Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

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«Lettera circolare agli

Amici della Croce»,

di S. Luigi Grignion di Montfort

 

- II -

 

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Nel 1714, S. Luigi Maria Grignion di Montfort scrisse la «Lettera circolare agli Amici della Croce», indirizzata ai membri di un’associazione laicale di Nantes di cui era ispiratore.

Plinio Corrêa de Oliveira commentò quest’opera in una serie di sedici riunioni per soci e cooperatori della TFP brasiliana, nel 1967. Siamo lieti di trascrivere alcuni brani delle prime tre conferenze. Il testo è tratto dalla registrazione magnetofonica, senza revisione dell’autore, e conserva quindi la struttura del linguaggio parlato. I sottotitoli sono redazionali (1). 

La «Lettera circolare agli Amici della Croce» cattura la mia attenzione sin dal suo incipit: un titolo tanto glorioso per un’opera così breve che l’autore ha voluto darle la forma di una lettera.

È chiaro che S. Luigi Grignion aveva in vista una determinata categoria di persone. Non conosco la storia dell’opera, ma a giudicare dal titolo mi sembra evidente che è un documento destinato a infervorare un certo gruppo di persone, che egli conosceva, e che erano già particolarmente amiche della Croce, in un’epoca, come quella nostra, poco amica della Croce.

È, pertanto, una lettera di infervoramento, indirizzata a un determinato tipo di anime che già amano la Croce. Non si tratta di un documento scritto per persone che sono nemiche della Croce di Cristo. È un dettaglio che può sembrare banale, ma che ha la sua portata.

Poiché uno è il linguaggio quando si parla ai nemici. Un altro è quello che si utilizza per gli amici. Un ulteriore ancora, il linguaggio per i fratelli, già entusiasmati per l’ideale, e che si vuole infervorare ancor di più, spingendoli in avanti. Credo che questa lettera sia indirizzata alle ultime due categorie.

Si mescolano, infatti, due tipi di considerazioni: alcune per stimolare l’amore alla Croce, altre per fornire argomenti contro i nemici della Croce. Vi è una dicotomia che percorre tutta l’opera: ora S. Luigi scrive cose che possono interessare direttamente l’amico della Croce, ora egli scrive cose che possono servire all’amico della Croce per argomentare contro i nemici.

Detto questo, riprendiamo la lettura della «Lettera circolare agli Amici della Croce» di S. Luigi Maria Grignion di Montfort.

“Cari Amici della Croce,

“La divina Croce mi tiene nascosto, obbligandomi al silenzio. Non posso, quindi, né desidero rivolgervi la parola, per confidarvi i sentimenti del mio cuore sull’eccellenza e le pratiche sante della vostra unione nella Croce adorabile di Gesù Cristo”.

Leggendo ciò si rafforza in me l’idea che ci troviamo dinanzi a una fraternità o a un’associazione. Nel modo in cui S. Luigi parla dell’unione di questi amici nella Croce adorabile di Gesù Cristo, c’è qualcosa che non riesco a descrivere a parole, ma che dà l’impressione che si tratti di una circolare interna di un’associazione speciale della quale egli era, se non il fondatore, almeno il direttore, e che egli cerca di infervorare.

Come la Rivoluzione francese si formò nel “grembo” dell’Ancien Régime

“Oggi, ultimo giorno del mio ritiro, esco per così dire dall’incantevole soggiorno del mio spirito, per delineare su questa carta alcuni lievi tratti della Croce, affinché si imprimano nel vostro buon cuore”.

È una cosa fantastica! Si tratta di un prete su cui pesa un’interdizione [dei vescovi], e che fa un ritiro spirituale. Durante il ritiro, scrive questa lettera fiammeggiante di amore per Dio! L’interdizione dei vescovi mostra come la Rivoluzione francese si stesse già forgiando nel grembo dell’Ancien Régime. Una situazione nella quale accadeva che la stragrande maggioranza dei vescovi assumesse un atteggiamento persecutorio nei confronti di un santo, mentre allo stesso tempo favoriva il giansenismo, evidentemente stava covando le peggiori cose possibili.

È importante capire questa mostruosa situazione dell’episcopato francese di allora, non senza paragone con la situazione di molti vescovi di oggi [1967, ndr], dalla quale nasceranno cose incomparabilmente peggiori di quelle del 1789.

Questo ci permette anche di vedere come alcune delle peggiori manifestazioni della Rivoluzione siano state generate da abusi ecclesiastici.

