Il contributo di Plinio Corrêa de Oliveira e di "Rivoluzione e Contro-Rivoluzione" allo sviluppo del pensiero e dell’azione contro-rivoluzionari
Cristianità n. 330-331, luglio-ottobre 2005, pp. 33-45 |
|
Per ricordare il decimo anniversario della morte del pensatore e uomo d’azione brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1980-1995), l’Associação dos Fundadores da TFP-Tradição Família Propriedade ha edito un volume commemorativo a più voci: Plinio Corrêa de Oliveira dez anos depois... (San Paolo 2005), aperto da una lettera commendatizia di S. E. mons. Juan Rodolfo Laise O.F.M. Cap., vescovo emerito di San Luis, in Argentina. Pubblichiamo il testo originale italiano annotato del contributo alla collettanea di Giovanni Cantoni, uno studio dal titolo A contribuição de Plinio Corrêa de Oliveira e de "Revolução e Contra-Revolução" no desenvolvimento do pensamento e da ação contra-revolucionários (ibid., pp. 201-221). * * * Nel 1976 il pensatore e uomo d’azione brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) — in un Auto-retrato filosófico redatto su sollecitazione del filosofo lettone Stanislavs Ladusàns S.J. (1912-1993), all’epoca attivo in Iberoamerica, un testo aggiornato nel 1994, ma pubblicato postumo nel 1996 —, scrive: "L’aspetto della filosofia di cui più m’interesso è la filosofia della storia. In funzione di questa trovo il punto di congiunzione fra i due generi di attività nei quali mi vengo dividendo nel corso della mia vita: lo studio e l’azione" (1). Quindi, precisando il suo duplice impegno, quanto all’azione dichiara: "Ho svolto quest’ultima in un campo molto definito: la diffusione dottrinale, fatta ora con il carattere di dialogo, ora — per quanto la nozione e la parola sembrino anacronistiche, non mi sento assolutamente in imbarazzo nel fare questa dichiarazione — anche di polemica" (2). Tornando poi al proprio impegno intellettuale afferma: "Il saggio nel quale condenso l’essenziale del mio pensiero spiega il senso della mia azione nel campo delle idee. Si tratta del libro Rivoluzione e Contro-Rivoluzione" (3). Dopo questa "autocertificazione", il maestro brasiliano scrive: "Uno dei presupposti di questo saggio è che, contrariamente a quanto pretendono tanti filosofi e sociologi, il corso della storia non è tracciato esclusivamente o principalmente dalle sollecitazioni della materia sull’uomo. Queste influiscono indubbiamente sull’agire umano. Ma la direzione della storia appartiene all’uomo, in quanto dotato di un’anima razionale e libera. In altri termini, è lui che, operando talora più profondamente e talaltra meno sulle circostanze nelle quali si trova, ed essendone anche influenzato, in misura variabile, dà agli avvenimenti il loro corso. "Orbene, l’agire dell’uomo si produce, normalmente, in funzione delle sue concezioni sull’universo, su sé stesso e sulla vita. Il che comporta dire che le dottrine religiose e filosofiche dominano la storia, e che il nucleo più dinamico dei fattori dai quali derivano le grandi trasformazioni storiche si trova nei successivi atteggiamenti dello spirito umano di fronte alla religione e alla filosofia" (4). Quindi passa a esaminare non solo le cause delle istituzioni umane, ma pure quelle della loro crisi: "Vi è chi immagina tutte le crisi della cultura e della civiltà come nate necessariamente da qualche pensatore, dalla cui vigorosa mente scaturirebbe sempre la scintilla illuminatrice — o distruttrice — che si comunicherebbe in primo luogo agli ambienti di alta cultura e guadagnerebbe poi tutto il corpo sociale. Chiaramente, spesso, le crisi sono nate in questo modo. Ma la storia non conferma che siano nate tutte così. E, in particolare, non è nata così la crisi che ha fatto declinare il Medioevo e che ha suscitato l’Umanesimo, il Rinascimento e la Pseudo-Riforma protestante" (5). Poi è la volta della corrispondente fenomenologia: "Proprio perché chiede all’uomo un’austerità di costumi faticosa per la natura umana decaduta, l’influenza della Chiesa su ogni anima, su ogni popolo, su ogni cultura e su ogni civiltà è continuamente minacciata. Le passioni disordinate, eccitate dall’azione preternaturale del Potere delle Tenebre, sollecitano continuamente gli uomini e i popoli al male. La debolezza dell’intelligenza umana può essere sfruttata da queste tendenze. Facilmente l’uomo genera sofismi per giustificare le cattive azioni che desidera realizzare, o che ha già realizzato, i cattivi costumi che ha acquisito o che sta acquisendo. Lo ha detto Paul Bourget [1852-1935]: "Bisogna vivere come si pensa, se no, prima o poi, si finisce col pensare come si è vissuto"" (6). "Detto tutto questo — prosegue —, ecco riassunti i principali elementi dottrinali sui quali ho basato Rivoluzione e Contro-Rivoluzione: "a. la missione della Chiesa come unica Maestra, Guida e Fonte di Vita dei popoli verso la civiltà perfetta; "b. la costante opposizione delle passioni disordinate, particolarmente dell’orgoglio e della lussuria, all’influenza della Chiesa; "c. l’esistenza, nello spirito umano, di due poli opposti, verso uno dei quali necessariamente si dirige: da un lato la Fede cattolica, che induce all’amore dell’ordine, dell’austerità e della gerarchia; e dall’altro lato le passioni disordinate, che inducono alla sfrenatezza, alla rivolta contro la legge, contro la gerarchia, contro qualsiasi forma di disuguaglianza e che, infine, portano al dubbio e alla completa negazione della Fede; "d. la nozione di un processo — l’espressione va intesa senza pregiudizio del libero arbitrio — mediante il quale, gradualmente, gl’individui o i popoli, subendo l’attrazione dei due poli opposti, si avvicinano a uno di essi e si allontanano dall’altro; "e. l’influenza di questo processo morale sull’elaborazione delle dottrine. Le cattive tendenze inclinano all’errore. Le buone tendenze inclinano alla verità. Le grandi modifiche nello spirito dei popoli non sono un semplice risultato di dottrine elaborate da piccoli cenacoli d’intellettuali che elucubrano serenamente a margine della vita. Perché una dottrina trovi eco in un popolo è necessario, la maggior parte delle volte, che le tendenze di tale popolo abbiano affinità con tale dottrina. E non è raro che la riflessione stessa fatta dai dotti, nei loro studi, sia più influenzata di quanto si pensi da questi desideri dell’ambiente in cui loro stessi vivono" (7). Ecco dunque condensata — e autenticamente condensata — un’opera, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (8), che si situa perciò nella prospettiva di una pendolarità non obbligata degli accadimenti umani, delle istituzioni umane, fra il polo dell’Ordine, restaurato in dottrina e in pratica dalla Chiesa Cattolica dopo la caduta originale, e il polo del Disordine, il polo del Caos. L’opera costituisce un unicum? Oppure si tratta di un individuo di una specie? E, all’interno della specie, in che cosa emerge e per che cosa si distingue e si differenzia? Provo a rispondere a qualcuno di questi quesiti, magari semplicemente contribuendo a riscrivere in modo più articolato o soltanto più esteso la domanda stessa.
