|
Plinio Corrêa de Oliveira
La Libertà della Chiesa nello Stato comunista
|
(Si veda, sulla dottrina comunista, la sostanziosa e chiaroveggente esposizione contenuta nella famosa "Lettera Pastorale sulla setta comunista, i suoi errori, la sua azione rivoluzionaria e i doveri dei cattolici nell'ora presente", scritta da S. Ecc.za Rev.ma Mons. Geraldo de Proença Sigaud, S. V. D., Arcivescovo di Diamantina, pubblicata in "Catolicismo", n.° 135, marzo 1962, e dalla Casa Editrice Vera Cruz, São Paulo, 2.a ed., 1963). Dal momento in cui nella Russia si è instaurata la dittatura comunista e più o meno fino all'invasione della URSS da parte delle truppe naziste, la condotta del governo sovietico in relazione alle varie religioni è stata diretta da questi principi. Durante tutta questa prima fase, la propaganda comunista ostentava agli occhi di tutto il mondo la sua intenzione di sterminare ogni religione e lasciava ben chiaro che, perfino quando ne tollerava qualcuna, lo faceva per più sicuramente arrivare a eliminarla. 2. Di fronte a questo procedimento del comunismo, anche la linea di condotta che doveva essere mantenuta dalla opinione cattolica, si mostrava semplice e chiara. Essendo perseguitata a oltranza a causa d'una profonda e compieta incompatibilità fra la sua dottrina e quella del comunismo, la Chiesa poteva soltanto reagire a oltranza con tutti i mezzi leciti. Le "relazioni" fra i governi comunisti e la Chiesa potevano soltanto consistere in una lotta totale, di vita o di morte. Consapevole di tutto ciò, l'opinione cattolica sorgeva in ogni nazione come un'immensa falange, disposta a tutto accettare, perfino il martirio, per evitare che il comunismo si impiantasse. E i cattolici, nei paesi comunisti, accettavano con animo forte di vivere in una clandestinità eroica, a somiglianza dei primi cristiani. 3. Da qualche tempi in qua, l'attitudine di certi governi comunisti, con rispetto alla religione, pare presentare nuovi toni. Infatti, mentre in alcune nazioni sotto dominio comunista — la Cina, per esempio — l'attitudine dei governi continua inesorabilmente la stessa, in altre (come la Iugoslavia, la Polonia e, più recentemente, la Russia) questa attitudine pare si stia modificando gradatamente. Così, secondo quanto annunziano i rispettivi organi di propaganda, in queste ultime nazioni l'intolleranza del governo in relazione ad alcune religioni è stata a poco a poco sostituita da una tolleranza a principio malevola, che dopo è diventata, se non benevola, per lo meno indifferente. E sempre più l'antico regime di coesistenza aggressiva tende ad essere sostituito da quello di coesistenza pacifica. In altre parole, i governi russo, polacco e iugoslavo conservano interamente la loro adesione al marxismo-leninismo, che continua ad essere per essi l'unica dottrina ufficialmente insegnata e accettata. Ma — in scala maggiore o minore conforme la nazione — passarono ad ammettere una più ampia libertà di culto ed a concedere alla religione o alle religioni di ponderabile importanza nei rispettivi territori un trattamento senza violenza e, sotto certi punti di vista, quasi corretto. Come si sa, nella Russia la religione che ha il maggior numero di adepti è la greco-scismatica, volgarmente chiamata ortodossa. Nella Polonia è la religione Cattolica (la maggior parte dei fedeli appartiene al rito latino). E nella Iugoslavia, ambedue sono numerose. Perciò in certe nazioni al di là della cortina di ferro, appare per la Chiesa Cattolica una leggera libertà che consiste nella facoltà maggiore o minore di distribuire i Sacramenti e predicare il Vangelo a popoli fino ad ora quasi interamente privati di assistenza religiosa. Diciamo "leggera" perché, nonostante tutto ciò, la Chiesa continua ad essere apertamente combattuta dalla propaganda ideologica ufficiale, e permanentemente spiata dalla polizia: perciò niente o quasi niente può fare oltre a realizzare le funzioni del culto e insegnare un poco di catechismo. Inoltre, nella Polonia è tollerato mantenere corsi per la formazione di Sacerdoti e qualche altra opera sociale.
