Plinio Corrêa de Oliveira

 

La civiltà cristiana del Medioevo, una Cristianità nella storia (*)  

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall’opera “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione”, Edizione del cinquantenario (1959-2009), Presentazione e cura di Giovanni Cantoni, Sugarco Edizioni, pag. 301-312

 

Prima di trattare delle tre rivoluzioni penso sia indispensbile l’esposizione di ciò che fu l’ordine cattolico medioevale, oggetto del rancore del processo rivoluzionario. Perché non vi è modo migliore di mostrare come la Rivoluzione è stata odiosa che svelare ciò che vi era di buono in quanto essa ha distrutto.

Quest’ordine cattolico si realizzava in una gerarchia in cui le diverse classi sociali — fra le quali vi era una transizione perfetta — erano l’esito dello stesso ordine naturale delle cose.

 

 

Le classi sociali

 

Nel Medioevo la società era composta di tre classi sociali: il clero, la nobiltà e il popolo.

 

Il clero

 

Il clero costituiva la prima classe della società medioevale.

Fondamentalmente il clero si divide in clero secolare e in clero regolare. Il clero secolare dipende direttamente dal vescovo e vive in parrocchie. Il clero regolare è costituito dai religiosi, che abitano in conventi e appartengono ai diversi ordini e congregazioni religiose.

La gerarchia ecclesiastica si compone, in senso stretto, solo di tre gradi: il Papa, i vescovi e i parroci. Costituiscono propriamente il potere di giurisdizione all’interno della Chiesa.

Però, con il proprio spirito profondamente attento alle sfumature, la Chiesa ha elaborato diversi altri gradi, che esprimono solamente un primato d’onore, una certa guida, ma non una giurisdizione. Tale è il caso di patriarchi e cardinali, arcivescovi, monsignori e canonici. In alcune situazioni possono essere i portavoce naturali di determinati gruppi, ma non vi è un ordine propriamente detto.

Tali sfumature onorifiche sono viste dal popolo come parte della gerarchia ecclesiastica.

I patriarchi sono generalmente arcivescovi di sedi molto antiche, che per qualche tempo erano state alla guida di determinate regioni o paesi, specialmente nelle Chiese Orientali. Nella Chiesa Latina questo si è verificato durante il Medioevo.

Primate è il titolare della sede più antica di un paese. In Brasile il primate è l’arcivescovo di Salvador, nello Stato di Bahia, che è stata la prima città del Brasile ad avere vescovi.

I canonici costituiscono una specie di senato del vescovo per il governo della diocesi.

Quanto al clero regolare, le organizzazioni dei diversi ordini religiosi variano, ma, in modo generale, ubbidiscono a princìpi comuni.

Vi è il generale dell’Ordine, che è l’autorità massima, dal momento che abbraccia tutti i paesi nei quali l’Ordine si è diffuso. Sotto di lui stanno i provinciali, con giurisdizione sulle case dell’Ordine in un paese, oppure in alcune regioni di un paese. Infine, i superiori delle diverse case dell’Ordine, individualmente considerate. Inoltre, in ogni casa religiosa esistono i sacerdoti e i semplici fratelli laici.

 

La nobiltà

 

La nobiltà costituiva la seconda classe della società medioevale.

La sua organizzazione era simile a quella del clero, non per essere stata copiata, ma perché corrisponde al modello ideale di una società gerarchizzata, com’era quella dell’epoca.

Al vertice stava il re, come capo dello Stato. Sotto di lui, in ordine decrescente, i diversi gradi gerarchici della nobiltà: duchi, marchesi, conti, visconti, baroni. Comunque, questi diversi gradi della nobiltà non erano esattamente gli stessi in tutti i paesi.

E vi erano anche titoli che non indicavano sempre la giurisdizione su di un determinato territorio, ma la posizione all’interno di una famiglia reale, come principi, granduchi, arciduchi, infanti e così via. Talora un granducato poteva costituire un territorio, come il Granducato di Toscana, in Italia, oppure il Granducato di Lussemburgo, ancora oggi esistente.

