Mauro Ronco: "Il diritto e le istituzioni in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione"
Testo (non annotato)
dell'intervento del professor Mauro Ronco, responsabile regionale in Piemonte
di Alleanza Cattolica, ordinario di diritto penale all'Università di Padova,
presidente dell'Ordine degli Avvocati di Torino e già componente del Consiglio
Superiore della Magistratura, al convegno del 21 novembre 2009 a Roma sul
cinquantenario dell'opera "Rivoluzione e Contro-Rivoluzione" del pensatore
brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995).
1. L’ordine temporale legittimo
Il tema del diritto è al centro
dell’opera magistrale di Plinio Corrêa de Oliveira
«Rivoluzione e Contro-rivoluzione».
Il capitolo VII della parte prima
dell’opera, intitolato “L’essenza della rivoluzione” è suddiviso in tre
paragrafi, rispettivamente denominati: “La rivoluzione per eccellenza”,
“Rivoluzione e legittimità”, “La rivoluzione, l’orgoglio e la sensualità. I
valori metafisici della rivoluzione”. Nel primo paragrafo il prof. Plinio
fornisce il significato della parola «Rivoluzione»; nel secondo, Egli esamina
la nozione di legittimità; nel terzo, focalizza nell’orgoglio e nella
sensualità, come passioni disordinate che operano nell’uomo sotto l’influsso
della triplice concupiscenza, le valenze metafisiche della Rivoluzione e le
fonti da cui scaturisce e di cui si alimenta incessantemente.
Col vocabolo «Rivoluzione» il
prof. Plinio indica “[...] un movimento che mira alla distruzione di un potere
o di un ordine legittimo e all’instaurazione al suo posto di uno stato di cose
(intenzionalmente non vogliano dire «ordine di cose») o di un potere
illegittimo”.
Alla luce di questa definizione,
diventa cruciale definire quale sia il «potere» o l’«ordine legittimo», di
contro al «potere» o allo «stato di cose» illegittimo. Definire i caratteri
dell’«ordine legittimo» costituisce l’oggetto dell’indagine metafisica relativa
al fondamento del diritto, della giustizia e dell’ordine politico naturale. Al
di là e al di sopra dei problemi circa i titoli di legittimità del singolo
governo - problemi certamente non irrilevanti, ma assolutamente non decisivi –
si situa a un livello, per così dire, costituzionale, il problema giuridico
fondamentale, quello relativo alla legittimità dello stato – intendendosi in
questo senso per stato non ciò che la modernità denomina riduttivisticamente
«lo Stato», ma lo stato delle cose sul piano della verità giuridica in ordine
al fondamento e all’esercizio del potere, come costituzione reale di una
comunità sociale autarchica.
La legittimità dello stato, in
questo senso pregnante, si misura in relazione alla sua conformità o difformità
rispetto al vero ordine politico naturale. Il prof. Plinio si premura di
sottolineare la duplicità dei temi relativi alla «legittimità», osservando che:
“La Rivoluzione ha spesso abbattuto autorità legittime, sostituendole con altre
prive di qualsiasi titolo di legittimità. Ma sarebbe un errore pensare che essa
consista soltanto in questo. Il suo obiettivo principale non è la distruzione
di questi o di quei diritti di persone o famiglie. Più di questo, essa vuole
distruggere tutto un ordine di cose legittimo, e sostituirlo con una situazione
illegittima”. L’obiettivo della Rivoluzione è, sotto questo punto di vista, di
carattere giuridico, di estirpare, in altri termini, l’esperienza primordiale
del giusto che alberga nel cuore dell’uomo, togliendo il fondamento del giusto
ordine sociale e sostituendolo con una situazione che omette implicitamente di
tener conto, o, addirittura, esplicitamente contrasta il valore della giustizia
nel dinamismo delle relazioni multiformi tra i componenti della società uti singuli e tra costoro e la
comunità politica nel suo insieme.