I. Alcuni parametri Comincio con un’analogia storico-culturale. Dunque, "verso la fine del Medioevo, precisamente a partire dalla metà del secolo XIV, la Guerra dei Cento Anni e il Grande Scisma introdussero l’anarchia nelle chiese e negli ordini religiosi. La guerra sconvolse l’ordine sociale [...]. Il Grande Scisma spezzò temporaneamente, di fatto, l’unità cattolica e perciò stesso sminuì l’autorità ecclesiastica. Un poco ovunque la disciplina ne fu infiacchita. "In questo stato d’indebolimento morale il Rinascimento trovò la società cristiana in Occidente" (9). Così, "poiché all’esterno, né le leggi ecclesiastiche, né le regole dei monasteri, né l’opinione pubblica erano capaci di proteggere la pietà, questa si circonderà, nell’anima cristiana, come di una cittadella. Già, verso la fine del Medioevo, la vita spirituale aveva avuto la tendenza a regolamentarsi. Il Rinascimento l’obbligò a rinchiudersi in quadri precisi, anche rigidi, e capaci di sopportare rudi colpi senza spezzarsi. Si arrivò così alla metodizzazione degli esercizi, soprattutto della meditazione, e alla graduazione definitiva della vita spirituale. Ciascuno poté adattare, un poco meccanicamente, è vero, ma con precisione, i diversi esercizi di pietà allo stato e ai bisogni della sua anima" (10). "Alla fine del secolo XV l’orazione metodica era dunque creata. Lo Spirito Santo ha ispirato ai riformatori della vita religiosa questo tipo di esercizio, destinato a proteggere la pietà nel momento in cui la società cessò di essere cristiana. E siccome il mondo, paganizzato dal Rinascimento e sconvolto dal protestantesimo, senza dubbio non ritornerà totalmente cristiano per molto tempo, la preghiera metodica sarà sempre più necessaria. Perciò si generalizzerà e s’introdurrà anche nella vita dei semplici fedeli grazie all’opera di sant’Ignazio di Loyola [1491-1556]" (11). Ecco descritto, con le parole di un classico della storia della spiritualità cristiana — La Spiritualité Chrétienne, del sacerdote sulpiziano francese Pierre-Claude Pourrat (1871-1957), del 1947 — non come sono nati gli Esercizi Spirituali — la problematica è trattata in modo ancora non superato dal gesuita tedesco Hugo Rahner (1900-1968) appunto in Come sono nati gli Esercizi. Il cammino spirituale di sant’Ignazio di Loyola (12), dello stesso anno —, ma in quale contesto, in risposta a quale sfida, dunque — in qualche modo — perché sono nati gli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola. La ricostruzione storica conferma una tesi felicemente espressa da José Ortega y Gasset (1883-1955) nelle sue Meditazioni del Chisciotte, del 1914 (13). Infatti il pensatore spagnolo — del quale, sia detto a scanso di equivoci, non intendo assolutamente "salvare" la filosofia — scrive: "Io sono io e la mia circostanza, e se non la salvo non salvo neanche me stesso. Benefac loco illi quo natus es, leggiamo nella Bibbia. Per la scuola platonica l’impresa di ogni cultura consiste nel "salvare le apparenze", i fenomeni; cercare, cioè, il senso di ciò che ci circonda" (14). E a questa tesi sostanzialmente corrisponde un suggestivo passo del Magistero di Papa Giovanni Paolo II (1978-2005), del 1979, che autorizza — mi pare — a parlare di "catechesi ambientale": "Il compito fondamentale della Chiesa — afferma il Pontefice — è la catechesi. Lo sappiamo bene, non soltanto in base ai lavori dell’ultimo Sinodo dei Vescovi [del 1977, su La catechesi nel nostro tempo], ma anche in base alle nostre esperienze nazionali. Sappiamo quanto, nel campo di questa opera della fede sempre più consapevole, che sempre di nuovo viene introdotta nella vita di ogni generazione, dipenda dallo sforzo comune dei genitori, della famiglia, della parrocchia, dei sacerdoti pastori d’anime, dei catechisti e delle catechiste, dell’ambiente, degli strumenti della comunicazione sociale, delle usanze. Difatti, le mura, i campanili delle chiese, le croci ai bivi, le immagini sante sulle pareti delle case e delle stanze: tutto ciò, in un qualche modo, catechizza. E da questa grande sintesi della catechesi della vita, del passato e del presente, dipende la fede delle generazioni future" (15). Ebbene, alla catastrofe spirituale premessa alla nascita degli Esercizi Spirituali corrisponde — senza affrontare e tantomeno risolvere il rapporto di causa-effetto fra i due piani — una catastrofe politico-sociale, alla cui maturazione risponde Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, che quindi costituisce l’analogo del capolavoro di sant’Ignazio di Loyola appunto nella vita politico-sociale, nato cioè a fronte delle stesse sollecitazioni da cui sono nati gli Esercizi Spirituali prima e ad altro e diverso livello.
II. I filoni Questi parametri — o, almeno, anche parametri di questo tipo — sono indispensabili per cogliere i caratteri e la funzione di un’opera quale Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, che può essere situata almeno all’interno di quattro filoni culturali. Il primo, il più lato, è costituito dai testi che illustrano la tematica delle Due Città — meglio, delle Tre Città —, per la quale si è soliti fare riferimento all’opus magnum di sant’Aurelio Agostino (354-430), il De civitate Dei libri 22, scritto fra il 413 e il 427 (16). Il secondo, più limitato, ma ugualmente esteso, è costituito dai testi che formano la letteratura cosiddetta contro-rivoluzionaria, nata a partire e a causa della Rivoluzione detta Francese, anche se non mancano significativi antecedenti fra coloro che hanno in qualche modo previsto tale catastrofe politica. Il terzo, ancora minore, è costituito dagli autori che, all’interno dei due filoni precedenti, in qualche modo si sono venuti formando nel quadro della storia culturale iberomericana. Il quarto, infine, da quanti — sempre all’interno dei quadri precedenti — hanno operato nell’area, per altro di dimensione continentale, costituita dal Brasile, almeno a partire dalla prima metà del secolo XIX, da quando, cioè, si è venuta configurando, nel quadro dell’emancipazione dell’Iberoamerica, l’incruenta "eccezione brasiliana" (17). Quanto agli ultimi due filoni, la difficoltà della loro ricostruzione è determinata sia dall’esiguità della relativa letteratura critica o secondaria, a carattere quasi esclusivamente "di parte", "ideologico"; sia, quando pure qualcosa esista, dalla grande difficoltà a fruirne, nonostante la globalizzazione. 1. Il pensiero contro-rivoluzionario in Brasile Circa il quarto filone, le ricostruzioni del personaggio "Plinio Corrêa de Oliveira", anche quando consistenti e non carenti nella descrizione del mondo in cui nasce e in cui vive, mi pare lascino a desiderare quanto al collegamento strutturale di quel "presente" con il corrispondente passato (18). Credo perciò s’imponga — ma è compito da realizzare — una visitazione adeguata di questo mondo nella sua dimensione storica, socio-politica e socio-culturale, che — fra l’altro — non scorpori l’impegno religioso del protagonista da quello politico-sociale, certo distinguendo, ma — per esempio — senza separare — e, tantomeno, separare radicalmente — ambiente legittimista e ambiente cattolico (19). Mi pare opportuno notare come lo stesso Corrêa de Oliveira abbia fornito un mirabile esempio di tale possibile ricostruzione nella parte illustrativa dedicata al Brasile della sua ultima opera, del 1993, quella intitolata Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, nell’edizione in portoghese (20). 2. Il pensiero contro-rivoluzionario nell’Iberoamerica Circa il terzo filone, i termini del problema sono da riprendere, per esempio, a partire dalla descrizione del democristianismo e dei suoi avversari, quale è stata tentata per l’Iberoamerica, sia pure en passant, da un buon conoscitore del problema, il cultore francese di studi politici Pierre Letamendia (1943-1995), identificandoli in due figure sacerdotali, il cileno monsignor Luis Arturo Pérez (1888-1960), canonico della cattedrale di Santiago de Chile, e l’argentino don Julio Meinvielle (1905-1973), e in una rete di associazioni laicali, le TFP, le Società per la Difesa di Tradizione, Famiglia e Proprietà, quelle appunto che fanno riferimento, come a fondatore o come a ispiratore, a Corrêa de Oliveira (21). E il percorso storico, quindi a ritroso, suggerisce piuttosto analogie, quando non richiami diretti, alla Fronda aristocratica, il movimento di opposizione antiassolutista francese della metà del secolo XVII (22), e all’Insorgenza nell’Europa Continentale, cioè all’insieme dei moti contro la Rivoluzione Francese e contro Napoleone Bonaparte (1769-1821) fra la fine del secolo XVIII e l’inizio del secolo XIX (23), che non alla stessa Rivoluzione Francese. 