Infatti, nel 1770 (fissiamo questo anno un poco arbitrariamente, per non retrocedere nella retrospettiva oltre i 200 anni), la Rivoluzione si trovava nell’ultimo periodo della sua profonda e lenta gestazione. Nel 1789 venne alla luce e cominciò il crollo dell’Antico Regime. In pochi anni la Chiesa fu successivamente ridotta a una istituzione appena tollerata e, in fine, posta fuori legge. Il trono dei Borboni fu abbattuto. L’aristocrazia fu abolita. Il furore rivoluzionario rivolse poi la sua rabbia contro i ricchi, e nella sua fase di maggiore parossismo la Rivoluzione presentò sfumature incontestabilmente comunistiche. Fu il Terrore. In esso si riassume quella che si potrebbe chiamare la fase esplosiva, radicale e tragica della Rivoluzione. Sono 5 anni.

A essa quindi succede la lunghissima fase in cui la Rivoluzione procede lenta, infida e duttile, fase che va dal 1794 fino a oggi, se si ammette che, da un certo punto di vista, la Rivoluzione continua il suo corso, modellando sempre più il mondo secondo il suo spirito anarchico e ugualitario. Questa fase si suddivide in due periodi: a) quello della ritirata strategica; b) quello del contrattacco.

Avendo dato sfogo a tutta la sua rabbia distruttrice e avendo sollevata al massimo la reazione dei suoi avversari, la Rivoluzione si trovò costretta a retrocedere per tappe.

All’inizio della fase di ritirata strategica (inizio del Direttorio fino alla caduta di Carlo X nel 1830) vi fu il ristagno della offensiva comunista e il consolidamento della dominazione della borghesia.

Con Napoleone la ritirata divenne ancora più evidente. La repubblica fu sostituita da una monarchia spuria. La società borghese si trasformò in una aristocrazia posticcia costituita da nuovi ricchi, da generali vittoriosi e da funzionari di alto grado. La Chiesa, benchè non ritornasse nella sua antica posizione, fu liberata ed entrò in regime di concordato con lo Stato. Napoleone cercò perfino di legittimare la sua posizione agli occhi dei suoi avversari, nostalgici dell’Antico Regime, sposando una arciduchessa di casa d’Austria. Egli divenne così - per affinità - pronipote di Maria Antonietta e di Luigi XVI. Raccolse alla sua corte tutti i cortigiani dei Borboni che riuscì ad attrarre. E tentò anche di comprare i diritti al trono dal conte di Provenza, fratello e successore di Luigi XVI.

Tutto questo apparente ritorno al passato era tuttavia molto più di superficie che di profondità. Durante il Direttorio, come durante il Consolato e l’Impero, il fatto profondo e principale è che la società nuova, laica, ugualitaria e plebea andò prendendo consistenza e stabilità. I ritorni verso l’Antico Regime avevano un fine strategico: consolavano e addormentavano gli avversari della Rivoluzione, però non restituivano loro nulla di solido e di durevole. Quanto la Rivoluzione concedeva in apparenza, era compensato da guadagni in profondità.

Come si operava questa neutralizzazione degli avversari della Rivoluzione?

Il clero, i nobili e in generale i nostalgici del passato, consci del fatto che l’ideologia del Terrore aveva lasciato germi attivi di inquietudine, spaventati di fronte alla prospettiva di una reviviscenza rivoluzionaria, accettavano di buon grado il poco che il nuovo ordine di cose restituiva loro. E pur detestandolo, per timore che venisse qualcosa di peggiore, cedevano per non perdere. Abbandonavano speranze molto amate per non perdere il poco che avevano recuperato.

Le cose continuarono ad andare nella stessa direzione quando, destituito Napoleone dagli alleati, salì al trono Luigi XVIII, il conte di Provenza. Il clero e gli emigrati guadagnarono qualche altra distinzione, e null’altro. Nei suoi caratteri profondi, l’ordine di cose instaurato da Napoleone si mantenne fin da subito con l’appoggio della maggioranza dei suoi avversari di ieri, dal momento che era stato accettato dal re.

