Plinio Corrêa de Oliveira
3. Tollerare il male in vista di un bene superiore e più ampio, secondo gli insegnamenti del Papa Pio XII
Cristianità, Anno IX – N. 70, pag. 14-16 |
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Facciamo oggi gli ultimi commenti all’importante discorso del Santo Padre Pio XII ai partecipanti al V Congresso Nazionale della Unione dei Giuristi Cattolici Italiani. In questo documento il Sommo Pontefice formula il seguente problema: « Secondo la confessione della grande maggioranza dei cittadini, o in base ad una esplicita dichiarazione del loro Statuto, i popoli e gli Stati-membri della Comunità verranno divisi in cristiani, non cristiani, religiosamente indifferenti o consapevolmente laicizzati, od anche apertamente atei. Gl’interessi religiosi e morali esigeranno per tutta l’estensione della Comunità un regolamento ben definito, che valga per tutto il territorio dei singoli Stati sovrani membri di tale Comunità delle nazioni. Secondo le probabilità e le circostanze, è prevedibile che questo regolamento di diritto positivo verrà enunciato così: nell’interno del suo territorio e per i suoi cittadini ogni Stato regolerà gli affari religiosi e morali con una propria legge; nondimeno in tutto il territorio della Comunità degli Stati sarà permesso ai cittadini di ogni Stato-membro l’esercizio delle proprie credenze e pratiche etiche e religiose, in quanto queste non contravvengano alle leggi penali dello Stato in cui essi soggiornano. « Per il giurista, l’uomo politico e lo Stato cattolico sorge qui il quesito: possono essi dare il consenso ad un simile regolamento, quando si tratta di entrare nella Comunità dei popoli e di rimanervi? ». Come abbiamo visto in un articolo precedente, il Sommo Pontefice risponde affermativamente alla domanda. Così, dunque, si può prevedere in futuro lo stabilirsi nel mondo di una società di nazioni sovrane, cristiane, pagane, forse atee, che includa nel suo statuto l’obbligo - liberamente contratto dagli Stati-membri - di tollerare nel territorio di ciascuna la pratica dei culti propri ai sudditi stranieri.
Una restrizione Questa tolleranza avrà un limite. Qualora la pratica di una religione comporti atti considerati criminali dalla legge nazionale, non sarà obbligatorio tollerare questi atti. Ben inteso, questa restrizione deve essere interpretata con molta buona fede dagli Stati-membri. Qualsiasi imbroglio su questo punto distruggerebbe alla radice il delicato sistema. Così, ci si deve aspettare che vengano qualificate come criminali soltanto azioni che le sono realmente secondo l’ordine naturale. Per esempio, uno Stato-membro potrà a questo titolo proibire, e in qualsiasi caso, il culto immorale dei mormoni. Ma se, fondandosi sulla restrizione indicata, i comunisti o i protestanti volessero impedire la pratica della religione cattolica adducendo il fatto che le loro leggi private considerano un crimine la celebrazione della santa Messa, nel caso falsificheranno il sistema e lo renderanno inaccettabile ai cattolici. Come si vede, una certa nozione di morale naturale, e una certa rettitudine di propositi, sono base di tutta la struttura prevista nella allocuzione pontificia.
Semplice tolleranza Si noti che non si tratta di approvazione, ma di semplice tolleranza. A questo riguardo, l’allocuzione non lascia spazio al sia pur minimo dubbio. Infatti nessuno Stato cattolico può propriamente autorizzare la pratica dell’errore: « Innanzi tutto occorre affermare chiaramente: che nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso, possono dare un mandato positivo o una positiva autorizzazione d’insegnare o di fare ciò che sarebbe contrarlo alla verità religiosa o al bene morale. Un mandato o una autorizzazione di questo genere non avrebbe forza obbligatoria e resterebbero inefficaci. Nessuna autorità potrebbe darli, perché è contro natura di obbligare lo spirito e la volontà dell’uomo all’errore ed al male o a considerare l’uno e l’altro come indifferenti. Neppure Dio potrebbe dare un tale positivo mandato o una tale positiva autorizzazione, perché sarebbe in contraddizione con la Sua assoluta veridicità e santità ». E più avanti aggiunge: « Con questo sono chiariti i due principi, dai quali bisogna ricavare nei casi concreti la risposta alla gravissima questione circa l’atteggiamento del giurista, dell’uomo politico e dello Stato sovrano cattolico riguardo ad una formula di tolleranza religiosa e morale del contenuto sopra indicato, da prendersi in considerazione per la Comunità degli Stati. Primo: ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza, né alla propaganda, né all’azione. Secondo: il non impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive può nondimeno essere giustificato nell’interesse di un bene superiore e più vasto ».