Al di sopra dei re, come titolare della carica più elevata della Cristanità, stava l’imperatore del Sacro Romano Impero Germanico.

 

Il popolo

 

La terza classe della società era il popolo.

Di esso facevano parte diverse categorie di persone. Alcune esercitavano il lavoro intellettuale, come professori, industriali e commercianti. Altre il lavoro puramente manuale.

Un professore universitario poteva essere un uomo della plebe, poiché la sua carica non era necessariamente ricoperta da un chierico o da un nobile. In qualche paese i professori universitari, dopo essere stati in carica per un certo tempo, potevano essere nobilitati.

Questa gerarchia, in continuità con la plebe, formava una scala perfetta, senza iati. Fra il barone e il popolo non vi era iato, ma soltanto una differenza di genere. Vi erano nobili inferiori al barone, che appartenevano alla cosiddetta nobiltà di villaggio, tanto piccoli da vivere mescolati al popolo ed erano già quasi popolo.

Era una transizione perfetta, come i colori di un arcobaleno, che si fondono gli uni negli altri. Così sono tutte le gerarchie che derivano dall’ordine naturale delle cose.

 

Simbologia appropriata: manifestazione della gerarchia

 

Quest’ordine sociale era arricchito da simboli espressivi, che gli davano maggior significato.

I nobili usavano una corona, simbolo della giurisdizione territoriale. Il semplice diadema, usato dai baroni, era già simbolo di autorità, con l’aggiunta di altri simboli nella misura in cui si elevava il grado nella gerarchia della nobiltà.

I simboli erano ornamenti incastonati nel diadema e indicavano il titolo del suo possessore. La corona del re era chiusa in alto per indicare il potere sovrano, ma con interstizi. Nella corona dell’imperatore non ve n’erano. I nobili inferiori al barone non avevano diritto alla corona.

Anche la gerarchia clericale era piena di simboli. La corona papale, la tiara, è una sovrapposizione di tre corone su di una copertura completamente chiusa. Allo stesso modo variavano, in colori e in ornamenti, i copricapo dei cardinali, degli arcivescovi, dei vescovi e dei sacerdoti.

Vi erano ancora altri simboli, come il pastorale dell’abate, curvato verso l’interno a rappresentare la sua autorità nell’abbazia. Diversamente dal vescovo, il cui pastorale era curvato verso l’esterno per indicare la sua autorità esterna. La curvatura sulla punta del pastorale era segno di sottomissione al Papa, che usava un pastorale senza nessuna curvatura, simbolo della sua autorità suprema.

 

Rapporti sociali: un’impronta di paternità e di bontà

 

Nel Medioevo i rapporti interpersonali e fra le diverse classi sociali erano molto organiche e naturali. Qualunque persona del popolo aveva una grande facilità di accesso ai nobili e allo stesso re. Questi era solito ricevere i plebei in udienza per ascoltare le richieste che gli facevano.

Così san Ferdinando III, re di Castiglia, quando era in viaggio e si fermava in una determinata città, si sedeva vicino a una finestra che dava sulla strada, per poter essere visto dal popolo ed essere alla portata di qualsiasi plebeo che desiderasse parlargli.

E san Luigi IX, re di Francia, aveva l’abitudine di sedersi sotto una grande quercia, a Vincennes, e ivi aspettare il popolo, ascoltando le sue richieste, le sue lamentele, giudicando casi giudiziari e pendenze fra plebei.

Fino a ben oltre il Medioevo, all’epoca di Luigi XIV e dei suoi successori, il popolo, in Francia, aveva libero accesso ai giardini del Palazzo di Versailles, dove poteva entrare in contatto personale con i nobili e anche con i sovrani.

Quando terminava la cerimonia d’incoronazione di un re di Francia, fuori dalla cattedrale di Reims, nel cui recinto si svolgeva la cerimonia, si raccoglievano molti scrofolosi, portatori di una ripugnante malattia della pelle. Infatti si diceva che il re di Francia aveva il carisma di curare le scrofole con il tocco. Quando usciva dalla cattedrale, si accostava a ogni scrofoloso e toccava la piaga dicendo: «Il re ti tocca, Dio ti guarisca»[1]. E molti venivano realmente guariti.