Naturalmente, soggiunge ancora il
prof. Plinio nel passo appena citato, la Rivoluzione non consiste soltanto
nella sostituzione del giusto ordine delle cose con una situazione illegittima,
ma opera altresì per “[...] abolire una visione del mondo e un modo di essere
dell’uomo, con l’intenzione di sostituirli con altri radicalmente opposti”. E
evidente, infatti, che la Rivoluzione mira al cuore dell’uomo, per cancellare
in lui l’immagine e la somiglianza con Dio; non si arresta, dunque, alla
distruzione del legittimo ordine giuridico e sociale, ma si avvale di tale
distruzione per aggredire, con maggiori chances di
successo, l’uomo nella sua interiorità, affinché egli smarrisca il suo fine
eterno. Il legittimo ordine sociale, invero, non è, come tutte le realtà calate
nel tempo, un fine assoluto, ma soltanto un mezzo attraverso cui l’uomo rende
gloria a Dio, perseguendo così il fine di ottenere la vita vera. Poiché è vero,
secondo il ben noto concetto espresso dal Pontefice Pio XII, di venerata
memoria, che dalla forma conferita alla società dipende anche, in qualche misura,
la salvezza delle anime.
2. La civiltà cristiana come vero ordine legittimo
Dopo aver focalizzato l’obiettivo
della Rivoluzione, il prof. Plinio fornisce una essenziale descrizione dell’
«ordine legittimo» per eccellenza, quell’ordine contro il quale la Rivoluzione
ha scatenato la sua plurisecolare aggressione, osservando: “[...] l’ordine di
cose che si sta distruggendo è la Cristianità medioevale. Ora, la Cristianità
non è stata un ordine qualsiasi, possibile come sarebbero possibili molti altri
ordini. E’ stata la realizzazione, nelle condizioni inerenti ai tempi e ai
luoghi, dell’unico vero ordine tra gli uomini, ossia della vera civiltà
cristiana”.
In questo sintetico brano vanno
accuratamente distinte due proposizioni: la prima, che la “civiltà cristiana” è
l’ “unico vero ordine tra gli uomini”; la seconda, che la Cristianità
medioevale non è stata un ordine qualsiasi, ma “[...] la realizzazione, nelle
condizioni inerenti ai tempi e a luoghi, dell’unico vero ordine tra gli
uomini”. La prima proposizione ha una valenza metafisica: il vero ordine
legittimo è la civiltà cristiana; la seconda, una valenza meramente storica: la
Cristianità medioevale è stata una modalità, condizionata dalle circostanze
storiche, attraverso cui gli uomini di una certa epoca storica hanno cercato di
attuare, con tutte le loro limitazioni e deficienze, l’unico vero ordine
legittimo tra gli uomini.
A sostegno del giudizio storico il
prof. Plinio menziona, nel passo immediatamente successivo a quello citato, il
magistero di Leone XIII nell’enciclica Immortale Dei: “Fu già un tempo che la
filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana
influenza dello spirito cristiano era entrata ben addentro nelle leggi, nelle
istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato;
quando la Religione di Gesù Cristo posta stabilmente in quell’onorevole grado,
che le conveniva, traeva su fiorente all’ombra del favore dei Principi e della
dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il Sacerdozio e
l’Impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocanza di
servigi. Ordinata in tal guisa la società, recò frutti che più preziosi non si
potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata ad innumerevoli
monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare”.
Diverso dal tema storico è quello
metafisico, circa i caratteri che consentono di qualificare lo stato come
legittimo. Il Prof. Plinio rileva giustamente, nel secondo paragrafo del
capitolo settimo, che generalmente “[...] la nozione di legittimità è stata
messa a fuoco soltanto in relazione a dinastie e a governi”. E’ qui
implicitamente evocata la distinzione tra legittimità d’origine e legittimità
di esercizio del potere politico. Certamente, come insegna Leone XIII
nell’enciclica Au milieu des sollicitudes
del 16 febbraio 1892 – testo che il prof. Plinio cita immediatamente dopo il
brano sopra richiamato – non si può e non si deve trascurare l’importanza della
stessa questione della legittimità di origine del Governo, “[...] poiché si
tratta di una questione morale gravissima, che le coscienze rette devono
considerare con ogni attenzione”. Di gran lunga più rilevante, tuttavia, è la
questione della legittimità di esercizio del potere politico. Il termine
«legittimo» ha un significato molto vasto: è legittimo ciò che è secondo la
legge, costituito dalle leggi, giusto, vero, equo, conveniente. Qualche cosa di
più preciso e più determinato che non la semplice legalità, che può rimanere
esterna, apparente, mentre la legittimità è una qualità intima che riveste e
pervade ciò che è conforme alla legge, alla giustizia, alla ragione: conformità
alla legge universale di giustizia che impone, sancisce, coordina, regola i
rapporti tra gli uomini.
