Aborto praticamente libero in Spagna
Legittimazione di un delito
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Cristianità,
agosto-settembre 1985 N. 124-125, pag. 3-5
Gravissima
violazione dell'ordine morale
Aborto
praticamente libero,
legittimazione
di un delito
La
lettera pastorale con cui S.E. Rev.ma mons. José Guerra Campos, vescovo
di Cuenca, ha denunciato con estrema lucidità e con grande vigore la
introduzione dell'aborto nell'ordinamento giuridico del regno di Spagna
nel luglio del 1985. La traduzione dallo spagnolo del documento —
comparso in Iglesia—Mundo, serie terza, n. 302, seconda quindicina del
luglio 1985, pp. 15-18 — è redazionale. Legge morale
Il
capo dello Stato e re di Spagna ha appena ratificato e promulgato una
legge - approvata dalle Cortes generali su proposta del governo - con la
quale viene permesso in Spagna l'aborto provocato in determinate ipotesi (Boletín
Oficial del Estado, 12 luglio 1985, giorno infausto nella storia della
Spagna).
In
questo modo, nonostante gli ammonimenti delle più elevate istanze morali,
si è consumata la legittimazione di alcune aggressioni «contro la vita
dell'essere umano più indifeso e più innocente» (Episcopato spagnolo):
«Delitto abominevole» (Concilio Vaticano II), «che mai, in nessun caso,
si può legittimare» (Papa Giovanni Paolo II).
Abbiamo
fatto una esposizione ragionata della legge morale e della dottrina della
Chiesa, nel quadro della situazione spagnola, nel Boletín del Obispado de
Cuenca, gennaio e febbraio-marzo del 1983. Non è il momento di ripetere
la dottrina, ma di segnalare la gravissima situazione che si è venuta a
creare e di interpellare gli aggressori con la forza che esigono la
giustizia e il sangue degli innocenti. Con la durezza implacabile con cui
Nostro Signore Gesù Cristo ha fustigato quanti si autogiustificavano
mentre traevano in inganno il popolo; quanti scandalizzavano i piccoli.
Il
Papa Giovanni Paolo II, parlando solennemente alla Spagna e riferendosi
precisamente alle autorità e a una legge del tipo di quella ora
promulgata, ha detto: «Chi rifiutasse la difesa alla persona umana più
innocente e più debole, alla persona umana già concepita, benché non
ancora nata, commetterebbe una gravissima violazione dell'ordine morale».
I pubblici poteri in Spagna, in contrasto con la loro missione prima,
rifiutano protezione alla vita dei più deboli. Ancora di più:
favoriscono con mezzi pubblici l'azione omicida.
Per questa ragione non si deve parlare soltanto di depenalizzazione. Ci
troviamo di fronte alla legalizzazione di un delitto.
Non
vale invocare il pluralismo dei pareri né rassegnarsi con una semplice
manifestazione di opinioni, come se il tutto fosse un'amabile
conversazione. Infatti, secondo l'insegnamento pontificio, «la vita di un
bambino è più importante di tutte le opinioni». È più importante di
tutte le costituzioni. È più importante, a fortiori, di tutte le
sottigliezze propagandistiche. È più importante di tutte le manovre
diplomatiche.
Dire
che questa legge è soltanto permissiva e non obbliga nessuno è un
inganno crudele: infatti è legge permissiva di una strage di innocenti, e
condanna alla mancanza di difesa le vittime della ingiusta aggressione.
Legittima un delitto.
Il
fatto che la legge sia ristretta ad alcune ipotesi non modifica la sua
qualificazione morale; infatti l'aborto volontario non si può permettere
in nessun caso. Ma, inoltre, il giudizio morale non si arresta ad
apparenze formalistiche. Ha in vista il male e il bene reali: ed è
notorio che nel contesto sociale in cui la legge si instaura, la sua
proiezione abortistica è molto più ampia del tenore della lettera. La
legge non funziona come espressione di benignità penale, ma come
incentivo e come giustificazione. La sentenza della Corte Costituzionale
ha messo a nudo la omissione di garanzie da parte dei legislatori.
Numerose dichiarazioni di uomini di governo - alcune molto recenti e
riferite alla sentenza menzionata - e quelle di pubblicisti e di persone
che si vantano impunemente di promuovere e di realizzare aborti,
dimostrano che quanti sono interessati ad approfittare della legge
lasciano da parte le ipotesi «ufficiali», che prendono appena in
considerazione, e accolgono la legge come un'apertura per conseguire la
impunità dell'aborto in molte altre ipotesi. La volontà di «protezione»
dei «nascituri», che la Costituzione esige, è oscurata. Si mette in
risalto, invece, la volontà di favorire le donne che abortiscono,
dilatando qualcuno dei motivi fino al punto da poterlo usare come pretesto
universale. Per maggiore derisione, la stessa legge autorizza la gravida
ad abortire senza nessuna delle garanzie stabilite dalla legge e pretese
dalla Corte Costituzionale (!). Si tratta di aborto praticamente libero.
