Plinio Corrêa de Oliveira
"E la luce brillò nelle tenebre..."
Tratto da "Catolicismo", dicembre 1957 (*) |
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La festa del Santo Natale occupa sicuramente un posto importante nella liturgia. (…) La nascita del Divin Salvatore costituisce di per se stessa un avvenimento d’infinito valore per il genere umano. Il Verbo di Dio avrebbe potuto unirsi ipostaticamente a qualcuno degli angeli più santi e rutilanti delle sfere celesti. Tuttavia ha preferito essere uomo, farsi carne, appartenere per l’umanità alla discendenza di Adamo. Dono assolutamente gratuito, per noi nobilitante, d’ineffabile valore, punto di partenza storico di altri doni a noi dati, anch’essi insondabili. Così, nella previsione che il Verbo si sarebbe incarnato, la Provvidenza ha creato un essere che in sé conteneva perfezioni maggiori di quelle di tutto l’universo nel suo insieme, e per esso ha sospeso la successione ereditaria del peccato originale. Dei meriti previsti nella Redenzione si nutre la virtù di tutti i giusti della legge antica. Ma quella moltitudine era seduta “alle soglie della morte” (Sl. 107,18), in attesa che per tutti noi si immolasse l’Agnello di Dio. Non soltanto loro attendevano a pie’ fermo. Attendeva a pie’ fermo, se possiamo dirlo, la storia intera in muta trepidazione. Al momento della nascita di Gesù Cristo, il mondo conosciuto viveva in un periodo di epilogo. Era fiorito l’Egitto, ma raggiunto un certo culmine crollò. Lo stesso si può dire di diversi altri popoli: caldei, persiani, fenici, sciiti, greci e tanti altri. Infine, anche i romani erano sul punto di imboccare la via di un lungo tramonto che, con periodi di rapida decadenza, di stagnazioni più o meno lunghe, di effimere reazioni, li avrebbe condotti da Augusto al suo lontano successore e miserevole omonimo Romolo Augustolo. Tutti questi imperi erano saliti abbastanza in alto per testimoniare la profondità e la varietà dei talenti e delle capacità dei rispettivi popoli. Ma il pari livello che più o meno tutti avevano raggiunto non soddisfaceva alle aspirazioni degli animi più nobili. Sembrerebbe che queste magnifiche civiltà abbiano fatto risaltare non tanto ciò che avevano, ma quanto loro mancava. Nonché l’inguaribile incapacità del talento, della ricchezza e della forza degli uomini per costruire un mondo degno di loro. Tutto ciò creava in Asia, in Africa e in Europa un’irrespirabile atmosfera che accresceva il tormento degli schiavi nella loro già tanto miserevole vita e minava segretamente i piaceri e i godimenti dei ricchi. Oppressione imponderabile ma onnipresente, impalpabile ma evidente, indescrivibile ma molto definita. Il corso della storia si era arenato in un pantano di corruzione, pieno dei ruderi del passato, in cui spiccavano le miserie dell’esistenza. Così vediamo nel terreno politico la fine di una lotta fra due espressioni della demagogia: quella anarchica e di piazza oppure quella militare e dispotica. Nel campo culturale, lo scetticismo religioso che divora le antiche idolatrie. Nel campo internazionale, le vecchie patrie che vanno a disgregarsi nel contenitore dell’Impero, per dare vita a quell’inorganico moloc cosmopolita in cui ebbe a trasformarsi Roma. Nel terreno morale, si vede la depravazione dei costumi dominare la vita quotidiana. Nel terreno sociale, l’oro inalberato a supremo valore. Per quanti erano ben inseriti le cose procedevano gradevolmente, all’apparenza. Ma in tali epoche, i “ben inseriti” sono la feccia morale e intellettuale delle società. E proprio i migliori patiscono i mille tormenti di situazioni immeritate e inadeguate. Che dire poi del quadro del popolo eletto nel momento in cui il Verbo si incarnò? Erode cingeva il diadema di re. Tuttavia era uno scellerato, fra i peggiori del regno, mediocre, bramoso, crudele, consapevole strumento dell’oppressore per illudere gli ebrei con le apparenze di una vana regalità. I sacerdoti erano, per quanto riguarda lo spirito di fede, la sincerità e il disinteresse, la scoria della Sinagoga. La