Che la legalità non esaurisca la
vita del diritto è oggi ammesso da molti, dopo l’ubriacatura, durata
ininterrottamente per quasi due secoli, che va sotto il nome di concezione
positivistica del diritto. I governi, instauratisi illegittimamente sul modello
di quelli sorti in conseguenza, diretta o indiretta, della rivoluzione detta
francese, rimossero completamente il tema della legittimità dell’esercizio del
potere, riducendo il diritto alla mera legalità, nel senso del rispetto, anche
da parte del potere pubblico, delle norme di legge dettate, in conformità alle
regole procedurali fissate nelle Carte costituzionali, dagli organismi
parlamentari, norme di legge costituenti il cosiddetto diritto positivo, a cui
si tendeva di ridurre forzosamente tutto il diritto.
Nei giorni attuali si vuole
rintracciare nella costituzione la fonte di legittimità del diritto, tanto che
le leggi ordinarie vengono sindacate sotto il profilo della loro legittimità
costituzionale da apposite corti di giustizia. Sì che la costituzione appare
oggi come il criterio unico di legittimità del diritto. Come poi la
costituzione, che è un documento giuridico positivo, emanato in un determinato
momento storico, possa costituire realmente tale criterio di legittimità, è
assai oscuro. Sembra tuttavia che gli studiosi non sfuggano alla seguente
alternativa: o la costituzione va interpretata secondo la lettera e il senso
oggettivamente ricavabile dalla risposta fornita dal potere costituente al
problema giuridico affiorato come meritevole di soluzione al momento della
decisione di tale potere; ovvero essa costituisce esclusivamente lo strumento
formale per trasferire il potere reale di governo a una classe di giuristi che,
giudicando in ultima istanza sulla «legittimità» delle norme dell’ordinamento giuridico,
spossessa del diritto di governare coloro che ne hanno ricevuto il mandato dal
corpo elettorale.
Non è questa la sede per esaminare
quale delle due tesi sia meno scorretta sul terreno della razionalità
giuridica. Si può soltanto osservare che la prima non è tanto gravemente
contraddittoria come la seconda: entrambe, invero, si sottraggono al tema
fondamentale della legittimità dell’esercizio del potere; la prima, tuttavia,
ha il merito, rispetto alla seconda, di rinviare, se non al vero, almeno al certo
delle leggi, dalle quali spesso traspare una qualche impronta di verità, come
nei casi in cui i costituenti, chiamando Dio a loro testimone, giurano
solennemente di rispettare i diritti fondamentali dell’uomo. La seconda tesi,
invece, è irrimediabilmente contraddittoria, perché, attribuendo la decisione
circa la legittimità delle leggi al soggettivo sentimento etico di giuristi che
non assumono alcuna responsabilità né di fronte a Dio né di fronte al popolo,
non garantisce né il vero né il certo del diritto, dissolvendo con ciò l’idea
stessa della legittimità dell’ordine giuridico.
3. Il bene comune come fine del giusto ordine temporale
L’opera del prof. Plinio Corrêa de Oliveira affronta in radice il tema della
legittimità dell’ordine, a cui il positivismo giuridico, per oltre due secoli,
e il costituzionalismo contemporaneo, con sempre più sottile e caparbia
determinazione, si sottraggono completamente. Il Maestro brasiliano, dopo aver
sottolineato la gravità della questione morale circa la legittimità di origine
del potere politico, incalza ancora, andando al cuore del problema: “Però il
concetto di legittimità non si applica soltanto a questo genere di problemi. Vi
è una legittimità più alta, quella che caratterizza ogni ordine di cose in cui
divenga effettiva la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, modello e fonte
della legittimità di tutte le regalità e di tutti i poteri terreni”. La
legittimità, invero, delle persone investite dell’autorità non soltanto è un
bene eccellente in sé, ma, soprattutto, è “un mezzo per raggiungere un bene di
gran lunga superiore, ossia la legittimità di tutto l’ordine sociale, di tutte
le istituzioni e di tutti gli ambienti umani, che si ha con la disposizione di
tutte le cose secondo la dottrina della Chiesa”.