In
ogni caso, l'abbondanza di feticidi, con l'aggravante della mostruosa
utilizzazione commerciale dei feti, fa si che nel mondo attuale il
problema morale dell'aborto sia qualitativamente e quantitativamente il più
grave, più del terrorismo: e questa legge non contribuisce a porvi
rimedio. L'opposizione alla legge non può cessare
L'opposizione
ad altre leggi cessa nel momento in cui sono promulgate; si rispettano,
anche se sono insoddisfacenti. Questa, no. Il peggio, l'intollerabile
comincia dopo la sua promulgazione. Finché la legge dura va denunciata,
respinta, si deve esigere la sua revoca.
Persone
e istituzioni, che continuano clamorose e interminabili battaglie in
difesa di interessi di minore importanza, si mostrano molto sollecite allo
scopo di ottenere il silenzio su questo argomento. E partecipano con
vergognosa complicità alla cospirazione del silenzio. Come se si
trattasse di un episodio ormai concluso, che sarebbe meglio dimenticare.
Ma questo silenzio nasconde una strage di innocenti. È molto comodo per
alcuni, mentre scorre il sangue e i bambini sono squartati, pretendere di
fare tacere le voci di protesta, destreggiandosi con cinica eleganza da
guanti bianchi con parole come «tolleranza», «convivenza pacifica», «moderazione»,
«regolamentazione di una realtà esistente» . Cosa significa tutto
questo, quando ciò che si fa consiste nell'autorizzare e nel favorire il
delitto, ai danni dei più deboli e dei più innocenti? Che senso ha un
così falso fiume di chiacchiere, se non come sintomo di una società in
decomposizione? Tali parole possono costituire la reazione di un organismo
sano? Si può ammettere la sincerità di questo linguaggio? Accettano che
altri lo utilizzino quando quelli che parlano così si sentono vittime
dell'aggressione? È immorale collaborare con l'applicazione della
legge
La
collaborazione agli aborti legalizzati è gravemente immorale. Lo è -
come ha ammonito il Papa in Spagna - fornire mezzi e servizi pubblici
oppure privati, per uccidere le vittime indifese. Lo Stato non ha
l'autorità di obbligare i medici e gli altri sanitari e neppure nessun
funzionario, a questa collaborazione, che in coscienza devono rifiutare.
Un ordine del pubblico potere in questo senso non solo sarebbe errato, ma
radicalmente nullo e perverso. Davanti a esso sarebbe necessario dire con
gli Apostoli: «È necessario ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini».
Il re dice: «Ordino a tutti gli spagnoli, privati e autorità, di
rispettare e di fare rispettare questa legge organica». Questo ordine,
anche secondo il tenore della legge, esige soltanto la ubbidienza dei
poteri giudiziari quanto a non imporre pene; tra altre ragioni, perché
restano privati di facoltà per farlo. Qualunque ordine che comportasse
collaborazione sarebbe ricusabile. Un vescovo spagnolo, membro degli
organismi direttivi della Conferenza, quando è stata annunciata la legge
ha scritto: «Non è lecito collaborare né alla elaborazione né alla
promulgazione né alla messa in pratica di una legge che va chiaramente
contro le norme prime della morale umana». Rovina morale della società
La
Costituzione spagnola, dicendo che «tutti hanno diritto alla vita», non
stabilisce distinzioni. Questo diritto deve essere protetto. È strano che
la Corte Costituzionale interpreti che i diritti di alcuni vanno protetti
e quelli di altri no. E che, mentre la Costituzione esclude, in tempo di
pace, la pena di morte per gli assassini e per altri delinquenti, il
tribunale autorizzi la morte degli innocenti in determinati casi. Ma il
problema non è di interpretazione. Il grande problema sta nel fatto che,
se la Costituzione nella sua concreta applicazione giuridica permette di
uccidere qualcuno, riesce evidente che non soltanto i governanti, ma la
stessa legge fondamentale lascia senza protezione i più deboli e i più
innocenti. (E a proposito: hanno qualcosa da dirci i governanti, più o
meno spalleggiati da esponenti del clero, che, quando è stato il momento,
hanno ingannato il popolo, sollecitando il suo voto con la sicurezza che
la Costituzione non permetteva l'aborto? Qualunque cosa dicano, questo
fatto impedirà la strage che si è legalizzata?).