3. Il pensiero contro-rivoluzionario nell’Europa Continentale Venendo al secondo filone, per la sua descrizione mi avvalgo di un’autorevole e felice ricostruzione, proposta negli anni 1950 dal pensatore spagnolo Rafael Gambra Ciudad (1920-2004) (24), secondo il quale — come scrive in La Monarquía social y representativa en el pensamiento tradicional, del 1954, "il processo si deve far cominciare [...] dall’ultimo decennio del secolo XVIII, da quanto è stato chiamato prima reazione contro la rivoluzione, che costituisce anche la prima autocoscienza dell’antico regime, fino ad allora non messo in discussione nei suoi fondamenti politici e spirituali" (25). Se la prima testimonianza critica sulla Rivoluzione Francese si deve all’uomo politico e pensatore anglo-irlandese Edmund Burke (1729-1797), le cui Reflections on the Revolution in France compaiono nel 1790 (26), sette anni più tardi il diplomatico savoiardo conte Joseph de Maistre (1753-1821) pubblica le Considérations sur la France (27), mostrando non "da fuori" e sulla base dei suoi effetti, ma "da dentro" e per ragioni che ritiene necessarie, il fallimento obbligato della Rivoluzione a causa dell’ordine naturale che conculca. Seguono gli scritti del filosofo e statista francese visconte Louis-Gabriel-Ambroise de Bonald (1754-1840), l’altro grande esponente della reazione monarchica in Francia. "Dopo Bonald — la descrizione è sempre di Gambra Ciudad — il pensiero tradizionalista patisce una netta biforcazione. Ne è indubbiamente causa Auguste Comte [1798-1857]" (28). "Questo apriva le porte a una nuova interpretazione del regime tradizionale che non sarà più quella di de Maistre o di Bonald, animata da una fede interna, e neppure quella semplicemente critica [...] di Burke: la visione di questo ordine storico come il regime scientifico o strettamente naturale, creato dalla stessa evoluzione dell’uomo e dal suo adattamento all’ambiente, adattato alle sue necessità reali. Questo punto di vista sarebbe passato a considerarlo più una formazione naturale e biologica che una creazione morale dello spirito umano. "A partire da questo suggerimento comtiano nel pensiero tradizionalista si potranno distinguere le due correnti che qualcuno ha chiamato tradizionalismo di destra e tradizionalismo di sinistra. Quest’ultimo, quello influenzato dal positivismo di Comte, avanza in Francia su vie efficientiste e organiciste da Renan [Ernest (1823-1892)] a Taine [Hippolyte-Adolphe (1828-1893)], passando per Maurice Barrès [1862-1923], fino a Charles Maurras [1868-1952] e a Paul Bourget, cioè al movimento noto come Action Française" (29). "Ma la figura primaria di questo tradizionalismo naturalista e pragmatico è indubbiamente Charles Maurras. [...] "Il pensiero maurrassiano costituisce la rivendicazione di un regime creato dagli stessi fatti, un rifiuto dell’ideocrazia che domina a partire dalla rivoluzione, una riconciliazione della politica con la vita reale degli uomini. Il Medioevo conseguì un regime meraviglioso che non conobbe problema sociale di nessun genere, e la cui continuità politica dominò anche la contingenza incerta dei fatti storici. Noi possiamo pensare che fu dovuto all’incidenza della fede e dello spirito della vera religione su quell’epoca, cioè alla potenzialità sociale del cristianesimo. Maurras e i suoi prescindono da questa interpretazione e vedono soltanto una formazione naturale nell’ordine politico. Il cattolicesimo, che non è pura intimità come il protestantesimo, ma dogmatica concreta e assoggettamento personale delle coscienze, è la sola religione politica, favorevole alla formazione di coesistenze stabili. Maurras, con un criterio più realista e storico di Comte, accetta il cattolicesimo, ma per le stesse ragioni che ispirarono a Comte la religione positiva e sociale che disegnò sullo schema della Chiesa cattolica. L’opera di Maurras è una visione "da fuori", estranea allo spirito o principio interno che creò la società medioevale" (30). Ebbene, con ogni evidenza, Corrêa de Oliveira si situa in quello che il pensatore spagnolo chiama tradizionalismo di destra, non insensibile a valide argomentazioni anti-rivoluzionarie addotte anche dall’altra corrente, ma concentrato sullo spirito o principio interno che ha creato la società medioevale. 4. Le Tre Città Circa il primo filone — la notazione è di Ferdinand Tournier S.J. (1854-1926) in uno studio su Les "Deux cités" dans la littèrature chrétienne del primo decennio del secolo XX (31) —, i Padri Apostolici, nei loro trattati di morale, come la Didachè (32), della seconda metà del secolo I, o Il Pastore d’Erma (33), della prima metà del secolo II, si dedicano principalmente — attraverso la metafora delle due vie, che fa eco alle "vie" o "strade" veterotestamentarie (cfr. Dt. 30, 15-20; Sal. 1, 1; Ger. 21, 8; e Pr. 4, 18-19) e alle evangeliche "via larga" e "via angusta" (cfr. Mt., 7, 13-14; e Lc., 13, 24) nonché all’impossibilità di "servire a due padroni" (Mt., 6, 24; e Lc., 16, 13) — a istruire i catecumeni provenienti dal mondo dei gentili a diventare consapevoli, a distinguere e a separare quanto è confuso in loro, e a risvegliare in sé stessi il senso del bene e del male, mettendo in evidenza che il combattimento spirituale contro il male è preso in considerazione solamente nella coscienza individuale, senza venire tematicamente collegato, fino a sant’Agostino — cioè fino a quando si passa significativamente dalla metafora della "via" a quella della "città" —, alle condizioni generali della Chiesa militante, della Chiesa nella storia, quindi delle cristianità, delle comunità dei cristiani. E a sant’Agostino non manca una posterità, da san Cesario vescovo d’Arles (470/471 ca.-542), in Francia, a Papa san Gregorio Magno (540 ca.-604), da san Paolino patriarca d’Aquileia (prima metà del sec. VIII-795) all’abate benedettino Beato di Liébana (†798), nelle Asturie, onorato in Spagna come san Biego, a Eterio vescovo di Osma, in Castiglia, e a Rabano Mauro (784 ca.-856), abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, in Germania. Di particolare rilievo, sempre in Germania, Werner II di Küssaberg o Küssenberg, abate benedettino di St. Blasien, nella Foresta Nera, dal 1170 al 1178, autore di Deflorationes patrum super evangelia de tempore per anni circulum, un "Florilegio dai Padri sui Vangeli dell’Anno Liturgico", che dipinge il contrasto fra le Due Città in termini inequivocabilmente medioevali, cioè feudali. Da Werner la parabola delle Due Città passa letteralmente nella Miscellanea di uno scrittore della scuola di San Vittore, poi si ritrova nel teologo, filosofo, erudito e poeta cistercense Alano di Lilla (1115/1128-1202); altri, come Garnier di San Vittore, la riprendono da sant’Agostino attraverso Papa san Gregorio Magno; la maggior parte s’ispira direttamente al De civitate Dei: per esempio, l’innografo Hildebert di Lavardin (1056 ca.-1133 ca.), arcivescovo di Tours, in Francia, il teologo belga e abate benedettino Ruperto di Deutz (1075/1080 ca.-1130 ca.), in Germania, Wolberon (†1167), il filosofo e mistico francese di origine sassone Ugo di San Vittore (1096 ca.-1141), il teologo scozzese Riccardo di San Vittore (1123 ca.-1173) e la benedettina tedesca santa Ildegarda di Bingen (1098-1179). Nell’impossibilità di seguire la storia delle Due Città nella letteratura cristiana fino alla fine del Medioevo — in quanto non supportato dal mio autore —, vengo finalmente a sant’Ignazio di Loyola e alle meditazioni sull’appello del re temporale e sui due stendardi degli Esercizi Spirituali, per le quali suggerisco altri mentori, anzitutto il già citato Hugo Rahner S.J, poi Tomáš Špidlík S.J., dal 2003 cardinale, soprattutto nell’opera Ignazio di Loyola e la spiritualità orientale. Guida alla lettura degli "Esercizi", del 1994 (34). Ma, prima di abbandonare — per così dire — padre Tournier S.J., colgo con lui uno dei "succhi" del suo studio: conclude infatti — fra l’altro — che sant’Agostino, e Werner dopo di lui, intendono solamente descrivere le condizioni della Chiesa militante; mostrare i due campi chiaramente definiti con i loro capi, le loro armi e le loro tattiche; esortare alle virtù caratteristiche della Città Santa e alla fuga dai vizi opposti, infine consolare con la prospettiva della ricompensa. Quindi — insiste il gesuita francese — sant’Agostino e Werner, "quanto all’apostolato, ne parlano altrove; nel quadro delle due città, si attengono al punto di vista che hanno scelto. Sant’Ignazio ne fa proprio un altro: fa convergere tutto verso la vita apostolica. Non si tratta soltanto dell’opposizione e del combattimento spirituale, si tratta della conquista, si tratta del commendando ut omnes velint adjuvare [raccomandando loro di aiutare tutti] che non è presente nei due testi paralleli [di sant’Agostino e di Werner]. Nella meditazione del Regno vi era la preparazione all’apostolato, quella dei Due Stendardi ne mostra i mezzi" (35). Ma — ancora —, se con sant’Ignazio entrano in campo l’ascesi e la conquista, sempre di morale individuale si tratta, mai esplicitamente delle condizioni sociali, per le quali sarebbe stata necessaria non solo l’esperienza di una cristianità storica, che per certo a sant’Ignazio non mancava, ma la consapevolezza di questa esperienza — spesso, quando non sempre, sollecitata della sua condizione di crisi, di pericolo — e la riflessione su di essa. Per cogliere il congiungimento fra queste due prospettive, quella apostolica e quella sociale, quindi per incontrare la nascita dell’"ascetica sociale" (36), bisogna attendere gli autori contro-rivoluzionari in genere e Corrêa de Oliveira in specie, che della dinamica dei rapporti della civitas hominum con la civitas Dei e la civitas diaboli — le Tre Città, secondo la lettura che dell’opera agostiniana danno il card. Charles Journet (1891-1974) e, alla sua scuola, Roger-Thomas Calmel O.P. (1914-1975) (37) — fa dottrina appunto in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. E tale dottrina non costituisce solo sintesi del pensiero cristiano precedente — sia privato che magisteriale —, ma è sinteticamente e apertamente esposta anche in seguito, enunciata nel modo più autorevole e al massimo livello al paragrafo 13, intitolato De peccato, della costituzione pastorale del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, pubblicata da Papa Paolo VI (1963-1978) nel 1965 (38), ed è ampiamente affermata nell’esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, pubblicata da Papa Giovanni Paolo II nel 1984 (39), quindi nel Catechismo della Chiesa Cattolica (40), del 1992.