Dunque, la legittimità di origine
del potere non è un fine in se stesso; non è decisivo, invero, che il regime
politico sia monarchico, secondo la legittima linea dinastica, o sia
repubblicano, secondo la legittima investitura delle magistrature da parte del popolo;
ciò che conta è che le legittime autorità politiche esercitino il loro potere
come un servizio verso il bene comune. Questo tema, che il prof. Plinio
affronta in una sintesi mirabile, è sviluppato dal Catechismo della Chiesa
cattolica in vari punti, tutti meritevoli di estrema attenzione. Nel paragrafo
2235, dedicato ai doveri delle autorità civili, è detto: “Coloro che sono
rivestiti di autorità, la devono esercitare come un servizio...L’esercizio di
un’autorità è normalmente delimitato dalla sua origine divina, dalla sua natura
ragionevole e dal suo oggetto specifico. Nessuno può comandare o istituire ciò
che è contrario alla dignità delle persone e alla legge naturale”. L’autorità,
peraltro, deve essere legittima, come è detto nel paragrafo 1897, e ha per
compito di assicurare “...l’ordine” e contribuire “...all’attuazione del bene
comune in un grado sufficiente”. L’autorità, esigita
dall’ordine morale, viene da Dio, come è detto nel paragrafo 1899 del
Catechismo, che cita a conforto il passo di San Paolo ai Romani (Rm 13, 1-2): “Ciascuno sia sottomesso alle autorità
costituite, poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono
stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine
stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la
condanna”.
L’autorità ha per compito di
contribuire all’attuazione del bene comune. Quest’ultima nozione è
particolarmente ostica alla mentalità moderna, che è incapace di concepire il
bene se non come il bene di un singolo o come il bene di un certo numero, più o
meno consistente, di singoli. In realtà, come insegna il Catechismo al punto
1905, non vi è bene del singolo che non sia bene comune, perché, in conformità
alla natura sociale dell’uomo, il bene di ciascuno è necessariamente in
rapporto con il bene comune. Per esso va inteso, secondo la definizione della
Costituzione conciliare Gaudium et
spes, 26, ripresa nel Catechismo al punto 1906:
«l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi,
come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e
più speditamente”.
4. Il dinamismo delle relazioni giuste nell’ordine temporale legittimo
Il bene comune è il bene di
ciascun componente della società, che non può sussistere se il bene di ciascuno
non è allo stesso tempo il bene di tutti. Questo bene, che costituisce il fine
per cui opera l’autorità civile legittima, si attua grazie alla pratica della
giustizia e termina nella realizzazione della pace, luminosamente definita da S.
Agostino «tranquillità dell’ordine». L’ordine legittimo è quell’ordine in cui
le singole persone ordinano le proprie azioni, sia verso gli altri sia verso la
comunità nel suo insieme, secondo giustizia, e in cui la comunità politica, a
sua volta, ordina secondo giustizia le sue decisioni e azioni verso tutti i
componenti della società.
Per comprendere, ora, per quale
motivo la civiltà cristiana, secondo l’insegnamento di Plinio Corrêa de Oliveira, come ordine delle cose in cui diviene
effettiva la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, è l’unico ordine veramente
legittimo, occorre scendere in profondità all’esame della metafisica cristiana
della giustizia e dell’ordine politico naturale.
Alberto Caturelli,
nello scritto “La metafisica cristiana de la justicia
y el orden temporal”, ha messo in luce la novità dell’idea cristiana
di giustizia rispetto all’idea classica, come espressa mirabilmente dai sommi
filosofi Platone e Aristotele. Esaminando in particolare l’idea di giustizia in
Aristotele e segnalando il progresso enorme che la dottrina aristotelica ha
apportato alla tradizione culturale dell’Occidente, per avere essa chiarito che
la giustizia, tra le virtù, è l’unica che si riferisce al bene degli altri, è
virtù ad alterum, ponendo, pertanto, l’armonia tra le
virtù e tutte superandole e ricomprendendole, Caturelli
denuncia tuttavia la radicale insufficienza dell’idea aristotelica di
giustizia. Cito in una mia traduzione la spiegazione dell’illustre filosofo
argentino: “Vero che la giustizia legale (come relazione delle parti al tutto)
dice relazione al bene comune. D’altra parte, ogni forma di giustizia, in
quanto abito virtuoso, ordina tutti gli elementi della città al bene comune.