Finché
dura questa situazione, uno squarcio temibile minaccia le fondamenta della
società. Il Papa, in Spagna, ha ammonito che, legittimando la morte di un
innocente, «si mina il fondamento stesso della società».
Si
mina il fondamento. Pertanto è patente l'errore di quanti trattano la
materia come un punto isolato. Respingere in modo assoluto l'aborto
obbliga a rivedere la predicazione morale sulla struttura della società.
Si tratta di un obbligo che incombe anche alla Corona. È contraddittorio
dare come buono un sistema che porti legittimamente a effetti
inammissibili. Non è possibile in coscienza insediarsi tranquillamente in
esso, senza fare il necessario per orientarlo e per scindere la propria
responsabilità da quelle che non si possono condividere. Ma non è questo
il momento per sviluppare una questione di così grande portata.
I
responsabili dovrebbero, almeno, aprire gli occhi e vedere che il loro
comportamento mina le loro stesse fondamenta. È suicida. Infatti essi
continueranno a cercare la propria difesa contro gli aggressori. E se
questo è giusto in sé, è equo quando lasciano indifesi i più bisognosi?
Quanti stanno patrocinando, a danno degli altri, la legge del più forte,
mantengono qualche credibilità quando fanno appello a valori morali? Non
hanno perso ogni autorità morale per reclamare rispetto per le proprie
vite e per protestare contro il terrorismo? I terroristi applicano ai loro
interessi, in determinate ipotesi, lo stesso criterio morale che i
legittimatori dell'aborto applicano agli interessi altrui.
In
questo stesso momento tutte le persone e le istituzioni responsabili sono
sprofondate nella indegnità, dalla quale non usciranno finché continui a
salire, benché sia soffocato, il grido delle vittime innocenti.
Bisogna
segnalare la responsabilità di quanti respingono come assolutamente
immorale l'aborto e la non protezione delle sue vittime, ma hanno
contribuito oppure contribuiscono ancora affinché i colpevoli di questo
delitto si sostengano con voti cattolici. Che cosa è stato fatto, in
determinati ambienti ecclesiastici, delle tanto strombazzate «denuncia
profetica», «voce di chi non ha voce», «coscienza critica della società»?
Dov'è Giovanni il Battista che dice ai potenti: non è lecito? I profeti
si sono improvvisamente trasformati in compiacenti cortigiani?
Non
si liberano da responsabilità quanti hanno «legittimato» la votazione
della legge sull'aborto, qualunque sia stato il senso del loro voto. Non
hanno mai rifiutato di partecipare alla votazione di una legge, per non
rendersi complici dell'approvazione «neppure per via passiva»?
Finché
sarà legale uccidere quanti vivono nelle viscere delle loro madri, tutta
la nazione resta macchiata: in alcuni, per commissione o per complicità;
in altri per omissione. Cade sotto interdetto la sua condizione di patria.
Rimane particolarmente ferita la Corona, tradizionale protettrice dei
deboli e del diritto naturale. Si deve assolutamente lamentare il fatto
che questa protezione si sia interrotta a danno dei più indifesi, tanto
se la istituzione vuole e non può come se può e non vuole. Questa ferita
si potrà chiudere, e non senza umiliazione, soltanto con la revoca della
legge e con il rifiuto dei comportamenti omicidi. E con la sanatoria
strutturale alla quale abbiamo fatto riferimento prima.
La
legge viene promulgata nel mese di luglio, quando si celebra la festività
dell'apostolo san Giacomo, in cui la nazione spagnola fa al suo patrono
una delle due offerte annuali, istituite più di tre secoli fa, una da
parte delle Cortes, un'altra da parte del re, soppresse nel 1931,
ristabilite nel 1937. Una nazione può fare offerte a un apostolo di
Cristo e, nello stesso tempo, immolare bambini sull'altare di Moloc?
L'apostolo san Paolo ci sbarra la via gridando: «Che accordo tra Cristo e
Belial?»; «Come mettete insieme il templo di Dio e gli idoli?», «Non
potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni» (2 Cor. 6,15-16
e I Cor. 10,21). I cattolici nei loro rapporti con la Chiesa
La
posizione di fronte alla Chiesa dei cattolici responsabili di aborto si
definisce su due piani.
A.
Il Codice di Diritto Canonico, al canone 1398, stabilisce per tutta la
Chiesa: «Chi procura l'aborto ottenendo l'effetto incorre nella scomunica
latae sententiae», cioè per il fatto stesso di commettere il delitto. La
scomunica comporta, tra gli altri effetti, la proibizione di ricevere i
sacramenti e di celebrarli e quella di partecipare come ministro a
qualsiasi atto di culto.