La estensione della tolleranza religiosa L’allocuzione pontificia parla di « esercizio delle proprie credenze e pratiche etiche e religiose ». È ovvio che queste parole si riferiscono all’esercizio individuale della religione e della morale. Includono il proselitismo? La domanda può essere formulata. Infatti, se da un lato la pratica individuale della religione non è la stessa cosa della propaganda di questa religione, d’altro lato quasi tutti i sistemi di morale a base religiosa includono il proselitismo tra i loro più gravi principi. La tolleranza religiosa si riferirà soltanto ai sudditi stranieri, o anche ai nazionali? La prima ipotesi ci sembra più consentanea con i termini dell’allocuzione. Ma la seconda non ci pare insostenibile. La tolleranza si riferirà anche al proselitismo ateo? Uno Stato cattolico sarà obbligato, per esempio, a tollerare sul suo territorio propaganda atea svolta da sudditi russi? La questione potrebbe nascere dal fatto che l’allocuzione prevede espressamente la partecipazione di stati atei alla costituenda società internazionale, il che farebbe prevedere che questi stati non concederebbero libertà alla propaganda cattolica nei loro territori senza che, reciprocamente, si tollerasse la propaganda atea negli stati cattolici. Questione delicata, certamente, alla cui soluzione non può essere indifferente la seguente osservazione: il Santo Padre parla nella sua allocuzione di tolleranza di religioni false, ma non fa riferimento neppure una volta alla tolleranza dell’ateismo.
Una Comunità internazionale di religioni A fronte dell’allocuzione pontificia forse qualche interconfessionalista potrebbe immaginare che una lega delle diverse religioni completerebbe armoniosamente la Comunità degli Stati, soprattutto se questa venisse ad abbracciare tutti i popoli della terra. La pace fra i popoli, e il loro collegamento in una sola entità internazionale accentua molto il desiderio di una concordia religiosa generale, e di un collegamento di tutte le religioni in un grande modus vivendi che elimini tutte le dispute tra esse. Infatti, l’unità politica si completa armoniosamente con l’unità religiosa. Tale modus vivendi potrebbe fondarsi su un accordo. Ogni religione rinuncia a fare proselitismo nei paesi in cui è in minoranza. Le maggioranze religiose di ogni paese si asterranno da una azione ideologica militante nei confronti delle minoranze dissidenti. Bisogna dire che questa ipotesi non è compatibile né con la dottrina cattolica genericamente considerata, né con il testo dell’allocuzione. La Chiesa ha ricevuto da Nostro Signore Gesù Cristo, suo divino fondatore, la missione di insegnare a tutti i popoli, in tutti i tempi. Essa non accetterà mai una combinazione che implichi la rinuncia definitiva al diritto di evangelizzare questo o quel popolo, o di combattere eresie in questo o quel luogo. D’altronde, quando l’allocuzione ricorda che « nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso, possono dare un mandato positivo o una positiva autorizzazione d’insegnare o di fare ciò che sarebbe contrario alla verità religiosa o al bene morale », afferma implicitamente la nullità di qualsiasi trattato, accordo, convenzione, decreto o editto che avesse la conseguenza di impedire alla Chiesa - nella persona degli esponenti della sua gerarchia o di loro aiutanti nell’apostolato, i semplici fedeli - di lavorare per la salvezza delle anime « affinché vi sia un solo gregge e un solo Pastore ». Nessuno più della Chiesa desidera la pace e l’unità religiosa del mondo. Ma sulla pietra angolare, che è Gesù Cristo, che sono i Papi.