Tuttavia Aristotele, mancando della nozione di creazione e aderendo all’idea
del movimento eterno del mondo, non è in grado di trascendere il mero bene
immanente della città; per questo motivo gli è impossibile scoprire e affermare
un fondamento metafisico dello stesso bene comune; perciò abbandona la
giustizia nell’incertezza e nella inefficacia. Non v’è in Aristotele motivo
alcuno (trascendente al bene comune che si identifica con la felicità intramondana) perché egli possa incontrare il senso ultimo
della volontà di riconoscere e di dare a ciascuno «il suo». Questa carenza impedisce
ad Aristotele di riconoscere che il suum, più
specificamente proprio di ciascuno, è il suo stesso atto di essere; se avesse
fatto questo passo, avrebbe potuto riconoscere l’uguaglianza essenziale di
tutti gli uomini tra loro e che ciò che a ciascuno è dovuto è il suo proprio
atto di essere”.
La vera causa di questa gravissima
insufficienza dell’idea di giustizia, che lo portò a sostenere energicamente la
«legittimità» della schiavitù e la inferiorità della donna, sta, secondo Caturelli, nell’immanenza del fine che non trascende mai la
felicità soggettiva, inscritta nel movimento perpetuo di tutta la realtà,
concepito dentro la gabbia dei miti arcaici dell’eterno ritorno. Un passo in
avanti nell’idea di giustizia venne compiuto, secondo Caturelli,
dai giureconsulti romani che intuirono, per un lato, attraverso la risoluzione
dei casi pratici, l’essenziale bilateralità della giustizia, come relatio ad alterum, e
individuarono il fondamento prossimo del suum nella
natura intrinseca della cosa stessa.
5. La pienezza della giustizia sul piano razionale nella società
cristiana
Soltanto la demistificazione e la
trasfigurazione della giustizia per opera della rivelazione cristiana ha
illuminato, per un verso, il concetto della bilateralità (relatio
ad alterum) della giustizia, e, per un altro verso,
ha rivelato la stessa sua natura. I passaggi decisivi sul piano filosofico
consistettero, secondo Caturelli, nell’idea di
creazione, che ruppe il cerchio dell’eternità del movimento con l’affermazione
dell’intrinseca bontà di tutto il creato, anche di quello materiale; con la
focalizzazione di un termine ad quem nel dinamismo
umano e con la proclamazione del valore intrinseco di ogni singola persona
umana. Questi elementi portarono alla demistificazione dei miti, che erano
rimasti soggiacenti anche alla più alta speculazione filosofica, e alla
trasfigurazione delle verità naturali, che pervennero, grazie all’ausilio della
rivelazione cristiana, alla loro completezza, anche sul piano
razionale-naturale. Detto in altro modo, con le parole di Caturelli:
“[...] come la grazia sana ed eleva la natura, così la verità filosofica,
sanata ed elevata, realizza un progresso incommensurabile come verità naturale.
Sotto l’influenza del cristianesimo
fu così possibile purificare la stessa riflessione razionale sul diritto e
sulla giustizia e, conseguentemente, sull’ordine politico naturale, legittimo
in quanto regolato dalla giustizia nel suo triplice dinamismo delle relazioni
delle parti tra loro, del tutto verso la parte e delle parti verso il tutto.
Il punto di partenza originario
sta in null’altro che “nella partecipazione all’ente – dunque all’uomo, che è
l’unico ente visibile che ha coscienza di sé – dell’atto di essere, in modo che
ciascun ente “ha” per sé ciò che è propriamente suo, cioè l’essere”. Questo è
il diritto originario di ciascuno, onde il primo atto di giustizia è il
riconoscimento del dovuto a ciascuno, cioè il riconoscimento del suo diritto
originario. Non a caso l’esperienza ci porta a riconoscere che ciascuno ha in
sé, precedentemente a ogni riflessione razionale, il senso della giustizia;
affiora con ciò il senso comune circa l’esistenza di un diritto essenziale ad
essere, che è la conseguenza necessaria dell’atto creativo di Dio, che fa
all’uomo il dono di essere.
Così la giustizia, intesa
romanamente come “costante e perpetua volontà di dare a ciascuno il suo” (ius suum), si realizza nei
diversi ordini sul presupposto inderogabile dell’atto primo di riconoscimento
del suum, che appartiene all’ordine metafisico, prima
che all’ordine etico, giuridico ed economico. Come nota Caturelli,
Aristotele non era fuoriuscito dal cerchio della giustizia in senso soggettivo,
della giustizia come perfezione dell’azione umana a conseguire la felicità intramondana. Il «suum», come
oggettiva res iusta che
spetta a ciascuno, rimaneva sospeso in modo indeterminato e inconcluso, perché
mancava il fondamento dell’obbligo di dare a ciascuno il suum.