Scolion Il riferimento alla dottrina delle Due Città — meglio, delle Tre Città — e alla dinamica dei loro rapporti aiuta forse a qualificare le tre versioni di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione: quella originale, del 1959, quella con l’aggiunta di una terza parte, del 1977, e — finalmente — quella integrata da alcuni Commenti, del 1992. Nella prima versione (41), il calco sulle Due Città, sui Due Stendardi, sui Due Padroni, sulle Due Vie, è evidente e inequivoco, naturalmente con i contributi dell’autore che vengo segnalando. Nella seconda versione, l’architettura drammatica, dialettica, in tensione, "gotica", è apparentemente turbata dall’inserimento di una terza parte, "Rivoluzione e Contro-Rivoluzione" vent’anni dopo (42), a meno che — come personalmente credo — tale parte non vada intesa soprattutto come luogo che raccoglie materiale per certo già scelto e depositato, ma da lavorare in futuro, espressione e testimonianza sollecitata di un work in progress, materiale predisposto per una ricomposizione mai realizzata, ma per certo pensata a fronte del crollo della III Rivoluzione e dell’avvento della IV Rivoluzione, avvento che costituisce il messaggio principale della terza parte della versione del 1977. Finalmente mi paiono confermare senza incertezze la tesi i diversi strati di osservazioni depositate e accuratamente datate, propri della terza versione, caratterizzata dall’inserimento di diversi Commenti (43), quasi "pronte per l’uso" — ripeto — piuttosto che già usate, materiale utile per emettere giudizi piuttosto che giudizi già emessi. A questa ipotesi ermeneutica porto anche il contributo di fatto — per quel che vale — della mia personale testimonianza, costituita da una conversazione sull’argomento in occasione di uno degli ultimi incontri che ho avuto con Corrêa de Oliveira a San Paolo nel 1993.
III. Il genere letterario: la "letteratura del fare" Dopo aver situato Rivoluzione e Contro-Rivoluzione all’interno di più letterature, tento una sua collocazione nel quadro di un preciso genere letterario, sempre avvalendomi dell’analogia con gli Esercizi Spirituali. Mi servo perciò, allo scopo, di una tesi di Giuseppe De Gennaro S.J., docente alla LUMSA. Libera Università Maria Santissima Assunta e all’Università dell’Aquila di Letteratura Mistica Spagnola, con particolare riferimento a san Giovanni della Croce (1542-1591), a santa Teresa d’Avila (1515-1582) nonché a sant’Ignazio di Loyola. "Gli Esercizi — scrive nell’Introduzione appunto agli Esercizi spirituali, nella maggiore raccolta di scritti del fondatore della Compagnia di Gesù, comparsa nel 1977 in lingua italiana —, situati nella letteratura del fare ed estranei a quella del bel dire o della bella forma, si presentano come un complesso organizzato di regole generative di linguaggio, come una grammatica dell’interlocuzione con Dio" (44). In questo senso, l’aggettivo "generativo" non va letto come sinonimo di "creativo", termine da riservare semmai alle innovazioni del lessico e della semantica, ma piuttosto nel senso che la rappresentazione astratta che il parlante nativo ha della grammatica della propria lingua è generativa, cioè comprende non tanto regole esplicite adatte alle frasi empiricamente accertate, ma regole per formare tutte e solo le frasi potenzialmente possibili in quella lingua. Dunque, come gli Esercizi Spirituali anche Rivoluzione e Contro-Rivoluzione fa parte della "letteratura del fare", è testo che orienta e definisce relazioni — meglio: orienta a definire relazioni —, costituisce una "grammatica" elementare delle relazioni dell’uomo sociale, della società, con Dio.
IV. "Tendenze", "ambienti", "cultura" e "civiltà" nell’orbita della "volontà" I termini chiave per cogliere, dunque, almeno un aspetto di novità — forse il principale aspetto di novità — di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione nelle diverse letterature e nel genere letterario di cui fa parte, sono "tendenza", "ambiente", "cultura" e "civiltà", da esaminare all’interno della dottrina relativa alla "volontà", e per i quali cercare lumi nell’opera in esame, soprattutto nella parte I, al capitolo X, La cultura, l’arte e gli ambienti nella Rivoluzione (45), ma anche in altri scritti, primi fra tutti quelli sul tema quali le postume Note sul concetto di Cristianità. Carattere spirituale e sacrale della società temporale e sua "ministerialità" (46), edite per la prima volta in italiano nel 1998, e le Considerazioni sulla cultura cattolica (47), del 1954. La volontà è la facoltà di tendere al bene e sta nel noto rapporto sinergico con l’intelletto, facoltà di conoscere tale bene come verità; con l’intelletto si divide le spoglie della memoria e come l’intelletto è ferita dal peccato originale. La tendenza, l’inclinatio, indica la propensione operativa post peccatum, propensione da interpretare ambiguamente come "passione", cioè sia come frutto del peccato che come potenza naturale che esiste a monte del peccato, a prescindere da esso (48). L’ambiente è il luogo nel quale e il modo attraverso il quale la volontà viene formata, ha il proprio training, non come indicazione diretta del fine verso il quale esercitarla, ma come rafforzamento materiale, tecnico, e indicazione indiretta, implicita, del fine da perseguire. La cultura è l’esito globale di quanto si può imparare concettualmente e di quanto si apprende indirettamente, per imitazione e per pratica consuetudinaria, quindi per esercizio, nella prospettiva del miglioramento.
V. Un frutto del "metodo preventivo" L’identificazione del genere letterario, la "letteratura del fare", e, più ancora, quella di filoni culturali non significa — non intende significare — una filiazione esplicitamente culturale, nel senso intellettualistico del termine, del pensiero e dell’opera di Corrêa de Oliveira, e non esclude, anzi ipotizza, un modo indiretto di formazione del suo atteggiamento, del suo carattere e del suo pensiero, un modo coerente con la sua lezione: un ambiente forma un uomo che dell’ambiente fa uno degli oggetti privilegiati della sua costante attenzione, valutandone la straordinaria importanza nella formazione del carattere e della mentalità. Ma è possibile vi sia qualcosa di più: "La relazione che corre tra questi uomini — scrive Hugo Rahner S.J., nell’opera citata, a proposito de Gli "antenati" di Ignazio — trascende ampiamente la dipendenza puramente letteraria e per questo non si inquadra nelle categorie della storia elaborata soltanto in base a documenti. Tale relazione è "metastorica" e si fonda sull’uguaglianza dell’intuizione mistica che infonde in questi uomini, tanto lontani nel tempo e così indipendenti da un punto di vista puramente documentario, gli stessi pensieri fondamentali, espressi in principi così mirabilmente consonanti" (49). Ebbene, altrettanto si può dire della formazione remota di Corrêa de Oliveira, che — anche questo va segnalato — non manca certo di una formazione e di un’informazione prossime, alle quali mi limito a negare un’importanza determinante e alle quali l’autore stesso nega una simile importanza quando, in epigrafe a un’opera sull’azione anticomunista della TFP brasiliana, Meio século de epopéia anticomunista, del 1980, scrive di una sorta d’"intuizione" giovanile: "Quando ero ancora molto giovane, osservai con trasporto le rovine della Cristianità, a esse diedi il cuore, volsi le spalle al mio futuro, e feci di quel passato carico di benedizioni il mio avvenire..." (50). Inoltre, come si può notare, i termini utilizzati dal pensatore e uomo d’azione brasiliano — "ambiente", "mentalità" e "tendenza" (51) — sono tutti caratterizzati da una straordinaria "fluidità", cioè da "imprecisione" di contorni, da difficoltà di una loro definizione concettuale, che non va però intesa assolutamente come inesistenza, secondo una deriva "concettualistica" presente nel mondo cattolico, per parlare solo di questo, soprattutto nella sua espressione di "terza scolastica" o neoscolastica. In altre parole, Corrêa de Oliveira, che, grazie all’educazione ricevuta soprattutto dalla madre, donna Lucilia Ribeiro dos Santos Corrêa de Oliveira (1876-1968) (52), può essere considerato un frutto straordinariamente felice del "sistema preventivo", del "metodo preventivo" — per usare la terminologia con cui s’indica la pedagogia, il "modello pedagogico" di san Giovanni Bosco (1815-1888), che privilegia appunto la prevenzione rispetto alla repressione (53) —, teorizza e applica lo stesso "metodo preventivo" e il modello che ne consegue nella lettura dei fatti storici e sociali, lato sensu culturali, e fa della diffusione di una cultura cattolica la meta dell’opera di contrasto della Rivoluzione, della Contro-Rivoluzione, cioè dell’azione di opposizione alla seduzione messa in atto dalla civitas diaboli nei confronti della civitas hominum. In questo senso — o almeno, per certo, anche in questo senso — è da leggere la sua attenzione tematica alla famiglia come ambiente umano che produce aristocrazia, attenzione chiaramente espressa — per esempio — in genere nell’opera sulla nobiltà (54) e, in specie, nell’Appendice III di essa, L’aristocrazia nel pensiero di un cardinale, controverso ma non sospetto, del secolo XX (55). Infatti, in questa parte dell’opera riporta — e commenta — brani di uno schema per omelie contenenti alcuni punti di dottrina della Chiesa sull’aristocrazia, brani tratti dal terzo tomo di La parola di Cristo, un’opera omiletica in dieci volumi, elaborata a cura di mons. Ángel Herrera Oria (1886-1968), all’epoca vescovo di Malaga, in Spagna, poi cardinale (56).
