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Plinio Corrêa de Oliveira
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Dall’opera “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione”, Edizione del cinquantenario (1959-2009), Presentazione e cura di Giovanni Cantoni, Sugarco Edizioni, pag. 345-349 |
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Prefazione alla seconda
edizione spagnola (*) Scrivendo
la prefazione di questa nuova edizione spagnola di Rivoluzione
e Contro-Rivoluzione, mi si è presentata spontaneamente allo
spirito la domanda relativa al rapporto fra la tematica dell’opera
e il passato storico della Spagna, soprattutto con i problemi che
preoccupano attualmente l’opinione pubblica della nazione. Questi
rapporti si sono presentati davanti a me così brucianti e così
numerosi da debordare rispetto ai normali limiti di una prefazione. Perciò
mi limito ad alcuni aspetti della storia spagnola del nostro secolo
e della sua vita attuale. Già
da molto tempo, ma soprattutto negli ultimi anni del regno di
Alfonso XIII [di Borbone
(1886-1941)],
l’opinione pubblica spagnola si presentava divisa in diverse
correnti, costituendo un’enorme gamma ideologica, dall’autentico tradizionalismo fino al comunismo. Allo
stesso modo, com’è accaduto spesso in altri paesi quando si
presentano situazioni analoghe, la maggioranza delle persone non si
situava in nessuno di questi due poli ideologici. Occupava la vasta
zona intermedia, disperdendosi in correnti o specificamente
centriste o di colorazioni sfumate verso la destra, sempre più
tradizionaliste, o verso la sinistra, sempre più prossime al
comunismo. Fino a toccare tangenzialmente le correnti estreme. In
tali situazioni, la maggior parte delle volte, la definizione di
pensieri e di orientamenti, il dinamismo, l’iniziativa, insomma,
si trovano nei poli minoritari. Ma la forza propagandistica, il
potere finanziario, l’influenza sociale e il potere politico —
soprattutto la forza del numero — si trovano nella zona intermedia. La
grande difficoltà per la maggioranza intermedia consisteva, nella
Spagna di allora, nel determinare se la sua posizione era stabile o
rappresentava solo una tappa di un lungo percorso storico. Le voci
provenienti dalle diverse correnti che componevano il polo della
destra gli gridavano di retrocedere sulla via intrapresa a partire
dall’invasione francese nel secolo XIX perché, se non l’avesse
fatto, avrebbe finito per precipitare irrimediabilmente nel polo
dell’estrema sinistra. In quest’ultimo, gli appelli diretti al
centro erano discordanti: ora erano minacce di distruggerlo nel caso
non proseguisse rapidamente il suo cammino verso il comunismo, ora
erano richiami amabili a una semplice collaborazione con i rossi
contro la destra. Collaborazione che la maggior parte delle correnti
del centro sentiva, più o meno consapevolmente, che sarebbe stata
vantaggiosa per il comunismo. Forse
sarebbe falso dire che la massa centrista della popolazione
s’immergeva in riflessioni per scegliere fra questi richiami
divergenti. Cercava piuttosto di condurre la propria vita quotidiana
senza preoccupazioni, cedendo alla gradevole propensione a non
prendere in considerazione i fattori della propria debolezza e a
immaginarsi sempre posta tranquillamente in un comodo pacifismo a
metà strada fra gli opposti richiami, che combattevano fra loro con
la voglia di conquista. Ma
il problema che la posizione comoda — difficilmente separabile
dalle posizioni centriste — cercava di ignorare, balzava agli
occhi. A grandi linee la Spagna era come la descrivevano i
tradizionalisti o almeno i settori anticomunisti dell’opinione
pubblica. Fra burrasche e bonacce, il paese si venne gradatamente
trasformando. E ogni trasformazione lo allontanava di più dal polo
che abbandonava. In questo modo, qualcuno avrebbe trovato nella
nazione un punto di equilibrio e di stabilità nel quale potesse
riposarsi ampiamente durante il doloroso itinerario, prima di