casa reale di Davide viveva nel disprezzo e nella maggiore oscurità. I giusti erano gli “emarginati” di quell’ordine di cose così fondamentalmente cattivo che finì con l’uccidere il Giusto. Cosa mancava? Era la fine. Fu proprio nelle tenebre di questa fine che, quando meno si pensava e dove meno si sperava, si accese una luce molto pura. In questa luce c’era l’annuncio dell’ora dell’Incarnazione, la promessa implicita della Redenzione tanto attesa e della nuova era che sarebbe iniziata per il mondo con l’incendio della Pentecoste. E’ lo splendore di questa luce ad avviare nelle tenebre un’aurora che si trasforma trionfalmente in giorno, è il cantico di meraviglia e di speranza davanti a questo rinnovamento spirituale, l’anelito e la pregustazione di un nuovo ordine basato sulla fede e sulla virtù, contemplato dai fedeli di tutti i secoli quando i loro occhi si posano sul Dio Bambino il quale, disteso sulla mangiatoia, sorride pieno di tenerezza alla Vergine Madre e al suo castissimo sposo. Una significativa analogia Anche oggi un’immensa oppressione pesa su di noi. Inutile cercare di nascondersi la gravità dell’ora, suonando le nacchere e i tamburelli di un ottimismo senza riscontri nella realtà. Con l’unica differenza dell’esistenza della Santa Chiesa, la situazione del mondo è oggi terribilmente simile a quella del tempo in cui avvenne il primo Natale. (…) Abbiamo la Chiesa, è vero. Ma questa augusta e soprannaturale presenza non salva se non nella misura in cui gli uomini accettano la sua influenza. (…) Ora, qual è la situazione della Chiesa ai nostri giorni? Ci viene da sorridere, o piuttosto da piangere, quando qualcuno ci dice che è buona. Certo che per alcuni versi può dirsi buona. Così come si potrebbe dire che nella Domenica delle Palme era grande l’entusiasmo del popolo per Nostro Signore. Ma dire che la situazione della Chiesa è oggi buona, visti nel loro insieme i fattori positivi e negativi, costituisce un affronto alla verità. Infatti è buona per la Chiesa solo la situazione in cui la cultura, le leggi, le istituzioni, la vita domestica e particolare dei singoli si conformano alla legge di Dio. Cioè, quel che oggi non avviene, e questo è più chiaro del sole. Perché allora coprire il sole con un colabrodo? E’ comprensibile che i “ben inseriti” desiderino il perdurare di questa lenta agonia. (…) Ma anch’essi non possono eludere il malessere profondo del momento, e non possono non tremare di fronte ai lampi che sempre più frequenti esplodono nell’atmosfera satura. Tuttavia, dall’alto di quella sacra montagna che è la Chiesa, si erge l’immagine materna e malinconica della Madonna di Fatima, incoronata dal legato del papa Pio XII. Da lei partono per il mondo oppresso raggi di speranza. Speranza analoga a quella portata dalla Buona Novella all’umanità antica. Sono raggi che scaturiscono dalla Chiesa e quindi da Gesù Cristo. Chiarori che prolungano e riaffermano quelli della prima notte di Natale. “Infine il mio Cuore Immacolato trionferà”, ha detto la Vergine nella sua terza apparizione alla Cova da Iria. O neo paganesimo, mille volte peggio del paganesimo antico, i tuoi giorni sono contati! Crollerà il potere sovietico così come crollerà l’influenza della Rivoluzione in Occidente. La Madonna lo ha detto. E davanti a Lei niente possono i grandi della terra e i prìncipi delle tenebre. E che cosa può essere il trionfo del Cuore Immacolato se non il regno della Vergine Maria previsto da San Luigi Maria Grignion de Montfort? E questo regno che cosa potrebbe essere se non quella era di virtù in cui l’umanità, riconciliata con Dio, nel grembo della Chiesa, vivrà secondo la Sua legge preparandosi alle glorie del Cielo? Nella notte di Natale di questo travagliato 1957, non pensiamo né agli “sputnik” né alle bombe all’idrogeno, se non per confermarci nella convinzione che Gesù Cristo ha vinto per sempre il mondo e la carne, e prepara giorni della più alta gloria per la sua Madre Immacolata, che risplenderanno dopo terribili prove. (*) Spunti, Roma, Dicembre 2002, Pag. 14-15 |