Tale era la monarchia cristiana, nella sua paternità, nella sua bontà. E il tratto, che il re manteneva con i plebei, si ripeteva fra i diversi livelli della scala sociale.

 

Da schiavi dell’Antichità a servi della gleba: transizione verso l’uomo libero

 

Un altro punto che serve a mostrare il tipo di rapporto vigente fra i diversi gradi della gerarchia sociale è il paragone fra gli schiavi dell’Antichità e i servi della gleba nell’epoca medioevale.

Nell’Antichità lo schiavo non aveva nessun diritto, neppure quello alla vita. Poteva essere ucciso dal suo padrone, che aveva diritto di vita e di morte su di lui. Non aveva diritto a costituire una famiglia. Se una schiava aveva un figlio, questi poteva essere venduto e mandato lontano dalla madre, come un animale.

Alla fine dell’Impero Romano, quando questo stava già diventando cristiano, venne riconosciuto agli schiavi il diritto al matrimonio. Questo processo faceva parte di quello che si chiamò umanizzazione del Diritto Romano, attribuito all’influenza cristiana. Tale diritto al matrimonio, però, non impediva che la coppia potesse venire separata, venduta e così via. Non era ancora il diritto al matrimonio dell’uomo libero.

Soltanto con l’instaurazione della Cristianità medioevale in Europa si conobbe, per la prima volta nella Storia, un continente intero senza la schiavitù.

Il servo della gleba era un servo che non aveva il diritto di lasciare il luogo dove lavorava. Era legato alla terra, non essendo, pertanto, un uomo libero in tutta la forza del termine.

Ma, benché non fosse totalmente libero, godeva di molti diritti. In relazione alla sua condizione specifica aveva il diritto di rimanere nella terra ove lavorava, non potendo esserne espulso dal signore. Esercitava anche una specie di diritto di proprietà sulla casa in cui abitava e su una parte delle terre che coltivava.

Il suo tempo era diviso fra il lavoro nelle terre del signore e nelle sue terre, dei cui frutti viveva. Qualche volta beneficiava anche di una percentuale di quanto produceva nelle terre del signore. Il suo contratto di lavoro era ereditario e intoccabile. Aveva diritto a costituire una famiglia e poteva venir punito fisicamente solo in caso di comprovato cattivo comportamento.

Se il signore vendeva le terre che possedeva, queste erano alienate insieme al servo, che non poteva esserne mandato via.

La servitù della gleba era uno stato intermedio fra la schiavitù e la libertà. Quando il Medioevo finì non vi erano quasi più servi della gleba in Europa. Nel Medioevo, sotto l’influenza della Chiesa, si costituì una classe di uomini liberi, una classe che era molto meno numerosa nell’Antichità, epoca storica in cui una parte considerevole della popolazione era costituita da schiavi.

L’espressione servo della gleba rimase in uso fino alla Rivoluzione Francese. Ma allora quelli che si denominavano servi erano i discendenti degli antichi servi della gleba, erano proprietari delle terre che coltivavano e pagavano ai nobili una piccola imposta per il fatto che, in altri tempi, tali terre erano appartenute alla nobiltà.

L’origine storica dei servi della gleba risale all’epoca delle invasioni barbariche, nei secoli IV e V, quando l’Impero Romano d’Occidente si disgregò. I proprietari di terre, che possedevano certi mezzi, cominciarono a costruire fortificazioni per proteggersi contro gl’invasori. Allora molti uomini, che non erano in condizioni di difendersi dagli attacchi dei barbari, chiedevano di rifugiarsi nelle fortificazioni di tali proprietari, che costituivano la forma primitiva di quello che fu più tardi il castello medioevale.

I proprietari generalmente imponevano come condizione ai rifugiati che questi coltivassero le terre in tempo di pace e li aiutassero nella lotta contro gl’invasori in tempo di guerra. S’istituì così un contratto del servo con il proprietario.