Poste
le condizioni di imputabilità, contraggono questa scomunica tutti coloro
che procurano, realizzano, collaborano a realizzare un aborto effettivo:
quanti inducono la madre, quanti gestiscono oppure preparano i mezzi per
realizzarlo, la madre che vuole oppure desidera realizzarlo, gli autori
materiali, i medici e gli aiutanti tecnici e gli altri collaboratori,
quelli che mettono a disposizione i mezzi di cliniche e altre istituzioni
sanitarie ed economiche. Si noti che se l'aborto non risulta effettivo,
non si incorre nella scomunica, benché l'intenzione inefficace abbia la
stessa malizia morale.
B.
I cattolici che favoriscono l'aborto in posti di autorità e di funzione
pubblica, nella misura in cui collaborano alla realizzazione di un aborto
concreto ed effettivo, incorrono evidentemente nella stessa scomunica. A
volte non si potrà determinare se l'azione delle autorità conclude in un
aborto concreto ed effettivo, o se si limita a favorire possibilità o
facilitazioni generiche. In questo caso la scomunica sarà dubbia; ma non
è dubbia la loro tremenda responsabilità morale, ordinariamente maggiore
di quella degli esecutori, e non è dubbio che meritano riprovazione
pubblica e pene spirituali, benché queste non si contraggano
automaticamente.
Certe
prese di posizione di ecclesiastici su questo punto disorientano
inopportunamente i fedeli, perché, anche se gli enunciati sono veri, nel
contesto suonano necessariamente come attenuazione di responsabilità o
come interpretazione benevola di comportamenti che, al contrario, devono
essere denunciati secondo la loro tremenda gravità. Tre esempi
mostreranno opportunamente come si devono evitare equivoci.
Primo
esempio. Se qualcuno dichiarasse: «Chi uccide il re, la regina o la
famiglia reale non incorre in scomunica», direbbe la verità; tuttavia
tutti penserebbero, a ragione, che questa dichiarazione sarebbe almeno
imprudente, ambigua e intollerabile.
Seconde
esempio. Il delitto di una madre che, con atti imputabili, assassinasse
tutti i membri della sua famiglia, o quelle di un medico che facesse la
stessa cosa con decine di malati di un ospedale, nessuno direbbe che è
minore di quelle di un aborto, anche se per questo incorrono in scomunica
e non per quella strage.
Terzo
esempio, che ci avvicina al modo di trattare praticamente il nostro caso.
Il Codice di Diritto Canonico non stabilisce una pena automatica per «i
fedeli che appartengano ad associazioni massoniche»; ma la Santa Sede ha
dichiarato espressamente che «sono in stato di peccato grave e non
possono accedere alla Santa Comunione».
L'autorità
della Chiesa può determinare in modi variabili ciò che si riferisce alle
pene canoniche. Nessuna autorità della Chiesa può modificare la
colpevolezza morale né la malizia dello scandalo. A volte si pretende
eludere le responsabilità più elevate come se l'intervento dei pubblici
poteri li riducesse a fare da testimoni, a registrare oppure a fungere da
notai della «volontà popolare». Vedranno. Dio non può essere ingannato.
È certo, per esempio, che il capo dello Stato, promulgando la legge agli
spagnoli, non dice: «Certifico». Dice espressamente: «Ordino a tutti
gli spagnoli di rispettare».
Coloro
che hanno instaurato la legge dell'aborto sono autori coscienti e
contumaci di quanto il Papa qualifica come «gravissime violazione
dell'ordine morale», con tutta la sua carica di nocività e di scandalo
sociale. Vedano i cattolici implicati se li tocca il canone 915, che
esclude dalla comunione quanti persistono in «peccato grave manifesto».
Possono sinceramente allegare qualche ragione che li esima e che li liberi
dalla colpa nella loro decisiva collaborazione al male? Esiste? Se
l'avessero, sarebbe eccezionalissima e, in ogni caso, transitoria. E
pensino che i rappresentanti della Chiesa non possono degradare il loro
ministero elevando a comunicazione in sacris il semplice rapporto sociale
oppure diplomatico.
La
regola generale è chiara. I cattolici che, avendo una carica pubblica,
con leggi o con atti di governo, promuovono oppure favoriscono – e, in
ogni caso, proteggono giuridicamente – chi commette il delitto
dell'aborto, non potranno sfuggire alla qualifica morale di pubblici
peccatori. Come tali dovranno essere trattati – particolarmente
nell'uso dei sacramenti –, finché non pongano riparo, secondo il loro
potere, al gravissimo danno e allo scandalo prodotti.
José, vescovo di 13 luglio 1985 |