VI. Le "dimensioni" dell’"ambiente" Dunque, senza assolutamente trascurare né — tantomeno — sottovalutare altri aspetti dell’opera di Corrêa de Oliveira, credo che una delle sue espressioni più singolari, uno dei suoi maggiori contributi sia al pensiero che all’azione contro-rivoluzionari consista nella straordinaria capacità di sintesi con cui espone in modo aforismatico-catechistico il pensiero di una scuola — quella appunto cattolica contro-rivoluzionaria — ma, soprattutto, per sua stessa confessione sempre nell’Auto-retrato filosófico, nella prospettiva da lui esposta "[...] per diversi anni, [attraverso] la rubrica Ambientes, Costumes, Civilizações, da molti indicata come l’espressione ricca e originale di una scuola di elaborazione intellettuale. Questa rubrica constava dell’analisi comparativa di aspetti del presente e del passato, avendo come oggetto monumenti storici, fisionomie caratteristiche, opere d’arte o di artigianato, presentati al lettore attraverso fotografie" (57), autentiche images de mémoire, in analogia con i lieux de mémoire per i quali si è soliti fare riferimento all’opera dello storico francese Pierre Nora (58). "Tali analisi — prosegue il maestro brasiliano —, fatte alla luce dei princìpi che ho esplicitato in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, mirava a mostrare che la vita di tutti i giorni, nei suoi momenti straordinari o correnti, è suscettibile di essere penetrata dai più elevati princìpi della filosofia e della religione. E non solo penetrata, ma utilizzata come mezzo adeguato per affermare oppure per negare tali princìpi, per certo in modo implicito, ma insinuante ed efficace. In modo tale che, spesso, le anime sono modellate molto di più dai princìpi vivi che pervadono e imbevono gli ambienti, i costumi e le civiltà, che dalle teorie talora stereotipe e perfino mummificate, prodotte resistendo alla realtà, in qualche isolato luogo di lavoro o messe in letargo in qualche polverosa biblioteca. Da ciò la tesi di Ambientes, Costumes, Civilizações secondo cui l’autentico pensatore deve essere anche, normalmente, un osservatore che analizza la realtà concreta e palpabile di tutti i giorni. Se cattolico, questo pensatore deve inoltre cercare di modificare questa stessa realtà, nei punti in cui contraddica la dottrina cattolica" (59). Quanto al primo aspetto, cioè quanto alla forma di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione — aspetto cui facevo riferimento anche come frutto di esperienza, di utilizzo ormai pluridecennale —, merita di essere sottolineato come il suo carattere catechistico-aforismatico, comunque d’insieme di "pensieri brevi", di tesi accennate ma svolte solo embrionalmente, si presti a una duplice funzione. a. Per chi non ha nulla — cioè per il lettore comune, per l’utilizzatore, per l’utente con un deposito culturale esiguo, quasi di pura sopravvivenza — il testo è catechismo da memorizzare, fonte d’informazioni da tesaurizzare, seme da coltivare con i tempi indeterminati e indeterminabili della semina, della crescita e del raccolto propri della cultura umana. b. Per chi ha molto — perfino "troppo" rispetto alle sue capacità di conservazione —, ma questo molto è disorganizzato, il testo breve — lo stesso testo breve — si trasforma da occasione catechistica in stimolo alla riflessione, quindi alla ri-organizzazione del posseduto. Si deve notare che il "riassunto", cioè la trasmissione sintetica di un testo lungo è ovviamente sempre più breve del testo riassunto, mentre l’esposizione di un testo breve è sempre più lunga; in altri termini, il testo breve costringe il trasmettitore ad aggiungere, a "metterci del proprio", quindi a sviluppare. Ancora, il testo lungo soddisfa e può impigrire, cioè produrre — anche se non intenzionalmente — una "scolastica" nel senso deteriore del termine, mentre il testo breve stimola e costringe a contribuire. c. Inoltre, l’uso catechistico del testo breve in chi possiede molto si rivela uso improprio e improvvido quando diventa sostitutivo del posseduto, non lievito in esso, quindi isterilisce e costituisce regresso nello sviluppo culturale, comunque ostacolo a esso. Quanto alla riflessione anche sulle "piccole realtà", ritenute tali per confronto con la religione, la filosofia e la politica, riflessione sintetizzata in un capitolo di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione e più ampiamente esposta nelle Note sul concetto di Cristianità. Carattere spirituale e sacrale della società temporale e sua "ministerialità", essa si svela percorso pedagogico nei due sensi: infatti, dalla realtà s’impara, con la realtà s’insegna (60). 1. Il corpo come espressione dell’anima: dalla comunicazione verbale al portamento e all’abbigliamento "Quando due persone sono in contatto fra loro — scrive Corrêa de Oliveira nell’ultimo studio citato —, per quanto siano disuguali per intelligenza, per istruzione o per forza di persuasione, sono in grado di esercitare reciproca influenza l’una sull’altra. Il corpo umano è uno strumento meraviglioso per l’espressione dell’anima: tutte le nostre idee, anche le più astratte, tutte le nostre emozioni, anche le più sottili, sono suscettibili di un’espressione adeguata attraverso l’azione primordiale della parola in sé stessa, completata e arricchita dall’inflessione della voce, dall’espressione dello sguardo, dai gesti, dall’atteggiamento del corpo, dal portamento e perfino dal modo di camminare. Virgilio ci dice che, attraverso il semplice modo di camminare, Didone si rivelava una dea: "et incessu patuit dea..." [vera dea s’aprì al portamento]. "L’uomo accentua la capacità espressiva del suo corpo con l’abito e con l’ornamento. Questa capacità giunge a essere tanto grande da passare talora, e per altro erroneamente, per irresistibile. Quando questa trasparenza dell’anima in tutto il modo di agire e di essere del corpo diventa limpida e soprattutto quando tale trasparenza rivela un’anima ferma, chiara, logica, si riconosce di essere in presenza di quella che si chiama una personalità. Avere personalità, essere una personalità è avere un’anima sufficientemente sviluppata per dirigere, per influenzare, per brillare in tutto il corpo materiale. È realizzare, all’interno del semplice campo naturale, una certa trasfigurazione della materia attraverso l’illuminazione interiore dell’anima, che è una prefigurazione puramente naturale, ma in sé stessa splendida, della trasfigurazione soprannaturale, incomparabilmente più radiosa e più nobile, che i corpi gloriosi avranno in Cielo, e di cui Nostro Signore sul Tabor, e anche alcuni santi, ci hanno dato una visione sensibile in questa terra d’esilio" (61). 