Nell’epoca in cui fu istituita, la servitù della gleba fu accettata come qualcosa di naturale, frutto delle circostanze. Infatti un signore, di fronte alle grandi orde che si spostavano, necessitava di essere certo che la sua proprietà avrebbe avuto un numero sufficiente di uomini per difenderla. Gli era vantaggioso stipulare un contratto vitalizio e anche ereditario. Allo stesso modo, era vantaggioso per i servi, i quali, spesso, non erano uomini liberi, ma vecchi schiavi romani. La loro situazione fu addolcita, grazie all’influenza della Chiesa, mediante la condizione di servi della gleba, prima che la schiavitù fosse completamente abolita.

 

Nella vita cittadina: la ricchezza delle corporazioni

 

Le corporazioni di mestieri erano istituzioni medioevali della vita urbana, che riunivano padroni e lavoratori manuali, plebei liberi con molti diritti.

Esse elaboravano la propria legislazione del lavoro e alcune esercitavano perfino una giurisdizione sulla zona urbana nella quale erano situate. E vi erano città in cui il governo municipale era retto dalle corporazioni, ossia da plebei.

 

Specificazione delle funzioni. Oneri e privilegi

 

Il clero e la nobiltà non pagavano tasse. La classe sociale che le pagava era il popolo. Questo, che a prima vista potrebbe sembrare un’ingiustizia, è facilmente spiegabile a fronte delle condizioni dell’epoca.

 

Clero: educazione e salute

 

A causa della propria condizione sacrale, il clero era considerato come la prima delle classi sociali, il fondamento della civiltà: «Voi siete il sale della terra [...] la luce del mondo» (Mt. 5, 13-14). Chiunque, nobile o plebeo, poteva far parte del clero e percorrere tutti i suoi gradi gerarchici. Molti Papi erano figli di lavoratori manuali, volando sopra re e imperatori della Cristianità.

Oltre alla propria missione specifica di salvare le anime, il clero aveva la responsabilità di due attività che attualmente spettano, in larga misura, allo Stato: l’educazione e la salute pubblica.

La supervisione e, spesso, lo svolgimento dell’insegnamento spettavano al clero. Per essere insegnante privato era necessaria una licenza ecclesiastica, perché il clero doveva curare l’ortodossia dell’insegnamento. E anche esercitare direttamente il compito d’insegnare.

Le spese per l’educazione erano sostenute dal clero, senza nessun aiuto da parte del re. Perciò era ragionevole che non pagasse tasse.

Tale responsabilità per l’educazione si dovette al fatto che, dopo le invasioni barbariche, i conventi erano gli unici luoghi dove si sapeva leggere e scrivere, depositari delle opere che si salvarono dalle biblioteche romane. L’insegnamento si diffuse a partire da questi conventi, avendo il clero seminato scuole e università attraverso l’Europa nel corso del Medioevo. Quando questo giunse alla fine, l’Europa era alfabetizzata, contrariamente a quando affermano i suoi detrattori. Diverse delle più celebri università di oggi furono fondate in quell’epoca.

Anche l’altra attività del clero, vigilare sulla salute pubblica, era completamente sotto la sua responsabilità finanziaria. Gli ospedali esistenti erano mantenuti dal clero o dagli ordini femminili da esso diretti.

Il clero fondò molti ospedali durante il Medioevo e iniziarono a essere praticati i princìpi igienici nel trattamento d’infermi e di feriti. La medicina moderna è nata in quegli ospedali.

Per compiere questa missione, il sacerdote rinunciava a tutto, compresa la propria salute. Spesso doveva vivere in locali che ospitavano malati portatori di malattie contagiose. L’isolamento di tali malati divenne una pratica comune nel Medioevo, grazie alle cure che il clero dispensava loro.

 

Nobiltà: combattere in guerra

 

Quanto all’esenzione dalle tasse per i nobili, è facile confutare gli argomenti frequentemente addotti dai rivoluzionari.

La nobiltà era la classe militare, obbligata a combattere in tempo di guerra.

I plebei non erano obbligati a combattere in tempo di guerra, se non lo esigeva il contratto con il signore, entro certi limiti di tempo e di spazio. Così, non combattevano durante il tempo dei raccolti, né dovevano spostarsi oltre una certa distanza dal luogo dove abitavano. Potevano anche arruolarsi come mercenari, guadagnando denaro con la guerra e arricchendosi con i saccheggi.