Cambiato così in qualche punto il procedimento delle autorità comuniste, si aprono ora due vie alla Chiesa Cattolica, nelle sopraccitate nazioni:
III — Importanza del problema nell'ordine concreto Prima di entrare nel merito del problema, diciamo qualcosa sulla sua importanza concreta. È ovvia l'importanza di questo problema per le nazioni sotto regime comunista. Ci pare necessario dire qualcosa sulla sua portata nelle nazioni occidentali. E sopratutto su ciò che si riferisce ai piani di penetrazione dell'imperialismo ideologico in queste regioni. Il timore che, nel caso d'una vittoria mondiale dei comunisti, la Chiesa diventi in ogni parte sottomessa agli orrori già sofferti nel Messico, Spagna, Russia, Ungheria o Cina, costituisce la causa principale della deliberazione dei 500 milioni di cattolici dispersi per il mondo, Vescovi, Sacerdoti, Religiosi, Religiose e laici, di lottare fino alla morte contro il comunismo. Rispetto alle altre religioni, è ancor questa la principale causa dell'attitudine anticomunista delle centinaia di milioni di persone che professano altri credi. Questa eroica deliberazione rappresenta, nell'ordine dei fattori psicologici, il maggiore ostacolo — o perfino l'unico ponderabile — affinché il comunismo non si instauri e si mantenga in tutto il mondo. Qualunque sia il motivo tattico che possa determinare il riferito mutamento di attitudine da parte di alcuni governi comunisti in relazione ai vari culti, è certo che la tolleranza religiosa praticata attualmente, e che la loro propaganda annuncia in modo esagerato a tutto il mondo, sta portando un enorme beneficio: di fronte all'alternativa che essa suscita, le opinioni degli ambienti religiosi si stanno dividendo quanto all'orientazione che deve essere seguita; e con questo si sta rompendo la diga di opposizione massiccia e ad oltranza contro il comunismo, mantenuta allo stesso tempo dagli uomini che credono in Dio e Gli prestano culto. Infatti il problema della fissazione di un'attitudine dei cattolici e dei seguaci di altri credi dinanzi alla nuova politica religiosa di certi governi comunisti, sta dando luogo a perplessità, a divisioni e perfino a polemiche. Secondo il loro livello di fervore, il loro ottimismo o la loro diffidenza, molti cattolici continuano a trovare la lotta ad oltranza l'unica attitudine coerente e sensata di fronte al comunismo; ma altri pensano che sarebbe meglio accettare subito e senza maggiore resistenza una situazione come quella della Polonia, invece che lottare sino alla fine contro la penetrazione comunista e cadere nella situazione tanto più oppressa di quella dell'Ungheria. Inoltre, a questi ultimi pare che un'accettazione del regime comunista — o quasi comunista — da parte dei popoli ancora liberi potrebbe evitare la tragedia cosmica di una guerra nucleare. L'unica ragione che li indurrebbe ad accettare con rassegnazione il rischio di una tale ecatombe, sarebbe il dovere di lottare per evitare alla Chiesa una persecuzione mondiale con ampiezza senza precedenti e intuito radicalmente sterminatore. Ma, posto che questo pericolo forse non avvenga — poiché in certe nazioni comuniste si tollera che la Chiesa sopravviva, sebbene ridotta a una minima libertà — diminuisce molto la disposizione di affrontare il pericolo della guerra atomica. E tra questi cattolici guadagna terreno l'idea di stabilire in ogni parte, e in scala quasi mondiale, un "modus vivendi" tra la Chiesa e il comunismo — alla maniera polacca —, accettato come un male, ma un male minore. Fra queste due opinioni, comincia a formarsi una immensa maggioranza disordinata, titubante e proprio perciò meno preparata psicologicamente alla lotta di quanto non lo fosse sino a poco tempo fa. Se questo fenomeno di debilitazione nell'attitudine anticomunista si produce nelle persone interamente contrarie al marxismo, è tanto più naturale che sia più intenso in quei cattolici denominati di sinistra, sempre più numerosi, i quali senza professare il materialismo e l'ateismo, hanno simpatia per gli aspetti economici e sociali del comunismo! Insomma, in tutte o quasi tutte le nazioni ancora non soggette al dominio marxista, milioni di cattolici che fino ad ieri sarebbero morti di buon grado in eserciti regolari o in guerriglie per evitare l'impianto del comunismo nelle loro patrie, o per abbatterlo se per caso fosse riuscito a conquistare il potere, già oggi non sentono la stessa disposizione. Nell'ipotesi di una crisi di panico — per esempio un "suspense" nell'imminenza di una guerra nucleare universale — questo fenomeno potrà crescere ancora di più, conducendo eventualmente intere nazioni a capitolazioni catastrofiche di fronte alle potenze comuniste. Tutto ciò pone in rilievo la grande importanza di studiare al più presto, nei loro vari aspetti, le questioni morali inerenti al bivio nel quale la condotta di relativa tolleranza religiosa di qualche governo comunista mette oggi la coscienza di milioni e milioni di uomini. È lecito affermare che dalla soluzione di questo problema dipende in parte considerevole il futuro del mondo.