La rivelazione cristiana apre lo sguardo della ragione su due aspetti
fondamentali, mai prima di allora concepiti: per un verso, il suum spetta a ciascuno prima e indipendentemente da ogni
atto deliberativo dell’uomo, ma gli spetta per dono irrevocabile di Dio, dono
non negoziabile; per un altro verso, la relazione ad alterum,
da cui scaturisce il rapporto tra diritto e dovere, vede la priorità logica e
metafisica del dovere rispetto al diritto. Quest’ultimo, in altri termini, è la
conseguenza del dovere che ciascuno ha di rispettare e promuovere il suum che è l’atto di essere partecipato da Dio a ogni
persona umana. Il dovere di religione di ciascuno verso Dio è il fondamento di
ogni diritto. Ecco perché la dottrina cristiana ha sempre dato la priorità al
concetto di dovere rispetto a quello di diritto: perché ogni diritto nasce dal
riconoscimento del dovere verso Dio, che ha creato l’uomo e gli ha donato
l’atto partecipato di essere.
Il diritto non sorge dalla pretesa
soggettiva o dall’esplicazione del potere dell’io individuale, bensì dal
riconoscimento del suum che è in ogni singolo uomo.
Ma questo suum originario non è concepibile senza la
comunicabilità originaria dell’uomo con il suo prossimo, fondamento della
orientazione ad alterum che è specifica della
giustizia, secondo la proposizione di S. Tommaso: “ex sua ratione
iustitia habet quod sit ad alterum (St. II, II,
58, 2).
La novità della visione cristiana,
da cui sola scaturisce la vera legittimità dell’ordine politico, si coglie
appieno osservando il profilo della cosiddetta giustizia legale, cioè
dell’ordine delle parti nei confronti del tutto. Come rileva Caturelli, la giustizia legale naturale si chiarifica e
arricchisce alla luce della metafisica cristiana; mentre nel mondo antico la
giustizia riflette l’equilibrio cosmico, o si identifica con la sapienza, o con
la virtù morale che si ordina al bene soggettivo immanente alla società, nella
concezione cristiana, “in virtù della donazione assoluta dell’atto di essere
(ciò che più propriamente è «suo»), l’atto giusto non è un mero ‘dare’, senza
la donazione della persona al bene del prossimo e, nella giustizia legale,
senza la donazione della persona al bene comune, che è il maggior bene del
prossimo. Ancora più profondamente, l’originario atto giusto, da cui deriva
ogni giustizia, è e deve essere il riconoscimento del diritto di Colui che dona
l’atto di essere (Dio) e davanti al quale ciascuno di noi è un debitore
assoluto. “Per questo motivo – osserva Caturelli -
non si possono invocare i diritti naturali dell’uomo, senza riconoscere
anteriormente il diritto di Dio, o i diritti di Dio, che sono il suo
fondamento”.
La civiltà cristiana, che
riconosce la regalità anche sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, è l’unico
ordine veramente legittimo, secondo l’insegnamento di Plinio Corrêa de Oliveira, perché ordina tutti gli atti della
giustizia intorno al riconoscimento del diritto di Colui – il Figlio Unigenito
di Dio - che non soltanto ci ha donato l’atto di essere, ma anche, attraverso
la sua incarnazione, passione, morte e risurrezione, ha riacquistato per noi la
pienezza del nostro essere a immagine e somiglianza di Dio.
6. Le istituzioni legittime
Soltanto l’ordine sociale
cristiano è in grado di confermare nel triplice dinamismo della giustizia il
permanente riconoscersi gli uomini debitori gli uni degli altri, o nel rapporto
da singolo a singolo nella giustizia commutativa, o nella partecipazione
proporzionale al bene comune nella giustizia distributiva o nella donazione si
se stessi al bene comune nella giustizia cosiddetta legale.
Al detentore del potere di governo
spetta il dovere di riconoscere il diritto proprio della famiglia e delle
società intermedie a partecipare alla direzione della comunità politica, vuoi
delle società di diritto naturale primario, come la famiglia o il municipio, vuoi
delle società intermedie di secondo grado, come i sindacati, le associazioni
imprenditoriali o professionali.