Il nobile era obbligato a combattere, dovendo pagare il tributo del sangue, molto penoso all’epoca a causa delle precarie condizioni esistenti per il trattamento adeguato dei traumi e delle mutilazioni ricevute in combattimento.

Inoltre, il signore feudale era obbligato a esercitare gratuitamente, nelle sue terre, le funzioni di prefetto, di giudice e di delegato di polizia. E poteva essere punito dal re se tali funzioni non fossero state ben eseguite.

Altro obbligo a suo carico era la caccia agli animali dannosi all’agricoltura, di cui l’Europa era piena, come cinghiali, orsi e volpi. Con il passare del tempo questa caccia divenne un’attività sportiva, ma era comunque un dovere. E l’Europa fu appunto liberata dalle fiere perché i nobili svolsero tale missione loro attribuita.

Pertanto è ragionevole che non pagasse tributi chi aveva a proprio carico tutte queste funzioni e doveva sostenere spese per la lotta armata, combattere i banditi e le fiere, curare la manutenzione di strade, ponti, prigioni, funzionari per l’esercizio della giustizia e dell’amministrazione, e così via.

D’altro canto vi erano due specie di tributi. L’uno ricadeva sulle persone e sulle terre, che chierici e nobili non pagavano. L’altro sulle merci, pagato da tutti.

 

Popolo o plebe: produzione economica

 

Le funzioni più lucrative non erano quelle del nobile, ma quelle del commerciante e dell’industriale. Frequentemente si trovavano commercianti la cui fortuna era tale, che prestavano denaro ai re. Senza di loro i sovrani non potevano far guerra. Erano più ricchi di moltíssimi nobili.

Il commerciante non andava in guerra, non veniva ferito o mutilato, conduceva una vita tranquilla. Da questa classe dedita alla produzione economica era richiesto un tributo.

Attualmente la prima classe sociale è quella dei più ricchi. In quel tempo era invece quella dei più virtuosi, cioè il clero, che si dedicava al servizio di Dio. Il plebeo più ricco doveva piegarsi davanti al chierico più povero, il che è molto lodevole, molto ragionevole. Se il clero e la nobiltà godevano di privilegi, questo derivava dalle loro funzioni più elevate e più sacrificate. Il che è naturale, organico, giusto.

 

Perfezionamento della funzione giudiziaria: l’autonomia giudiziaria

 

Durante il Medioevo, nella misura in cui le interrelazioni culturali, sociali ed economiche venivano aumentando e divenendo più complesse, la funzione di giudice divenne più difficile. I re e i nobili assunsero allora tecnici che li aiutassero a giudicare bene le cause.

A poco a poco le cause più semplici passarono a essere giudicate da tali professionisti, mentre i sovrani e i nobili si riservavano di giudicare solamente, come istanza suprema, le cause più fuori dal comune. Si costituì così, organicamente, una classe giudiziaria, specializzata nel giudicare, che beneficiava delle garanzie del vitalizio e della inamovibilità.

Fecero allora la loro comparsa tribunali indipendenti dal re, capaci di giudicare in processi nei quali il sovrano era una delle parti. Questo sistema era inedito al mondo e rappresentava una garanzia del debole contro il forte, del piccolo contro il potente. A questa classe, nella maggior parte dei paesi, fu concesso lo stato di nobiltà, grazie al rispetto in cui era tenuta.

All’inizio le cariche giudiziarie erano ereditarie, nel caso in cui il figlio del giudice desiderasse seguire la carriera del padre e facesse gli studi necessari allo scopo. Ma non era però obbligato a seguirla.

 

Regionalismo: straordinaria libertà provinciale e municipale

 

Una delle forme più preziose di libertà è quella di ogni regione di essere com’è.

Nel Medioevo ogni feudo era un tutto, con le sue leggi, i suoi costumi, i suoi ambienti, la sua arte e la sua cultura. La libertà provinciale e municipale conobbe in tale epoca una straordinaria possibilità di espansione.