IV — Non vi è modo di schivare il problema L'utilità di questo studio sembrerà forse discutibile a qualche spirito frettoloso, che cercherà di evitare il difficile problema per mezzo di allegazioni preliminari che ci paiono interamente contestabili. Enumeriamo, a titolo d'esempio, alcuni di questi preliminari e le risposte che potrebbero essere date:
Come si può vedere, tutti questi preliminari, tendenti a schivare lo studio della questione in foco, non hanno consistenza. Il problema della liceità della coesistenza tra il regime comunista e la Chiesa deve essere considerato frontalmente, e può essere risolto in modo da soddisfare tutti gli animi cattolici, soltanto se analizzato nell'intimo dei suoi aspetti dottrinari.
A prima vista, considerato in se stesso, il problema della coesistenza tra la Chiesa e un regime comunista "tollerante" potrebbe essere enunciato così:
Alla questione presentata puramente e semplicemente in questi termini, la risposta è necessariamente affermativa: la Chiesa potrebbe e perfino dovrebbe accettare questa libertà. E, in questo senso, potrebbe e dovrebbe coesistere col comunismo. Poiché, sotto qualsiasi pretesto, Essa non può rifiutarsi di compiere la sua missione. Occorre avvertire, frattanto, che questa formulazione del problema è semplicista. Essa fa supporre implicitamente che il governo comunista non imporrebbe la minima restrizione alla libertà di dottrinazione della Chiesa. Però, nulla ci fa credere che un tale governo concederebbe alla Chiesa una piena libertà di dottrinamento. Perché questo implicherebbe nel permettere che Essa predicasse tutta la dottrina dei Papi sulla morale, sul diritto e più specialmente sulla famiglia e sulla proprietà privata: tutto ciò a sua volta finirebbe per fare di ogni cattolico un avversario innato del regime; così di tanto la Chiesa dilaterebbe la sua azione, di tanto starebbe uccidendo il regime. Ne consegue che se il regime tollerasse la libertà della Chiesa, starebbe praticando il suicidio, sopratutto nei paesi in cui la influenza di Quella sulla popolazione è molto grande. Così, non possiamo contentarci di risolvere il problema per mezzo della formula generica sopra menzionata. Dobbiamo vedere qual'è la soluzione da dare nel caso che un governo comunista esiga che la predicazione e l'insegnamento cattolici, per essere tollerati, si conformino con le condizioni seguenti:
Potrebbero, in coscienza, queste tre condizioni essere tacitamente o espressamente accettate come prezzo di un minimo di libertà legale per la Chiesa, in un regime comunista? In altre parole, potrebbe la Chiesa rinunziare alla sua libertà su qualcuno di questi punti, per conservarla in altri punti, a beneficio dei fedeli? Ecco il centro della questione.