Plinio Corrêa
de Oliveira esprime in maniera sintetica il ruolo essenziale dei corpi
intermedi tra l’individuo e lo Stato per la costituzione dell’ordine politico
legittimo. Nel paragrafo 3 del capitolo VII il Maestro brasiliano, focalizzando
nell’ugualitarismo assoluto il frutto avvelenato
dell’orgoglio, sottolinea la ricaduta sul piano delle istituzioni dell’ugualitarismo radicale e metafisico. Obiettivo primario
della Rivoluzione è l’abolizione dei corpi intermedi, tra cui, in primo luogo,
l’abolizione della famiglia, che, nella prospettiva ultima della sua
estinzione, deve essere comunque sminuita, mutilata e vilipesa in tutti i modi,
affinché si realizzi “[...] quell’annullamento dell’individuo e
quell’anonimato, che raggiungono la massima espressione nelle concentrazioni
urbane della società socialista”.
Lo Stato, “costituito da un popolo
indipendente che esercita pieno dominio su un territorio”, ha altresì un ruolo
fondamentale nel giusto ordine politico, come istanza superiore che dirige e
coordina la partecipazione distributiva di tutti al bene comune e governa
l’adempimento dei doveri di ciascuno verso il medesimo bene comune.
Plinio Corrêa
de Oliveira vede nel movimento verso la Repubblica Universale, ove dovrebbe
essere annullata ogni sovranità statale, in una sorta di ingiusto e utopistico ugualitarismo nell’ordine internazionale, che fonderebbe
indistintamente “tutte le razze, tutti i popoli e tutti gli Stati, in una sola
razza, in un solo popolo e in un solo Stato”, un pericolo gravissimo per il
bene comune, contro cui la Contro-Rivoluzione è chiamata a impegnarsi con tutta
l’energia morale e politica possibile. Il sogno della Repubblica Universale - e
il movimento legislativo verso la sua realizzazione – rappresenta, infatti, la
contraffazione diabolica della Cristianità, e , dunque del giusto ordine
naturale, perché tende a sostituire le legittime autorità politiche, che
rappresentano i singoli popoli e le singole nazioni storiche di fronte a Dio,
allo stesso tempo rappresentando Dio di fronte ai loro popoli e nazioni ed
esercitando il potere in Suo nome, con dei poteri anonimi e oscuri, senza alcun
legame con i popoli e con i territori, che pretendono di governare i destini
del mondo con la forza del denaro e con le armi della menzogna, diffusa
mass-mediaticamente, e della tecnica, falsamente rappresentata come salvatrice
del mondo, nell’oblio o addirittura nel disprezzo dell’unico Salvatore
dell’umanità, Gesù Cristo Nostro Signore.
Senonché, l’unico rimedio contro la
progressiva e apparentemente inarrestabile costruzione della Repubblica
Universale è l’operoso e inflessibile impegno per l’instaurazione dell’unico
ordine politico legittimo, cioè della civiltà cristiana, cioè di una nuova
Cristianità. La sovranità piena di ogni nazione, come ricorda il prof. Plinio Corrêa de Oliveira, “[...] non si oppone a che i popoli che
vivono nella Chiesa, formando una vasta famiglia spirituale, costituiscano, per
risolvere i loro problemi sul piano internazionale, organismi profondamente
impregnati di spirito cristiano...”. Tali organismi potrebbero anche favorire
la collaborazione dei popoli cattolici, per il bene comune in tutti i suoi
aspetti...”. La Contro-Rivoluzione, tuttavia, “deve sempre far vedere la
terribile lacuna costituita dalla laicità...” degli organismi internazionali
operanti nel mondo contemporaneo, mettendo “in guardia gli spiriti contro il
pericolo che questi organismi si trasformino in un germe di Repubblica
Universale” .
Nella Cristianità – conclude
magistralmente il prof. Plinio - ogni paesi conserva “tutte le sane
caratteristiche locali, in qualsiasi campo, nella cultura, nei costumi”. Ma la
valorizzazione delle particolarità di ciascuno “non ha il carattere di una
svalutazione sistematica di quanto appartiene agli altri, né di una adorazione
dei valori patrii come se fossero indipendenti da
tutto l’insieme della civiltà cristiana. La grandezza che la Contro-Rivoluzione
desidera per tutti i paesi è e può essere soltanto: la grandezza cristiana, che
implica la preservazione dei valori peculiari di ognuno, e la convivenza
fraterna fra tutti”.
Fonte: http://magdiallam.it/taxonomy/term/2?page=1