Gli Stati moderni posseggono una sola Costituzione che regge tutto il paese. Fra i medioevali ogni parte del paese aveva proprie leggi. Questa libertà per ogni regione di essere organicamente ciò che doveva essere fu una conquista del Medioevo.

 

Attività legislativa: il popolo era il legislatore

 

La legge consuetudinaria

 

Il popolo legiferava mediante leggi consuetudinarie. Consuetudo è una parola latina che significa costume.

Gran parte delle leggi esistenti nel Medioevo era frutto di costumi ripetuti che si trasformavano in legislazione. Questa variava di feudo in feudo come, per esempio, il modo di quietanzare, di lasciare in eredità, come pure le leggi di compravendita di merci e così via; perché tutto nasceva dai costumi del popolo.

 

Diritto del lavoro

 

Le leggi su commercio, industria e lavoro nascevano dalle relazioni di lavoro. I re ordinavano soltanto che venissero messe per iscritto, rivedevano e correggevano quanto fosse ingiusto o contrario alla dottrina e alla legge della Chiesa.

Era una partecipazione effettiva al diritto di legiferare, di cui godeva il popolo nel Medioevo.

 

Vita politica urbana: elezioni municipali e amministrative

 

Nel Medioevo le città erano molto più piccole di oggi. Perciò tutto succedeva in un ambiente molto più organico e non nell’anonimato delle grandi città moderne.

Nelle corporazioni, che esercitavano tanta influenza nella vita delle città e dei paesi, le cariche erano temporanee ed elettive. Nei municipi si eleggeva un consiglio di amministratori e un prefetto. Gli uomini liberi del posto e i membri delle corporazioni partecipavano a queste elezioni.

Chi risiedeva in città era un uomo libero. Il servo della gleba abitava in campagna. La città era governata dai suoi stessi abitanti.

In alcune città i signori feudali mandavano rappresentanti per le elezioni municipali. Vi erano città in cui i signori feudali erano prefetti, ma in altre vendevano la carica ai plebei per mancanza di denaro. In altre ancora godevano del diritto di partecipare al Collegio degli Scabini, una sorta di giudici e di amministratori locali. In generale le città erano autonome, anche quando il signore feudale vi aveva ancora un residuo di potere.

 

Princìpio universitario: prezioso regolatore della vita politico-sociale

 

Il termine università, universitas, non significava solamente l’università nel senso odierno della parola, ma l’adattamento di una parola latina, universus.

I commercianti che facevano trasporto fluviale sulla Senna costituivano un tutto, che si governava da sé mediante elezioni interne. I professori delle facoltà costituivano un altro tutto, governandole pure attraverso elezioni interne.

Così ogni gruppo sociale costituiva un tutto. Una città era un tutto, governata da elezioni interne e da autorità uscite dal suo interno.

Questo governo locale, di affari interni, non si confondeva con il governo del regno. Esso era proprio delle stesse città, come il governo delle corporazioni apparteneva alle corporazioni e quello delle università ai professori universitari.

Tale princìpio si denominava universitario perché ogni gruppo costituiva una universitas. Una corporazione di mercanti avrebbe potuto chiamarsi universitas mercatorum.

Nel Medioevo, pertanto, vigeva un ordine giusto, nel quale tutti partecipavano al potere con funzioni diverse, in modo proporzionato, con specializzazioni di funzioni, con l’onere e i privilegi ben distribuiti, con autonomia dei giudici, regionalismo e ampie prerogative attribuite al popolo.

Questo era l’ordine cattolico medioevale.


[*] Plinio Corrêa de Oliveira, Idade Média: caluniada por ser realização da Cristiandade na História, in Catolicismo, anno XLVIII, n. 567, San Paolo 1998, pp. 21-28, conferenza tenuta a soci e a collaboratori della TFP brasiliana, a San Paolo, il 25-3-1965, senza revisione dell’Autore. Titolo del curatore (ndc).

[1]Le roi te touche, que Dieu te guérisse!»; cfr. Marc Léopold Benjamin Bloch (1886-1944), I re taumaturghi, trad. it., Einaudi, Torino 1989]


 

 

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