Sotto i Borboni, le società segrete svolsero una attiva propaganda rivoluzionaria. Nella loro maggioranza, gli avversari della Rivoluzione, sempre decisi a "cedere per non perdere" e godendo indolentemente quella loro vittoria tanto incompleta, pensavano soltanto a godere la vita. La Rivoluzione preparava così, attivamente e audacemente, una "esplosione".

Questa esplosione, che chiude la fase delle ritirate strategiche e inaugura la fase dell’avanzata conquistatrice e lenta della Rivoluzione, non consistette nella instaurazione diretta della repubblica, ma nella "repubblicanizzazione" della monarchia. La Rivoluzione depose i Borboni del ramo primogenito e portò al trono il principe usurpatore che prese il nome di Luigi Filippo. Con lui salì al potere la borghesia, e la nobiltà scese dal primo piano della vita politica.

Calmata alla vista del fatto che le cose non arrivavano fino al peggio, cioè fino alla repubblica e al Terrore, la maggioranza dei seguaci del ramo deposto continuò – fin da subito nell’ostracismo politico e nella penombra – a vegetare tranquilla. Ancora una volta le sembrava prudente accettare il poco che le veniva lasciato, piuttosto che reagire, esasperare l’avversario e... finire per perdere tutto.

Frattanto l’effervescenza rivoluzionaria continuava, sempre più esigente. Così, nel 1848 la Rivoluzione abbatté Luigi Filippo e durante un breve intervallo repubblicano (1848-1851) elesse alla presidenza della Repubblica un principe-plebeo e ancora più evidentemente usurpatore, cioè Luigi Napoleone Buonaparte. Questi non tardò a proclamarsi imperatore, e sotto il nome di Napoleone III governò fino al 1870. Il suo regime fu ancora più "repubblicano", borghese e laico di quello di Luigi Filippo. Con la caduta di Napoleone III a causa della vittoria della Prussia, si ebbero due irruzioni estremistiche, cioè una vittoria elettorale del conte di Chambord, erede della monarchia legittima, e una esplosione comunista. Ma né il conte di Chambord né i comunisti conquistarono il potere, che rimase nelle mani della borghesia.

In questi 100 anni ininterrotti di repubblica che cosa è successo in Francia?

Il processo verso l’anarchia e l’uguaglianza ha continuato il suo corso, ma già subito a un altro livello. Degli avversari combattuti nella fase esplosiva e violenta che era culminata nel Terrore, due erano a terra: la dinastia e la nobiltà. Uno rimaneva in piedi, la borghesia. Bisognava abbatterla.

Da questo punto di vista, la storia di Francia negli ultimi cento anni si riassume in una decadenza lenta e continua del potere borghese, in una erosione incessante della proprietà individuale e in una penetrazione graduale dello spirito socialista anche nelle file del clero e della borghesia. Sarebbe troppo lungo descrivere in questa sede le vicissitudini di questo processo, per altro più recente e meglio conosciuto. Basti dire che, nel suo corso, la condotta della borghesia fu la copia esatta di quella tenuta precedentemente dalla nobiltà: un continuo "cedere per non perdere", una fruizione del letargo del presente, senza grandi preoccupazioni per il futuro.

Insomma, al termine di 100 anni di agitazioni repubblicane e di contro-agitazioni monarchico-aristocratiche, e di altri 100 anni di repubblica borghese, tutto in Francia avanza verso la piena realizzazione del programma degli uomini del Terrore, dei "montagnardi", dei "cordiglieri" e del comunista Babeuf. Lentamente, e senza spargimento di sangue, l’ideologia del Terrore è la grande vincitrice. Basta che le cose continuino ad andare tranquillamente come vanno e, prima o poi, la Francia sarà comunista ... Il comunismo, implicitamente ha la vittoria in mano. Infatti sta nel socialismo come il tuorlo nell’uovo. E il socialismo ha già vinto.

* * *

È possibile dedurre da questa massa di fatti un insegnamento per il presente? È quanto vedremo in un altro articolo.

 

(*) Traduzione dell'articolo "1770-1970: uma visão de conjunto", comparso sulla Folha de S. Paulo il 22-2-1970


ROI campagne pubblicitarie