Nucleo della grazia dell’amore alla Croce: obbedienza, servizio, olocausto

“Volesse Dio che il sangue delle mie vene, più dell’inchiostro della mia penna, li renda penetranti! Ma che sto dicendo, se il mio sangue è quello di un peccatore troppo colpevole! Lo Spirito del Dio vivente sia dunque la vita, la forza e il contenuto di questa mia lettera; la sua amabilità sia l’inchiostro del mio calamaio! La Croce divina sia la mia penna, e il vostro cuore il foglio sul quale andrò scrivendo!”

Questa non è pura letteratura. Ha un po’ il tono della letteratura del suo secolo, ma contiene un profondo pensiero teologico: affinché qualsiasi cosa sia buona, è necessaria la grazia di Dio.

La grazia è particolarmente necessaria in ciò che riguarda la Croce di Cristo. L’uomo è così avverso alla sofferenza, nemico per eccellenza della sofferenza, profondamente egoista, che senza una grazia particolarmente intensa, particolarmente possente, l’azione di una persona non è in grado di svegliare in un altra l’amore alla Croce di Nostro Signore Gesù Cristo.

Questo ci riporta a un tema che abbiamo discusso in altre riunioni: l’ammirazione (2). È l’ammirazione per la Croce che ci dà il coraggio di abbracciarla.

Con l’ammirazione, la grazia agisce in una tale profondità nell’uomo, che lo trasforma quasi senza che egli se ne accorga. Qualcosa comincia a produrre in lui una gioia, un amore latente per Dio e per la Madonna. Man mano, la grazia cambia la sua anima. È la metanoia, il cambio di mentalità di cui parlò S. Giovanni Battista.

L’amore alla Croce è la causa, la sostanza e il sintomo della metanoia. Stiamo, dunque, trattando di un punto assolutamente fondamentale per la vita spirituale. Quanto più la persona contempla con amore la Croce di Nostro Signore Gesù Cristo, tanto più diventa sempre più desiderosa di obbedienza, servizio e olocausto. Ora, l’obbedienza, il servizio e l’olocausto sono delle croci.

L’obbedienza è fare la volontà altrui e non la propria. Questo per l’uomo è una croce. Il servizio è servire gli interessi altrui, e non i propri. Anche questo è una croce. L’olocausto è l’auge della donazione di se stessi. Battersi per un altro, sacrificare per un altro tutto ciò che abbiamo, offrendo perfino la nostra vita, è l’auge del sacrificio.

Questi tre atteggiamenti dell’anima – obbedienza, servizio e olocausto – sono delle croci. In fondo, sono la sostanza di ogni croce che esiste sulla terra. L’amore alla Croce nasce dall’ammirazione per le cose di Dio, che è questa grazia così eccezionale di cui abbiamo parlato [nelle recenti riunioni]. L’amore alla Croce è una grazia fondamentale.

Concetto di “Amico della Croce”: la Croce come vessillo di guerra

“Eccellenza degli Amici della Croce.

“Amici della Croce! Vi siete uniti come soldati crocifissi per combattere il mondo!”

“Crocifissi”, cioè crociati. È interessante notare che S. Luigi Grignion usa la parola “Croce” come vessillo di guerra.

Nel definire gli “Amici della Croce”, S. Luigi Grignion li presenta subito come crociati. È una correlazione immediata: essere un amico della Croce vuol dire essere un crociato, vuol dire prendere la Croce come vessillo di battaglia, vuol dire prendere la Croce per andare in guerra contro i suoi nemici, interni ed esterni.

Voi ben vedete lo spirito che anima S. Luigi Grignion, già dalle prime righe della «Lettera». È caratteristico del suo spirito l’essere combattivo, egli ha qualcosa di infuocato e di aggressivo. Ci sono molti passaggi nelle sue opere dove egli sfoggia un aria nitidamente aggressiva contro l’avversario, non nel senso di attaccarlo in quanto persona, ma di combattere i suoi difetti. Questo è lo spirito di crociata che brilla già dalle prime righe della «Lettera Circolare agli Amici della Croce».

Vorrei sottolineare questo, affinché noi possiamo estirpare dalle nostre anime qualsiasi connotazione romantica nel parlare degli “amici della Croce”. Quando sentiamo discutere di un “amico della Croce”, a volte tendiamo a immaginare una povera vecchietta col piede gonfio che si trascina in chiesa per la Messa. Pensiamo: “Quella povera vecchietta sta portando una grande croce!” Lungi da me denigrare una tale situazione, che può essere anche santa. Ma da lì a dire che questo è l’essenza dell’amore alla Croce… L’amore alla Croce consiste essenzialmente nella combattività, è uno spirito di iniziativa.