2. L’azione dell’anima sui mondi animale, vegetale e minerale Ma "l’anima non si esprime soltanto attraverso il corpo. Le forme, i colori, i suoni, gli odori, i sapori hanno un’analogia non puramente convenzionale con le disposizioni dell’anima umana. E perciò le parole che servono per designare stati dell’anima umana sono correntemente usate per designare per analogia qualità particolari di esseri animali, vegetali o minerali. Si può parlare del canto allegro di un passero, dell’aspetto ridente di un mazzo di fiori o semplicemente di un panorama, e questo nello stesso modo in cui si parla del riso allegro di una giovane o di un bambino. Si può parlare della maestà di un re come dell’aquila o del tuono. Gli esempi di ciò potrebbero essere moltiplicati quasi all’infinito. "Dato questo fatto, l’uomo può applicare la sua azione sugli esseri inferiori, comunicando loro una certa espressione. Così, sicuramente, le specie animali addomesticate dall’uomo ricevono da lui quasi una certa dolcezza di comportamento, una certa compostezza, che li distingue dai loro simili selvatici con differenze molto somiglianti a quelle che distinguono l’uomo civilizzato dal barbaro. "Certi animali, per esempio gatti d’Angora o volpini di Pomerania, acquistano una certa distinzione evidentemente affine agli ambienti umani in cui vivono. Un’azione dello stesso genere può anche essere svolta dagli uomini su certe piante, nelle quali si distinguono le specie selvatiche e quelle coltivate, diremmo meglio quelle messe a coltura. L’uomo può comunicare certe espressioni dell’anima perfino a esseri perfettamente inanimati: per esempio, quando fa un quadro con un’espressione assolutamente non preesistente nella tela, nel pennello o nei colori. "E tale è l’anima umana che lo specifico dell’uomo sta nel comunicare una tal quale espressione a tutti gli oggetti di cui si circonda. Poiché siamo fatti di anima e di corpo, vogliamo che gli oggetti che servono al nostro corpo parlino anche all’anima. Un mobile comodo è quello che serve solo al corpo: un mobile elegante è quello che serve anche all’anima. Un tessuto resistente, gradevole al tatto, adatto al clima, soddisfa il corpo. Ma l’anima ha esigenze proprie e chiede che sia bello" (62). 3. L’azione dell’anima sul mondo che costruisce: la nozione di "ambiente" Le osservazioni precedenti portano il maestro brasiliano ad affrontare una nozione essenziale, quella di "ambiente". "Quando, talora, entriamo in una sala, ci sembra di sentire la personalità di chi l’ha arredata. Diciamo che costituisce un ambiente. Che cosa vuol dire a questo proposito "ambiente"? È l’espressione dell’anima che, attraverso il gioco delle forme e dei colori, una persona è riuscita a comunicare a oggetti materiali. "In questo, come in tutto, l’uomo imita Dio. Quando contempliamo certi panorami marini, quando di notte guardiamo il cielo, sentiamo un’espressione dell’anima che si distacca da questo mondo: è l’ambiente creato da Dio e attraverso il quale Egli si esprime ai nostri sensi. "Ci sarebbe ancora molto più facile esemplificare con i suoni, con i profumi, con i sapori. San Paolo ha scritto che il vino, bevuto con moderazione, rallegra il cuore del giusto. La Chiesa si serve della musica per educare la nostra pietà. L’aroma austero dell’incenso le sembra adatto a essere respirato da noi nella preghiera. Invece i suoi moralisti ci hanno sempre messo in guardia contro i profumi voluttuosi e capaci di eccitare la mollezza e la lussuria" (63). 4. Verso la contemplazione, fra vizi e virtù Quindi Corrêa de Oliveira esamina l’ambiente in relazione al fine essenziale della contemplazione: portare a Dio. "Se gli stati dell’anima sono suscettibili di esprimersi così, è implicito che li sono anche le virtù e i vizi. Essi si manifestano frequentemente sul volto umano, nell’inflessione della voce, nel gesto, nell’andatura. Essi sono suscettibili di segnare con una loro nota specifica tutto quanto l’uomo fa o produce. "L’intemperanza o la temperanza di un autore non si nota solo nel fatto di utilizzare [oppure no] il nudo. Il ritmo di una musica può in sé stesso essere lascivo, come la combinazione di certi profumi, o la mescolanza di certi sapori. La mancanza di senno non si esprime soltanto attraverso il senso delle parole, ma con la sgarbataggine del gestire, la stravaganza delle linee o dei colori di un abito, di un mobile, di un edificio. "Su questo punto come in altri l’uomo è soggetto all’errore e può giudicare come sensuali o dissennate cose che gli sembrano tali perché non è abituato a esse. Ciononostante una certa sensualità o stravaganza può trovarsi realmente nella cosa prodotta o fabbricata da un uomo sensuale o stravagante. "Quando ci si trova di fronte a un "ambiente", proprio perché esprime uno stato dell’anima, esso non può essere moralmente indifferente: o sarà buono e favorirà le anime nella considerazione e nell’assimilazione di Dio, o sarà cattivo e agirà in senso opposto. "Questo è quanto si potrà dire dell’onestà o della disonestà naturale degli ambienti. Sarà lecito fare un passo avanti e parlare di ambienti specificamente cristiani? Ci sembra di sì. "L’anima umana toccata dalla grazia acquisisce una perfezione soprannaturale che talora si rispecchia nel volto. L’agiografia abbonda di testimonianze di ciò. Che cos’è stata la Trasfigurazione se non questo? Ora, la pittura e la scultura possono esprimere qualcosa di ciò. E certi edifici in cui si trovano queste sculture e vetrate sono con esse in una tale armonia da sembrar esprimere, a loro modo, la stessa irradiazione dell’anima umana misticamente incorporata a Nostro Signore Gesù Cristo. L’eroismo dei crociati fu tipicamente cristiano e, quindi, diverso dall’eroismo puramente naturale di un legionario romano. È possibile osservare l’ambiente formato in un paesaggio da un possente castello medioevale senza aver l’impressione che qualcosa di tipicamente cristiano ci tocchi l’anima?" (64).
VII. A mo’ di conclusione Dunque, contrariamente alla percezione dell’uomo comune, non solo del cosiddetto "disinformato", e secondo la testimonianza di uno dei suoi teorici maggiori nel secolo XX, "Contro-Rivoluzione" non è sinonimo di cuartelazo, di rivolta di una guarnigione. È piuttosto lo sforzo di formare, di contribuire alla formazione di un uomo che persegua il proprio fine naturale e soprannaturale; e di contribuirvi non solo con la diffusione d’idee e l’instaurazione d’istituzioni, ma anche attraverso la costruzione di un mondo, indiretto pedagogo umano e cristiano, non pedante e aggressivo precettore razionalista e illuminista; un mondo al quale è essenziale la libertà per conoscere e perseguire la verità: insomma, un mondo di uomini e di cristiani che cerchi di assomigliare, di "divenire simile", alla Città di Dio, che miri a realizzarsi come una consapevole cristianità; cioè un "ambiente" informato a una "cultura" che favorisca lo sviluppo delle "tendenze" verso la verità e il bene e ostacoli quelle verso l’errore e il male. Secondo la lezione di sant’Agostino nella sua Esposizione sul salmo 86 — datata nel 412 oppure dopo il 415 —, "veramente cose molto gloriose sono state dette di te, città di Dio! Ecco, Madre Sion!, dice l’uomo. Quale uomo? Colui che si è fatto uomo in lei. In lei si è fatto uomo ed egli stesso l’ha fondata. Come ha potuto farsi uomo in lei e averla fondata? Essa era stata fondata perché egli si facesse uomo in lei" (65). Ma che cosa può, che cosa deve fare chi, non essendo Dio, ma dovendone imitare la perfezione attraverso l’imitazione dell’Uomo-Dio, non può creare il mondo in cui vivrà? Costui, il contro-rivoluzionario, può però — anzi, deve —, consapevolmente o inconsapevolmente, allontanare la Città dell’Uomo dalla Città del Demonio e contribuire alla costruzione di un mondo in cui un altro essere umano potrà più agevolmente vivere: così mostrerà di amare Dio che non vede, cioè di assomigliare a Dio che non vede, beneficando il prossimo che vede (cfr. 1 Gv. 4, 20). E finalmente: la Contro-Rivoluzione non è solo filosofia, non è solo politica; è per certo anche filosofia e politica, ma è anzitutto uno sforzo al quale contribuiscono pure le piccole cose, i piccoli gesti, pure quelli fatti ai piccoli; forse, soprattutto, i piccoli gesti fatti ai piccoli (cfr. Mt. 25, 40 e 45). Giovanni Cantoni Note: (1) Auto-retrato filosófico de Plinio Corrêa de Oliveira, redatto nel 1976 e aggiornato nel 1994, in Catolicismo, anno XLVI, n. 550, San Paolo ottobre 1996, pp. 3-33 (p. 3); segnalo, ma non me ne servo, una trad. it. parziale