giungere al polo opposto? Che cosa è stata fino ad allora la storia
di Spagna nel secolo XX? La difficile conquista di un equilibrio in
espansione o la tragica caduta verso l’abisso? Il
corso degli avvenimenti è venuto a provare che il centro si veniva
dividendo nella misura in cui i richiami divergenti dei due poli si
facevano udire e che la Spagna autentica, tradizionale e cattolica,
e l’Anti-Spagna atea, apatride e ugualitaria, avanzavano verso un
terribile confronto. Il
centro non costituiva una posizione definita e stabile, fra altre
due ugualmente definite. Era una posizione confusa, subcoscientemente
inquieta e titubante fra due posizioni fisse e determinate. Gli
avvenimenti storici di allora confermarono la tesi dell’instabilità
di tante situazioni intermedie e indefinite, che per il fatto stesso
della loro non definizione indicano essere solamente tappe nello
sviluppo processivo di tendenze psicologiche, convinzioni
ideologiche e strutture politico-economiche vacillanti verso
posizioni più definite. Si
verificò lo scontro fra le sinistre dominate dal comunismo e la
destra anticomunista nella gloriosa Cruzada del 1936 [1936-1939]. Per
molto tempo le correnti di centro non vollero vedere che questo
avvenimento si avvicinava e, perciò, non furono in grado di
evitarlo. Osservando
l’attuale situazione politica spagnola, e senza la pretesa di
pronunciarmi sui diversi aspetti così complessi, di cui si riveste,
mi sembra di vedere che a poco a poco, ancora una volta, si va
presentando essenzialmente lo stesso problema, con gl’inevitabili
cambiamenti di sfumature imposti dal passare del tempo. Nella
misura in cui l’orizzonte politico spagnolo si definisce, si
fondano anche nel settore di centro le posizioni ideologiche e
politiche sempre più cariche di comunismo o di ostilità contro di
esso. E, di conseguenza, la grande domanda che va emergendo dal
panorama politico spagnolo mi sembra sia questa: fino a che punto
queste posizioni intermedie sono solamente situazioni transitorie di
un itinerario verso la sinistra o verso una posizione chiaramente
contraria alla sinistra? O, fino a che punto rappresentano un
rifiuto fermo, stabile e indiscutibile di questi due poli, e una
stabilizzazione intesa a conservare a qualsiasi costo le situazioni
intermedie, che si autoproclamano moderate, capaci di unire e di
salvare? Quanto
allo stesso eurocomunismo — con i suoi atteggiamenti moderati e
perfino più o meno «centristi» —, rappresentato in Spagna dalla
corrente diretta da Carrillo [Santiago
Carrillo Solares], la domanda è valida e forse più valida
per esso che per qualsiasi altra formazione politica spagnola
contemporanea. Indubbiamente
l’eurocomunismo vuol essere, e di questo fa mostra, un comunismo
addolcito. È possibile un comunismo addolcito? O l’eurocomunismo,
in apparenza un’«apostasia» del comunismo sovietico «ortodosso»,
avrà come esito storico la capacità di attrarre, grazie alla
propria «moderazione», masse che verranno a loro volta assorbite
dal comunismo ortodosso? Che cosa è l’eurocomunismo in Spagna o
fuori di essa? Uno scisma? Un punto d’arrivo? Una rete lanciata
per catturare pesci incauti o una tappa senza significato, cioè una
semplice ansa senza importanza del grande fiume comunista? In
questa prospettiva, che cos’è lo stesso comunismo ortodosso? Un
punto d’arrivo? O una semplice tappa di quella che esso stesso
immagina essere l’interminabile evoluzione umana, dalla quale si
passerà all’anarchismo e da questo a un’altra situazione di
transizione attualmente quasi impossibile da prevedere? È
ben noto che la dottrina marxista, coerente con il suo intrinseco
evoluzionismo, odia i punti d’arrivo e intende essere
precorritrice dell’anarchismo e di tutto quanto possa far seguito
a esso. Ma,
se la dottrina è questa, la realtà può essere molto diversa. E
non è impossibile che certi leader
comunisti siano propensi a prolungare per un lungo e oscuro «millennio»
