Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

2. La Comunità degli Stati secondo le norme di Pio XII

 

Cristianità, Anno IX – N. 70, pag. 12-14

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Proseguiamo oggi i nostri commenti alla importantissima allocuzione del Santo Padre (Pio XII) ai partecipanti al V Congresso Nazionale della Unione dei Giuristi Cattolici Italiani.

A proposito della costituzione di un organismo internazionale che abbracci gruppi di nazioni, e possibilmente tutti i paesi del globo, il Santo Padre Pio XII ha enunciato alcuni principi che si potrebbero riassumere in questi termini:

a. Vi è un fatto evidente: giorno dopo giorno « crescono in estensione e in profondità » (*) i rapporti tra persone di popoli diversi, meglio ancora, tra questi stessi popoli. La tecnica ha contribuito ha creare una tale situazione. Tuttavia questo è sostanzialmente un fatto naturale, derivante « dalla più penetrante azione di una legge immanente di sviluppo ». In sé, questa legge, per il fatto di essere naturale è retta. Da ciò deriva che « si deve dunque non reprimerlo, ma piuttosto favorirlo e promuoverlo ».

b. Gli Stati che formano i nuovi organismi internazionali resteranno sovrani. Questi organismi sono autentiche libere associazioni di Stati indipendenti, analoghe sul piano del diritto internazionale a quello che sono le semplici società di persone naturali o fisiche, nel campo del diritto privato.

c. La regola fondamentale di queste comunità è la osservanza della legge naturale nei rapporti internazionali. La comunità degli stati avrà certamente un suo diritto positivo. Ma questo non sarà arbitrario, e avrà « la missione di definire più esattamente le esigenze della natura e di adattarle alle circostanze concrete ».

d. Inoltre, la comunità delle nazioni potrà « prendere con una convenzione che, liberamente contratta, è divenuta obbligatoria, altre disposizioni dirette sempre al fine della comunità ». Questo dal momento che - come è stato detto - tali disposizioni non contraddicano le leggi della natura, che sono leggi del Creatore.

e. Questa attribuzione legislativa della Comunità dei popoli è incompatibile con la concezione di sovranità di Hegel e del positivismo giuridico assoluto. Ma rispetta la sovranità rettamente intesa di ogni Stato. L’autentica sovranità « significa autarchia ed esclusiva competenza in rapporto alle cose e allo spazio, secondo la sostanza e la forma dell’attività », senza « dipendenza verso l’ordinamento giuridico proprio di qualsiasi altro Stato ». Ma questa sovranità non esclude che allo stato sia negata « la facoltà di agire arbitrariamente e senza riguardo verso altri Stati ». E’ ovvio che, senza pregiudizio per la sua indipendenza, e per la stessa forza naturale delle cose, « ogni Stato è immediatamente soggetto al diritto internazionale ».

f. Popoli e individui hanno in sé diverse tendenze innate che giungono facilmente alla esagerazione, e che per ciò stesso creano il rischio di perturbare i rapporti internazionali. Questo rischio è accentuato dalla diversità di religione. Fra i popoli e gli stati che dovrebbero costituire la Comunità delle nazioni vi saranno cattolici, acattolici, atei. Come risolvere i problemi da ciò derivanti?

 

Comunità di Stati e Repubblica Universale

Per il momento ci fermiamo qui.

Prima della allocuzione di Pio XII il problema « Comunità degli stati » era intimamente legato - almeno in pratica - a quello della Repubblica Universale.

Come si sa, numerosi pensatori e politici influenti hanno propugnato, con sempre maggiore insistenza, la formazione di gruppi di stati fusi o quasi fusi tra loro, e hanno preconizzato che tali gruppi costituissero un primo passo verso la realizzazione di un solo Stato su tutta la terra, nel quale si sarebbero amalgamati, sviluppati e fusi tutti i paesi.

Le condizioni politiche derivate dall’ultima guerra favorivano singolarmente questo piano, poiché creavano – almeno in apparenza - una alternativa crudele: o la realizzazione di super-Stati assorbenti per resistere al Leviatano sovietico, oppure la capitolazione di fronte al comunismo. In buona parte, il dramma della CED, la Comunità Europea di Difesa, nasce da questo problema.