“Vi siete uniti come soldati crocifissi per combattere il mondo, non con la fuga - come i religiosi e le religiose - per timore d’essere vinti, ma come valorosi e bravi lottatori che scendono sul campo di battaglia, senza cedere terreno e senza volgere le spalle al nemico. Coraggio! Combattete da prodi!”

Ecco! Vedete? È esattamente ciò che io dicevo. Lui, fondatore di una congregazione religiosa che ha riunito persone per fuggire dal mondo, conosce pure la varietà dei doni che esistono nella Chiesa. Egli capisce che alcune persone devono rimanere nel mondo per combattere. Perché rimanere nel mondo è sinonimo di combattimento. Non si può restare nel mondo senza combattere. Bisogna restare nel mondo e combattere. Ed è per questi combattenti che egli scrive.

Come sono questi combattenti? Sono “valorosi e bravi”, che combattono “senza cedere terreno e senza volgere le spalle al nemico”. Tutto qui? No. Egli termina con un proclama: “Coraggio! Combattete da prodi!” Cioè, non basta essere saldi, è necessario prendere l’iniziativa!

In questo brano c’è qualcosa del timbro di voce di San Luigi di Montfort, che è insostituibile! Ed è per questo che ho voluto leggere il suo stesso testo, per poi fare alcune osservazioni in seguito. Così come, guardando la fotografia di una persona si possono scorgere aspetti della sua psicologia, in questo brano si vede tutta la psicologia di San Luigi di Montfort: bruciando di amore e di entusiasmo, non avendo un solo minuto che non sia di amore superlativo, profondamente cosciente di ciò, allo stesso tempo volge lo sguardo all’ideale che lo entusiasma e all’azione guerriera.

Egli procedeva, in modo del tutto naturale, dal fuoco della contemplazione al fuoco dell’azione. Era un apostolo di fuoco, che trascinava dietro di sé molte persone, che egli poi lanciava nel fuoco del combattimento. Per lui, questa triplice azione ignea era una sola. Egli era un focolare ardente. Ecco ciò che si sente in queste parole: esse comunicano calore. Sono le parole che userebbe un generale per dare l’ordine di marcia a una colonna militare, per iniziare un’azione bellica.

Saggezza senza contaminazione mondana

San Luigi di Montfort era una specie di angelo, perché ciò che diceva e faceva era più da angelo che da uomo. Mentre leggevo il suo libro, ho avuto l’impressione che egli fosse un essere elevato a una categoria più angelica che umana, più un angelo che un uomo, uno spirito in cui la carne rappresentava un ruolo molto secondario. Un uomo con l’amore di un serafino, che bruciava costantemente. È lo spirito di S. Elia profeta, è lo spirito della Contro-Rivoluzione.

È uno spirito che ha qualcosa di una castità primaverile, un candore innocente, una saggezza incontaminata che non conteneva la minima concessione allo spirito della Rivoluzione. Era un puro spirito delle [schiere] della Madonna lavorando tra gli uomini, come appunto potrebbe fare un angelo.

S. Luigi di Montfort era ammirevole nella sua purezza, che egli inglobava nella virtù della saggezza. Quel continuo fiammeggiare è la saggezza angelica. La saggezza è sempre al suo apice e non scende mai sui pendii della montagna, fiammeggia sempre nel punto più alto. Questo era S. Luigi Maria Grignion di Montfort.

Ecco l’impressione, intensissima, che egli mi dà e che forse io non riesco a trasmettervi per intero. In ogni caso, questo è un tentativo da parte mia per farvi sentire il tono, quasi il calore personale, di San Luigi di Montfort.

Io vorrei poter trasmettervi questo, perché è essenziale per capire il nostro imparagonabile patrono e il motivo per il quale io ho messo la sua immagine in questo posto centrale nella Sede del Regno di Maria [sede centrale della TFP brasiliana, ndr].

Note:

(1) Traduzione a cura del sito dell'Associazione Tradizione, Famiglia, Proprietà.

(2) Plinio Corrêa de Oliveira utilizza, qui come in tanti altri luoghi, il termine portoghese “enlevo”, difficilmente traducibile in italiano. Vuol dire rapimento, entusiasmo, stupore, incanto, con una nota di dolcezza che attira la persona verso l’oggetto contemplato.


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