del testo, Il Pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira. Un autoritratto filosofico, supplemento n. 2 a Tradizione Famiglia Proprietà, anno III, n. 7, Roma marzo 1997. (2) Auto-retrato filosófico de Plinio Corrêa de Oliveira, cit., p. 3. (3) Ibidem. (4) Ibidem. (5) Ibidem. (6) Ibid., p. 6; la citazione dello scrittore francese è tratta dal suo Le Démon de midi, Plon, Parigi 1914, trad. it., Il demone meridiano, Salani, Firenze 1956, p. 395. (7) Auto-retrato filosófico de Plinio Corrêa de Oliveira, cit., p. 7. (8) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Revolução e Contra-Revolução, 3a ed., San Paolo 1993, trad. it., Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Luci sull’Est, Roma 1998; sull’opera in genere, cfr. la mia intervista "Rivoluzione e Contro-Rivoluzione" quarant’anni dopo, a cura di Juan Miguel Montes Cousiño, in Cristianità, anno XXVII, n. 289, maggio 1999, pp. 17-20. (9) Pierre-Claude Pourrat P.S.S., La Spiritualité Chrétienne, vol. III, Les Temps Modernes. Premiére Partie, De la Renaissance au Jansénisme, 1925, Librairie Lecoffre-J. Gabalda et Cie Éditeurs, ed. riveduta e aggiornata, Parigi 1947, p. 1. (10) Ibid., p. 6. (11) Ibid., p. 34. (12) Cfr. Hugo Rahner S.J., Ignatius von Loyola und das geschichtliche Werden seiner Frömmigkeit [Ignazio di Loyola e il divenire storico della sua spiritualità], Pustet, Graz-Salisburgo-Vienna 1947, trad. it, Come sono nati gli Esercizi. Il cammino spirituale di sant’Ignazio di Loyola, con Presentazione di Giovanni Arledler S.J., Edizioni ADP, Roma 2004. (13) Cfr. José Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte, trad. it., in Idem, Meditazioni del Chisciotte, con introduzione di Otello Lottini, Guida, Napoli 2000, pp. 29-90. (14) Ibid., p. 44; non mi è riuscito d’identificare il presunto passo scritturale né in ciò in qualche modo aiuta il curatore. (15) Giovanni Paolo II, Discorso all’arrivo a Gniezno, in Polonia, del 3-6-1979, n. 2, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. II, 1, pp. 1396-1398 (p. 1397). (16) Cfr. sant’Aurelio Agostino, La Città di Dio, trad. it., con introduzione, note e appendici di Luigi Alici, Rusconi, Milano 1990. (17) Cfr. Alberto Caturelli, Il Nuovo Mondo riscoperto. La scoperta, la conquista e l’evangelizzazione dell’America e la cultura occidentale, trad. it., con una Prefazione di Pier Paolo Ottonello, Edizioni Ares, Milano 1992, pp. 353-354; e José Pedro Galvão de Sousa (1912-1992), Introdução à História do Direito Político brasileiro, Saraiva, San Paolo 1962, pp. 111-128, soprattutto pp. 113-114 e 123. (18) Cfr. Lizânias de Souza Lima, Plinio Corrêa de Oliveira. Um cruzado do seculo XX, tesi di laurea magistrale, Universidade de São Paulo, San Paolo 1984; Roberto de Mattei, Il crociato del secolo XX. Plinio Corrêa de Oliveira, con Prefazione del card. Alfons Maria Stickler S.D.B., Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1996; Gizele Zanotto, É o caos!!! A luta anti agro-reformista de Plínio Corrêa de Oliveira, tesi di laurea magistrale, Universidade Federal de Santa Catarina, Florianópolis 2003; e Rodrigo Coppe Caldeira, O Influxo ultramontano no Brasil: o pensamento de Plínio Corrêa de Oliveira, tesi di laurea magistrale, Universidade Federal de Juiz de Fora, Juiz de Fora 2005. (19) Cfr. João Camillo de Oliveira Tôrres (1915-1973), Os constructores do Império. Ideais e lutas do Partido Conservador Brasleiro, Companhia Editora Nacional, San Paolo 1968; Margaret Patrice Todaro, Pastors, Prophets and Politicians: A Study of the Brazilian Catholic Curch, 1916-1945, tesi di dottorato di ricerca, Colombia University, New York 1971; don Charles Antoine (1929-2002), L’Intégrisme brésilien, Centre Lebret, Parigi 1973, trad. portoghese, O Integrismo Brasileiro, Civilização Brasileira, Rio de Janeiro 1980, soprattutto pp. 20-41; Márcio Moreira Alves, A Igreja e a Política, con Prefazione di Carlos Alberto "Frei Betto" Libânio Christo O.P., Editora Brasiliense, San Paolo 1979; Maria de Lourdes Monaco Zanotti, Os subversivos da República, Editora Brasiliense, San Paolo 1986; Tiago Adão Lara, Tradicionalismo Católico em Pernambuco, Fundação Joaquim Nabuco-Editora Masangana, Recife 1988; Riolando Azzi, O Altar unido ao Trono. Un projeto conservador, Edições Paulinas, San Paolo 1992; e Teresa Maria Malatian, Império e missão. Un novo monarquismo brasileiro, Companhia Editora Nacional, San Paolo 2001. (20) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Nobreza e elites tradicionais análogas nas alocuções de Pio XII ao Patriciado e à Nobreza romana, appendice No Brasil Colónia, no Brasil Império e no Brasil República: génese, desenvolvimento e ocaso da "Nobreza da terra", Livraria Civilização-Editora, Oporto 1993, pp. 159-201, trad. it. La formazione delle "élite" in Brasile nell’epoca coloniale, in Cristianità, anno XXII, n. 227-228, marzo-aprile 1994, pp. 13-20; Le "élite" brasiliane nei cicli socio-economici del legno brasile, della canna da zucchero e dell’oro e delle pietre preziose, ibid., n. 229, maggio 1994, pp. 15-21; e Le "élite" brasiliane nel ciclo socio-economico del caffè, ibid., n. 230-231, giugno-luglio 1994, pp. 15-21. (21) Cfr. Pierre Letamendia, La démocratie chrétienne, 2a ed. riveduta, Presses Universitaires de France, Parigi 1977, pp. 113-114; ed Enrique Dussel, Storia della Chiesa in America Latina (1492-1992), ed. rinnovata e aggiornata, trad. it., Queriniana, Brescia 1992, pp. 395-396; cfr. pure don Ch. Antoine, O Integrismo Brasileiro, cit., pp. 20-41; Antonio Augusto Borelli Machado e Abel de Oliveira Campos Filho (a cura di), Meio século de epopéia anticomunista, Editora Vera Cruz, San Paolo 1980; Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade, Um Homem, uma Obra, una Gesta. Homenagem das TFPs a Plinio Corrêa de Oliveira, Edições Brasil de Amanhã, San Paolo s. d. ma 1989; Marcelo Lúcio Ottoni de Castro, Política e imaginação: um estudo sobre a Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade (TFP), tesi di laurea magistrale, Universidade de Brasília, Brasilia 1991; e Rodrigo Patto Sá Motta, Em Guarda contra o "Perigo Vermelho". O anticomunismo no Brasil (1917-1964), Editora Perspectiva, San Paolo 2002, soprattutto pp. 149-154. (22) Cfr. Giuseppe Mantica, La società francese, lo Stato e la Fronda. Interpretazioni e problemi, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1983. (23) Cfr. un quadro del fenomeno nell’Europa Continentale — benché limitato cronologicamente —, in Jacques Godechot (1907-1994), La controrivoluzione. Dottrina e azione. (1789-1804), 1961, trad. it., Mursia, Milano 1988. (24) Cfr. Rafael Gambra Ciudad, La Monarquía social y representativa en el pensamiento tradicional, Rialp, Madrid 1954, pp. 21-32; cfr. una proposta di periodizzazione dello stesso processo e "movimento", nel mio Plinio Corrêa de Oliveira al servizio di un capitolo della dottrina sociale della Chiesa: il commento del Magistero alla "parabola dei talenti", relazione a convegno, del 30-10-1993, n. 7, in Cristianità, anno XXII, n. 235, novembre 1994, pp. 17-24 (pp. 20-21). (25) R. Gambra Ciudad, op. cit., p. 21. (26) Cfr. Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia e sulle relative deliberazioni di alcune società di Londra in una lettera indirizzata a un gentiluomo di Parigi dell’Onorevole Edmund Burke. 