Tradizione, Famiglia, Proprietà, Roma, Anno 6, n. 3 – settembre 2000, pag. 10

 

Gli abitanti delle favelas tra mito e realtà

 

Plinio Corrêa de Oliveira (*)

 

 

Una delle più audaci mistificazioni della Rivoluzione consiste nel presentare il popolo come se fosse un mare magnum cupo, agitato, disordinato, sempre pronto ad esplodere. Il popolo sarebbe caratterizzato da un continuo ribollire di odi, invidia e crudeltà, pronti a traboccare e a travolgere tutta la struttura sociale. "Popolo" sarebbe sinonimo di Rivoluzione e, quindi, antonimo di gerarchia e di tradizione.

Questo che la Rivoluzione insinua, e talvolta anche proclama, sul popolo in generale, si compiace di affermarlo con particolare enfasi per quel che riguarda le favelas brasiliane. Le favelas sarebbero termitai di belve umane pronte a piombare sulla città, per distruggerla e piantare sulle sue macerie lo stendardo della miseria trionfante.

La Rivoluzione non sa fare altro che mentire. E quando pure dice qualcosa di vero, vi insinua un certo grado di faziosità ed esagerazione. Tutto per servire con efficienza all'espansione delle tenebre, al progresso dell'errore e del male.

Rivolgiamo il nostro sguardo alla città di Rio de Janeiro. Secondo quanto la Rivoluzione ringhia dalle nostre parti e proclama sfacciatamente all'estero, le masse urbane di Guanabara sognerebbero soltanto il socialismo. Esse bramerebbero - mosse da un'insopprimibile avversione - di distruggere a Rio tutte le strutture, tutti i simboli, tutte le note tipiche della nostra attuale società borghese e, a fortiori, del nostro passato aristocratico e monarchico, per sostituirli con la società proletaria. In altre parole, la nostra tradizione risulterebbe loro odiosa.

La verità, invece, è tutt'altra.

La nostra foto mostra un aspetto pittoresco del carnevale di Rio de Janeiro. Nel carnevale, i membri delle scuole di samba sfilano abbigliati da re e regine, oppure alla moda dei nobili delle antiche e fastose corti, contenti di evocare il nostro passato.

Una conosciuta rivista carioca ha pubblicato un servizio sull'evento dal titolo quanto mai significativo: "Modesti operai e donne di servizio si trasformano, per una notte, in re, principi, conti, regine e marchesi".

È ovvio che in questi indumenti non si deve cercare una fedeltà rigorosa e accademica ai modelli effettivamente usati nell'epoca che si vuole evocare. La fervida immaginazione popolare, aperta al meraviglioso, presenta qui l'aristocrazia come la immagina. E lo charme caratteristico del negro anima l'insieme con un tocco aggraziato e incantevole. È la nostra tradizione monarchica che perdura negli strati più profondi dell'anima popolare.

Diceva con ragione Joãozinho Trinta, uno dei capi delle scuole di samba, "è agli intellettuali che piace la miseria, al popolo piace lo splendore"...

 

(*) Da un articolo di Plinio Corrêa de Oliveira, Catolicismo, No. 163, luglio 1967)