Neutralità religiosa La Comunità delle nazioni nascerà così sotto il segno della neutralità religiosa. Abbiamo visto che il Sommo Pontefice considera preferibile l’esistenza di una Comunità religiosamente neutra al prolungamento del regime di caos internazionale in cui viviamo. Questo vuol dire che un cuore cattolico debba considerare senza dolore e senza apprensione - senza un dolore molto profondo e una apprensione molto viva - gli effetti che una tale neutralità religiosa eserciterà sul nuovo organismo internazionale? Per capire bene la posizione cattolica su questo argomento è necessario fare appello ai principi, e specialmente alla enciclica Quas Primus, di Pio XI, sul regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, enciclica che ha avuto nei documenti di Pio XII sviluppi così luminosi. Il regno di Gesù Cristo è per tutte le società umane, a partire dalla famiglia, passando attraverso i gruppi intermedi, e fino allo Stato, l’unica situazione completamente normale. Questo regno si realizza attraverso la professione pubblica e ufficiale della fede cattolica da parte delle nazioni, e attraverso la conformità delle leggi e degli atti delle collettività umane alla legge di Dio. Poiché la legge di Dio consiste nei comandamenti, è necessario che le famiglie, le corporazioni, gli Stati rispettino questi comandamenti per quanto stia in loro. E poiché fa parte degli obblighi del cattolico difendere la verità e il bene, e combattere l’errore e il male, lo Stato in cui Nostro Signore Gesù Cristo sia Re si impegnerà - nella sua sfera - nel nobile compito di aiutare la Chiesa nella dilatazione della fede e nella estirpazione delle eresie, nel fomentare la virtù e nel reprimere il vizio. Così facendo, le nazioni cattoliche giungeranno all’apice del loro benessere, della loro dignità, della loro gloria. E questo per due motivi. La Provvidenza protegge necessariamente i popoli che sono a essa fedeli. L’osservanza della legge di Dio porta necessariamente nel seno delle società umane l’ordine e la pace. Quest’ultimo punto merita una spiegazione. I comandamenti contengono in sé tutto l’ordine naturale. Ora, un ente si sviluppa tanto più e tanto meglio quanto più le sue azioni sono conformi alla sua natura propria. Dal momento in cui tutti gli uomini agiscano secondo i comandamenti, regnerà nella società l'ordine naturale, e perciò stesso la società giungerà al suo fastigio. Ecco la ragione per cui sant'Agostino ha proclamato che la Chiesa cattolica, fondata per portare gli uomini al cielo, tuttavia influenza in modo così profondo, così forte, così benefico la società umana, che sembra essere stata costituita soltanto per il bene della vita terrena. Ebbene, questo ordine naturale che la Chiesa insegna, fuori da essa non può essere completamente conosciuto né praticato. Infatti, in conseguenza del peccato originale, la tendenza all'errore e al male impedisce che le società attraverso i semplici mezzi naturali conoscano in tutta la loro estensione e pratichino nella loro integrità i princìpi della legge naturale. A tale scopo è necessario l'aiuto della Rivelazione e della grazia. Rivelazione che soltanto la Chiesa ha la missione di insegnare, grazia che Dio non nega a nessun uomo, ma che soltanto in essa si trova nella abbondanza torrenziale che conosciamo. Di modo che, fuori dalla Chiesa, le società umane non possono vivere secondo le loro stesse leggi naturali costitutive. Abbiamo visto che cosa è successo nel passato alle nazioni pagane per il fatto di non conoscere Gesù Cristo. Molte di esse sono state dotate di un ingegno che ancora oggi ci meraviglia. Hanno costituito imperi che hanno riempito il mondo di terrore. Hanno lasciato opere di cultura e di arte mirabili. Ma sono cadute in polvere. Il fatto è che portavano in sé il germe della morte: non conoscevano Gesù Cristo. Abbiamo visto poi a che fastigio si sono elevate le nazioni cristiane. La loro caduta è cominciata quando hanno rotto con la Chiesa di Gesù Cristo. E oggi sono a due passi dalla catastrofe. La loro salvezza, è chiaro, può derivare soltanto da un ritorno al Re divino. Se così stanno le cose, che cosa ci si potrebbe aspettare dalla unione di questi Stati, finché non si opererà il loro felice ritorno al regno di Nostro Signore Gesù Cristo?
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Ma non bisogna semplificare. Alcuni rudimenti della legge naturale l'uomo li può conoscere e praticare anche quando cammini fuori dalle vie della Chiesa. La teologia lo insegna e la storia lo conferma. La grandezza di Roma le è venuta precisamente da questo fatto. Ora, un Papa non può essere indifferente al fatto che, in un momento di buon senso, i popoli traviati si riuniscano per concertare sforzi al fine di praticare nei loro mutui rapporti i rudimenti della legge naturale. Né può essere indifferente al bene che ne può derivare. Ancorché, nelle terribili difficoltà dei giorni nostri, questo bene significhi soltanto uno iato o una pausa nel processo di disgregazione del mondo odierno, sarà il caso di allungare questo iato, di dilatare questa pausa. E sarà solamente questo il bene? Chi conosce il domani? Uno iato di questo genere non sarà il momento scelto dalla Provvidenza per operare qualche grande meraviglia e toccare i cuori degli uomini? Con questo pensiero, che non comporta illusioni ma che pure non si chiude a ogni speranza, devono essere viste le prospettive future che l'eventuale organismo internazionale può aprire. *
Discorso di Pio XII ai membri della Unione dei Giuristi Cattolici Italiani,
riuniti per studiare il tema: «nazione e comunità internazionale»
(6 dicembre 1953) |