In un altro ordine di idee, è cominciato ad apparire come evidente per numerose persone che un nuovo conflitto internazionale porterà con sé la fine della civiltà, e forse della umanità. Così, è parso loro che tutti i sacrifici sarebbero stati piccoli per evitare un tale esito. E niente si presentava loro come più razionale, più efficace, più definitivo in questo senso della soppressione di tutti i governi, di tutte le frontiere, di tutte le patrie, e della instaurazione della Repubblica Universale.

Le circostanze davano così forma, colore e vita, ai nostri giorni, ai pensieri dei rivoluzionari che, particolarmente a partire dal secolo scorso (XIX), vengono sognando il moloch di una repubblica universale, laica, socialista, ugualitaria, il piano ben noto delle sette segrete, che ancora ieri sembrava chimerico agli spiriti « realisti ».

Negli ambienti cattolici, molti pensatori e studiosi si sono occupati dell’argomento, e la generalità di essi si divideva in due tendenze. Gli uni, attraiti dagli aspetti filantropici e pacifisti della sognata Repubblica Universale, patteggiavano con essa secondo qualcuno dei mille modi con cui si può venire a patti con qualcosa, dalla adesione dichiarata, fino alla approvazione tacita, oppure alla accettazione molto rassegnata del fatto compiuto. Altri, tuttavia, reagivano. Non che sembrasse loro illegittimo oppure inconcepibile un organismo sovranazionale, sempre più fortemente richiesto dalle crescenti possibilità di comunicazione tra i popoli. Nel loro spirito era ben viva, al contrario, l’ammirazione per la Cristianità e il Santo Impero. Ma sembrava loro che i partigiani della Repubblica Universale fossero immensamente potenti, e d’altro lato l’unica resistenza pensabile che avevano davanti a sé era costituita da certi particolarismi, spesso spiegabili, in altri casi esagerati e gretti. Ma in ogni caso molto vivaci. Qualsiasi passo si facesse nella direzione della formazione di blocchi internazionali, benché fosse legittimo nelle sue modalità iniziali, avrebbe indebolito questi particolarismi, e in ultima analisi avrebbe ridotto le resistenze psicologiche - immensamente più importanti di quanto si pensa - che si opponevano alla realizzazione dell’audace piano delle sette. Come si vede, vi era una grandissima adesione all’idea di un organismo internazionale che rispettasse e perfino difendesse la sovranità di ogni popolo. Ma vi era pure una grave obiezione strategica contro la opportunità di questa misura. Obiezione saggia, obiezione sensata, obiezione giusta, ispirata all’analisi acuta dell’orizzonte politico così come si presentava. In tesi, una comunità internazionale sarebbe stata eccellente. Concretamente, e per evitare il male maggiore della Repubblica Universale, era preferibile aspettare.

 

Condannato il sogno delle sette

La allocuzione del Santo Padre Pio XII ai giuristi cattolici italiani è venuta ad alterare completamente questo orizzonte, introducendo in esso un elemento nuovo di importanza sostanziale. Così, la tattica, il cui merito consiste nella sua adeguazione ai fatti, deve anch’essa mutare.

Questa modifica potremmo enunciarla così:

a. Pio XII ha dichiarato guerra formalmente alla concezione della Repubblica Universale che le sette vogliono imporre. Il suo discorso rende ben chiaro il principio già insegnato dalla Chiesa, ma dimenticato da molti, secondo cui la esistenza di Stati sovrani è conforme al diritto naturale, e la comunità degli Stati non deve attentare contro questa sovranità;

b. Egli si mostra risoluto a guidare il corso naturale e giusto degli avvenimenti, favorendo la creazione della Comunità delle nazioni, e facendo per questo tutti gli sforzi necessari. Ma nello stesso tempo circoscrive l’ambito di questo organismo, e stabilisce le condizioni nelle quali esso può contare sull’appoggio della Chiesa.