la struttura sulla quale fondano il loro attuale dominio. Un tale «millennio»
è forse l’unico senso che si può attribuire nella storia
evoluzionista all’espressione «punto fisso e ultimo» del
continuo processo ideologico. Questi
temi hanno aspetti universali, sui quali a tutti è lecito
riflettere. Ma si rivestono in ogni paese di aspetti nazionali, sui
quali lo straniero deve essere molto circospetto. Non
intendo esprimere opinioni su questi problemi negli aspetti
specifici alla Spagna attuale e sui quali un non spagnolo — benché
così vicino alla Spagna grazie ai legami del Brasile con il popolo
vicino e fratello della Spagna, il Portogallo — deve esimersi
dall’emettere una presa di posizione. La
lettura dell’opera Rivoluzione e Contro-Rivoluzione
comporta solamente il ricordo che problemi analoghi hanno sfidato
l’intelligenza di tutti quanti sono vissuti nell’ambito della
civiltà occidentale e sono stati chiamati a essere partecipi di
grandi crisi come il Rinascimento e l’Umanesimo, il
protestantesimo nel secolo XVI, la Rivoluzione Francese nel secolo
XVIII e la rivoluzione comunista nel secolo XX. E, se non a essere
partecipi, almeno a farsi un giudizio su queste crisi. L’Umanesimo
cristiano intese offrire una posizione stabile, che non scivolasse
verso il neopaganesimo. Il protestantesimo intese offrire una
posizione religiosa stabile, che non scivolasse verso l’ateismo.
La Rivoluzione Francese intese realizzare l’ugualitarismo politico
e sociale stabile, che non giungesse all’ugualitarismo economico.
Infine, il comunismo non attira l’attenzione delle masse
attraverso lo Stato totalmente ugualitario, signore di tutta
l’economia. Nella sua condotta, niente lascia supporre che abbia
l’obiettivo, a medio o a ultimo termine, di distruggere lo Stato e
d’impiantare e d’instaurare l’anarchia. Ma sul fianco sinistro
del comunismo fanno già la loro comparsa forme di sinistrismo che,
nate da esso e nutrite con il suo latte, lo attaccano con
straordinaria violenza e avanzano verso l’anarchismo. Questo si è
reso particolarmente chiaro nel quadro politico italiano. Per
certo, molti che hanno aderito a queste rivoluzioni non
l’avrebbero fatto se avessero constatato che preparavano
l’arrivo della tappa seguente. Per evitare che si ripetano
attualmente equivoci analoghi la lettura di Rivoluzione e
Contro-Rivoluzione può essere utile. Mostrare che queste
rivoluzioni sono in relazione fra esse come tappe di un grande
processo, che forma nel suo insieme una grande Rivoluzione unica, è
la verità presentata dal mio studio e che esso intende approfondire. In
che senso questa constatazione possa essere utilizzata dagli
spagnoli attuali, in relazione ai complicati problemi della loro
Patria, dell’Occidente e del Mondo, è ciò su cui mi astengo dal
pronunciarmi. La
presentazione delle tre grandi Rivoluzioni, seguite dalla Quarta
Rivoluzione — sul piano politico l’eresia anarchista nata
dal fianco del comunismo e della quale ho appena parlato, ma anche,
su altri piani, i movimenti nati dalla contestazione giovanile alla
Sorbona nel 1968 e la cui punta di lancia è forse, oggi, il
movimento punk anglo-americano — potrebbe indurre in un
errore. Sarebbe quello della irreversibilità del movimento
rivoluzionario. Per evitare questo errore, il mio studio contiene la
definizione di quanto intendo con Contro-Rivoluzione, quali ne sono
le mete e — sempre su di un piano teorico — quali ne sono i
metodi. Anche
a questo proposito mi astengo da applicazioni concrete al panorama
spagnolo, lasciando che i miei lettori le facciano secondo le
ispirazioni della loro fede e del loro patriottismo. Mi resta solo da esprimere la speranza che la lettura di quest’opera possa contribuire, anche molto indirettamente, a che i lettori operino in un senso benefico per la Spagna e, pertanto, per la civiltà cristiana, della quale il popolo spagnolo continua a essere, nel nostro secolo, un mirabile baluardo. 21-3-78
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