1790, trad. it., a cura di Marco Respinti, Ideazione, Roma 1998. (27) Cfr. Joseph de Maistre, Considerazioni sulla Francia, trad. it., a cura di Massimo Boffa, Editori Riuniti, Roma 1985. (28) R. Gambra Ciudad, op. cit., p. 23. (29) Ibid., pp. 25-26. (30) Ibid., pp. 27-28. (31) Cfr. Ferdinand Tournier S.J. (1854-1926), Les "Deux cités" dans la littérature chrétienne, in Études. Revue fondée en 1856 par des Pères de la Compagnie de Jésus, anno 47°, tomo 123, Parigi 5-6-1910, pp. 644-665. (32) Cfr. Didachè, I, 1, trad. it., in I Padri apostolici, traduzione, introduzione e note a cura di Antonio Quaquarelli, Città Nuova, Roma 2001, pp. 23-39 (p. 29). (33) Cfr. Il Pastore d’Erma, XXXV, 1-5, trad. it., ibid., pp. 235-346 (p. 275). (34) Cfr. Tomáš Špidlík S.J., Ignazio di Loyola e la spiritualità orientale. Guida alla lettura degli "Esercizi", Studium, Roma 1994; da integrare con san Giovanni Climaco (sec. VII), La scala del Paradiso, introduzione, traduzione e note a cura di Calogero Riggi, 2a ed., Città Nuova, Roma 1996, Discorso I, 5, pp. 48-50, trascritto con il titolo redazionale La chiamata alla milizia del Re dei re, in Cristianità, anno XXV, n. 270, ottobre 1997, p. 25. (35) F. Tournier S.J., art. cit., pp. 664-665; trad. it. della citazione latina, in Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, n. 146, in Idem, Gli scritti, a cura di Mario Gioia S.J., Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1977, pp. 63-184 (p. 129). (36) Cfr. il mio La Contro-Rivoluzione e le libertà, relazione a convegno, del 10-10-1987, n. 8, in Cristianità, anno XIX, n. 199, novembre 1991, pp. 6-12 (pp. 10-11). (37) Cfr. card. Charles Journet (1891-1974), Teologia della Chiesa, cap. VII, § IV, La città di Dio e il mondo, trad. it., Marietti, Torino 1965, pp. 293-307, soprattutto pp. 304-307; più ampiamente, cfr. Idem, L’Église du Verbe Incarné, vol. III, Essai de théologie de l’histoire du salut, Desclée de Brouwer, Bruges 1969, cap. I, § III, Les trois cités: celle de Dieu, celle de l’homme, celle du diable, pp. 63-93; cfr. pure Roger-Thomas Calmel O.P. (1914-1975), Per una teologia della storia, cap. 1, Le tre città impegnate nella storia, trad. it., Borla, Leumann (Torino) 1967, pp. 17-39. (38) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo "Gaudium et spes", del 7-12-1965, n. 13. (39) Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale "Reconciliatio et paenitentia" circa la riconcilizione e la penitenza nella missione della Chiesa oggi, del 2-12-1984, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VIII, 2, pp. 1431-1499; a commento dei passi relativi, cfr. il mio La Contro-Rivoluzione e le libertà, cit. (40) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, parte terza, sezione prima, capitolo secondo, articolo 1, II, La conversione e la società, nn. 1886-1889. (41) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., pp. 21-129 e 175-178. (42) Cfr. ibid., pp. 131-160. (43) Cfr. ibid., pp. 161-173 e 179-184. (44) Giuseppe De Gennaro S.J., Introduzione a Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, in Idem, Gli scritti, cit., pp. 65-89 (p. 65). (45) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., pp. 77-78. (46) Cfr. Idem, Note sul concetto di Cristianità. Carattere spirituale e sacrale della società temporale e sua "ministerialità", ed. it. a mia cura, Thule, Palermo 1998. (47) Cfr. Idem, Considerações sobre a cultura católica, conferenza, del 13-11-1954, in Catolicismo, anno V, n. 51, Campos (Rio de Janeiro) marzo 1955, pp. 1-2; trad. it. in Cristianità, anno XXXI, n. 315, gennaio-febbraio 2003, pp. 23-25. (48) Cfr. la nozione di "inclinatio", in Dario Composta S.D.B. (1917-2002), Natura e ragione. Studio sulle inclinazioni naturali in rapporto al diritto naturale, PAS-Verlag, Zurigo 1971, passim. (49) H. Rahner S.J., Come sono nati gli Esercizi. Il cammino spirituale di sant’Ignazio di Loyola, cit., pp. 85-111 (p. 85). (50) Cfr. A. A. Borelli Machado e A. de Oliveira Campos Filho (a cura di), op. cit., p. 2. (51) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., parte I, capitolo IV, pp. 79-80; capitolo V, 1-3, pp. 81-82, e passim; mi piace segnalare un uso analogo dei termini "spirito" e "umore", nella voce del teologo protestante statunitense Langdon Gilkey (1919-2004), Secolarizzazione, in Enciclopedia del Novecento, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, vol. VI, Roma 1982, pp. 415-430 (pp. 417-418); cfr. pure, dello storico francese Philippe Ariès (1914-1984), Storia delle mentalità, in Jacques Le Goff (a cura di), La nuova storia, 1978, trad. it., Mondadori, Milano 1990, pp. 141-166. (52) Cfr. Jão Scognamiglio Clá Diaz, Dona Lucilia, con Prefazione di Antonio Royo Marín O.P. (1913-2005), Artpress, San Paolo 1995, 3 voll., soprattutto vol. II, capitolo VII, Formação dos filhos num mundo em profunda crise, pp. 7-73; e R. de Mattei, op. cit., passim e, soprattutto, pp. 35-40. (53) Cfr. san Giovanni Bosco, Il sistema preventivo nella educazione della gioventù, 1887, in Idem, Scritti sul sistema preventivo nell’educazione della gioventù, con introduzione, presentazione e indici alfabetico e sistematico a cura di Pietro Braido S.D.B., La Scuola Editrice, Brescia 1965, pp. 291-299. (54) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, trad. it., Marzorati, Milano s.d. ma 1993; da integrare con Idem, Apologia delle disuguaglianze armoniche, intervento del 28-9-1993, trad. it., in Cristianità, anno XXII, n. 225-226, gennaio-febbraio 1994, pp. 13-21; e Idem, Pio XII: grandi mete ed enormi mezzi per la restaurazione dell’ordine sociale cristiano, intervento del 15-10-1993, trad. it., ibid., anno XXI, n. 222, ottobre 1993, pp. 15-18; sull’opera e sulla dottrina dell’autore in proposito, cfr. il mio Plinio Corrêa de Oliveira al servizio di un capitolo della dottrina sociale della Chiesa: il commento del Magistero alla "parabola dei talenti", cit. (55) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, cit., pp. 175-185. (56) Cfr. mons. Ángel Herrera Oria (a cura di), La parola di Cristo. Repertorio organico di testi per lo studio delle omelie domenicali , ed. it., a cura di Licinio Galati S.S.P., vol. III, Quaresima e Tempo di Passione, Edizioni Paoline, Alba (Cuneo) 1962, Quarta Domenica di Quaresima, Sezione VIII. Schemi di prediche, Serie IV: Di attualità sociale, 16. Aristocrazia, pp. 744-748. (57) Auto-retrato filosófico de Plinio Corrêa de Oliveira, cit., pp. 29-30. (58) Cfr. Pierre Nora (sotto la direzione di), Les lieux de mémoire, Gallimard, Parigi 1984; e Idem (sotto la direzione di), Les lieux de mémoire, 3 voll., Gallimard, Parigi 1997. (59) Auto-retrato filosófico de Plinio Corrêa de Oliveira, cit., p. 30. (60) Cfr. mons. Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, L’educazione: una sfida urgente, EDB, Bologna 2004, passim. (61) P. Corrêa de Oliveira, Note sul concetto di Cristianità. Carattere spirituale e sacrale della società temporale e sua "ministerialità", cit., V, pp. 27-28, con modifiche nella traduzione e nell’impaginazione; trad. it. della citazione latina — da leggere "et vera incessu patuit dea" — in Publio Virgilio Marone (70-19 a.C.), Eneide, libro I, v. 405, trad. it. con testo originale a fronte e con Invito a rileggere l’Eneide di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 2005, pp. 22-23. (62) Ibid., pp. 28-29, con modifiche nell’impaginazione. (63) Ibid., p. 29, con modifiche nella traduzione e nell’impaginazione. (64) Ibid., pp. 30-31, con modifiche nella traduzione e nell’impaginazione. (65) Sant’Aurelio Agostino, Esposizione sul salmo 86, in Idem, Enarrationes in Psalmos. Esposizioni sui Salmi, testo latino dell’Edizione Maurina ripresa sostanzialmente dal Corpus Christianorum, traduzione, revisione e note illustrative a cura di Tommaso Mariucci e Vincenzo Tarulli, vol. III, Città Nuova, Roma 1976, pp. 1-23 (p. 19). |