Questo intervento dottrinale e diplomatico del Santo Padre - già pronunciato forse, discretamente, in una allocuzione precedente - distrugge il primitivo quadro. Oggi non sono più di fronte soltanto i partigiani della Repubblica Universale e i particolarismi, eccessi tra i quali gli elementi moderati potevano solamente - tatticamente - favorire il male minore, che era certamente il particolarismo. Ora è in lizza la Santa Sede, a guidare con il suo prestigio, con la sua forza, con la sua saggezza, con il potere delle grazie di Dio, gli sforzi in favore di una soluzione equilibrata: né particolarismi esagerati, né Repubblica Universale, ma particolarismi legittimi. Stati sovrani e fratelli soggetti al diritto naturale nel seno di una società.

Perciò per i veri cattolici il problema si semplifica enormemente.

Per loro non si tratta più dì scegliere tra un male minore e un male maggiore, ma di agire e di pregare affinché l’operazione importantissima del Sommo Pontefice produca per la maggior gloria di Dio tutti i frutti che il suo cuore amorosissimo desidera.

 

La Comunità delle nazioni e la religione

Commentatori superficiali hanno esultato di fronte all’allocuzione pontificia, vedendo in essa una presa di posizione a favore dello « Stato vitalmente cristiano » sognato da Jacques Maritain. Tale stato metterebbe sul piede di uguaglianza la Chiesa e tutte le sette. Esso fonderebbe il suo diritto non sulla Rivelazione - poiché questo è il punto di divergenza tra le diverse religioni -, ma sulla legge naturale, nota attraverso il semplice lume di ragione, e, quindi, accettabile da parte dei fedeli di ogni credo.

Ora, dicono, il Santo Padre concepisce precisamente in questi termini la comunità delle nazioni. Essa non si strutturerebbe sulla base della fede, come in altri tempi la Cristianità e il Santo Impero, ma sulla base della legge naturale. Essa non avrebbe una religione ufficiale, ma sarebbe equidistante rispetto a tutte. Quindi sarebbe dimostrata la legittimità di un tale stato di cose.

 

Singolare mentalità

È incomprensibile come dei cattolici giungano a tali conclusioni e ne gioiscano.

Quando si ama qualcosa o qualcuno - persone, istituzioni, dottrina - gli si desidera ogni bene, ogni onore, ogni gloria. Questo è vero a fortiori a proposito di Dio e della sua Chiesa. Se nell’ordine delle possibilità teoriche si può pensare a una società internazionale in cui tutte le nazioni, convertite a Cristo Nostro Signore, riconoscano il suo regno e prendano come pietra fondamentale del loro diritto - nel campo internazionale e interno - la santa Chiesa, l’atteggiamento del cattolico zelante consiste nell’anelare con tutte le fibre dell’anima a questa situazione, e nell’accettarne qualsiasi altra dolente. Dolente, sì: questo è proprio il termine giusto. Infatti il luogo proprio di Cristo Re è il trono, e qualsiasi altra situazione gli venga attribuita è falsa, illegittima, impropria. Vi possono essere circostanze che portano il cattolico zelante ad accettare per la Chiesa un’altra situazione. La accetterà, poiché fare il contrario sarebbe stolto. Ma questa accettazione comporterà tre riserve:

a. deplorerà profondamente le circostanze concrete che lo forzano ad accettare questa situazione;

b. conserverà il desiderio ardente della situazione normale;

c. agirà con ogni diligenza perché le circostanze che gli impongono la situazione anormale siano rimosse.

Ora, si ha l’impressione che molti spiriti si comportino in modo diametralmente opposto di fronte alla dura contingenza in cui si trovano i cattolici in questo mondo in cui la maggioranza non è ancora cattolica:

a. fanno riferimento, senza il sia pur minimo dispiacere, alla divisione religiosa tragica che pesa sulla Cristianità a partire da Fozio e da Lutero e che è la causa sostanziale di tutti i nostri mali;

b. considerano una società nazionale o internazionale fondata sulla fede cattolica come un carcere oppure una cella dalla quale sono felici di essere fuggiti verso l’aria fresca e leggera dell’interconfessionalismo liberale;

c. vivono euforicamente in questa atmosfera, senza nessun dispiacere per la posizione secondaria cui si trova posta la Chiesa;

d. non desiderano lavorare per tornare all’ordine di cose precedente.

 

Il vero problema

È necessario fissare bene l’importanza di quanto qui viene detto. Il punto di divergenza tra noi e tali cattolici non è questo:

a. noi consideriamo come legittima soltanto la tesi di uno Stato ufficialmente cattolico;

b. loro accettano la tesi, ma ammettono anche l’ipotesi di un ordine di cose che imponga allo Stato un atteggiamento non ufficialmente cattolico.

Il punto di divergenza è questo:

a. noi ammettiamo chiaramente la tesi. Loro la negano, oppure, quando non la negano, riguardo a essa sono molto confusi e reticenti;

b. noi ammettiamo come loro l’ipotesi. Noi con un dispiacere profondo, loro con entusiasmo.

c. Vigente la situazione creata dall’ipotesi, vogliamo mantenere ben vivo tra i cattolici la conoscenza e l’amore della tesi, e desideriamo fare tutto il possibile perché la realtà corrisponda a essa. Loro tacciono la tesi, o fanno a essa riferimento senza zelo. Vivono bene sotto il dominio della indifferenza di Stato. Non fanno nulla per diffondere la tesi e portare il mondo a essa.

 

L’atteggiamento del Vicario di Cristo

Quale delle due posizioni è approvata dalla allocuzione pontificia? Viene voglia di sorridere. Infatti, chi può dubitare dei sentimenti di un Papa a questo riguardo? Chi può dubitare che Pio XII deplori con tutte le fibre della sua anima la divisione religiosa del mondo, soprattutto la esistenza di una così immensa dittatura atea di là dalla cortina di ferro? Chi può dubitare che desideri la conversione di tutti i popoli all’unica Chiesa di Gesù Cristo, e che il giorno in cui tale conversione si dia, vorrà vedere la Rivelazione come base del diritto? In tutto quanto il Papa insegna e fa, questo è implicito ed esplicito in tutti i modi.

Nella sua allocuzione Pio XII, di fronte alla situazione contingente di divisione religiosa, e alla esistenza di popoli atei, accetta l’idea di una società internazionale basata sul diritto naturale, e senza una posizione confessionale ufficiale.

Ma dove è detto oppure insinuato che questa situazione gli riesce gradita, è per lui ragione di gioia? Dove è affermato che la reputa la situazione ideale? Dove è detto che rinunci alla situazione ideale?

E dove sono, dunque, i titoli per la gioia maritainiana?

Il Santo Padre Pio XII ha agito in questo caso come qualsiasi Papa del Medioevo, il che per altro è normale perché Pietro è sempre Pietro.

La Cristianità medioevale è sempre vissuta in guerra di legittima difesa contro barbari e saraceni. Se gli uni e gli altri non ci avessero attaccato; se non avessero violato le nostre frontiere, se avessero permesso ai missionari di evangelizzare nelle loro terre, e avessero rispettato i Luoghi Santi; se avessero osservato la morale naturale, nei loro rapporti con la Cristianità, non vi sarebbero state le crociate.

Se gli atei, gli eretici e gli scismatici di oggi volessero agire in questo modo - portati forse dalla paura di una ecatombe mondiale - perché fare contro di loro una crociata?

***

E così ci resta soltanto da analizzare la presa di posizione del Sommo Pontefice di fronte al problema della libertà religiosa all’interno di ogni Stato, compresi gli Stati atei.

Lo faremo nel prossimo numero, non senza toccare un altro problema. Parlando di « legge immanente di sviluppo » e di « tendenze innate », il Santo Padre ha canonizzato l’evoluzionismo?


Note: 

(*) Pio XII, Discorso Ci riesce, del 6-12-1953, al V Congresso Nazionale della della Unione dei Giuristi Cattolici Italiani, riuniti per studiare il tema: «nazione e comunità internazionale», in Discorsi e Radiomessaggi di sua Santità Pio XII, vol. XV, pp. 483-492. Tutte le citazioni successive contenute nel testo e senza riferimento sono tratte da questa allocuzione.
 
 1) 1954-06 - Dagli insegnamenti di Pio XII sulla tolleranza del male nell'ordine sociale internazionale e nazionale
 
 3) 1954-08 - Tollerare il male in vista di un bene superiore e più ampio, secondo gli insegnamenti del Papa Pio XII


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