1. Quanto alla prima condizione, ci sembra che la risposta debba essere negativa, in vista della forza persuasiva che possiede una metafisica e una morale concretizzate in un regime, in una cultura, in un ambiente. La missione docente della Chiesa non consiste soltanto nell'insegnare la verità, ma anche nel condannare Terrore. Nessun insegnamento della verità, in quanto insegnamento, è sufficiente se non include l'enunciazione e la confutazione delle obiezioni che si possono fare contro la verità. Pio XII ha detto: "La Chiesa, piena sempre di carità e di bontà verso le persone di quei traviati, fedele tuttavia alla parola del divino suo Fondatore, che ha dichiarato: "Chi non è con Me, è contro di Me" (Matt., 12, 30), non può mancare al dovere di denunziare l'errore, di togliere la maschera ai "fabbricatori di menzogne" (Giob. 13, 4)..." (Radiomessaggio Natalizio del 1947 — "Discorsi e Radiomessaggi", vol. IX, p. 393). Nello stesso senso si è espresso Pio XI: "Il primo dono d'amore del Sacerdote di fronte al suo ambiente e che si impone nel modo più evidente, è il dono di servire la verità, l'intera verità, e smascherare e confutare l'errore sotto qualsiasi forma, maschera o simulazione si presenti" (Enciclica "Mit Brennender Sorge", del 14 marzo 1937 — AAS, vol. XXIX, p. 163). Appartiene all'essenza del liberalismo religioso la falsa massima che per insegnare la verità non bisogna oppugnare o confutare l'errore. Non vi è nessuna formazione cristiana adeguata che prescinda dall'apologetica. Risulta particolarmente importante osservarlo, giacché la maggioranza degli uomini tende ad accettare come normale il regime politico e sociale in cui nasce e vive, ad ammettere che il regime esercita sulle anime una profonda influenza formativa. Per misurare quest'azione formativa in tutta la sua estensione, esaminiamola in ragione della sua esistenza e nel suo modo di operare. Ogni regime politico, economico e sociale si basa, in ultima analisi, in una metafisica e in una morale. Le istituzioni, le leggi, la cultura e le abitudini che lo integrano, o che gli sono correlati, riflettono nella pratica i principi di questa metafisica e di questa morale. Dal proprio fatto di esistere, dal naturale prestigio del Pubblico Potere, come pure dall'enorme forza dell'ambiente e dell'abitudine, il regime induce la popolazione ad accettare come buone, normali, persino indiscutibili, la cultura e l'ordine temporali vigenti, i quali sono le conseguenze dei principi metafisici e morali dominanti. E, con l'accettare tutto ciò, l'animo pubblico finisce coll'andare più lontano, lasciandosi penetrare come per osmosi, da questi principi, abitualmente intravveduti in modo confuso, subcosciente, ma assai vivo, per la maggior parte delle persone. L'ordine temporale esercita dunque, una profonda azione formatrice — o deformatrice — sull'anima dei popoli e degli individui. Vi sono epoche in cui l'ordine temporale si basa su principi contrad-dittori, i quali convivono in ragione a un tale o quale scetticismo con colorazione quasi sempre pragmatista. In generale, questo scetticismo pragmatico passa di lì alla mentalità delle moltitudini. Vi sono altre epoche, in cui i principi metafisici e morali che animano l'ordine temporale sono coerenti e monolitici, nella verità e nel bene, come nell'Europa del secolo XIII, oppure nell'errore e nel male come nella Russia e nella Cina dei nostri giorni. Allora, questi principi possono penetrare a fondo nei popoli che vivono in una società temporale da loro ispirata. Il fatto di vivere in un ordine di cose così coerente nell'errore e nel male è già di sé stesso un tremendo invito all'apostasia. Nello Stato comunista, ufficialmente filosofico e settario, questa impregnazione dottrinaria nella massa è fatta con intransigenza, ampiezza e metodo, e completata con una dottrinazione esplicita, instancabilmente ripetuta ad ogni proposito. In tutta la Storia non c'è un esempio di pressione più completa nel suo contenuto dottrinario, più sottile e polimorfa nei suoi metodi, più brutale nei suoi momenti di azione violenta, che quella esercitata dai regimi comunisti sui popoli che giacciono sotto il suo giogo. In uno Stato così totalmente anticristiano non vi è mezzo di evitare questa influenza sennonché istruendo i fedeli su ciò che esso ha di cattivo. Dinanzi a un tale avversario, più che dinanzi a qualunque altro, la Chiesa non può, dunque, accettare una libertà che implichi la rinuncia sincera ed effettiva all'esercizio, franco ed efficace, della sua funzione apologetica. 2. Quanto alla seconda condizione, ci sembra pure che non sia accet-tabile, considerando non solo l'incompatibilità totale tra il comunismo e la dottrina cattolica, come particolarmente il diritto di proprietà nelle sue relazioni coll'amor di Dio, con la virtù della giustizia e con la santificazione delle anime. Per il rifiuto di questa seconda condizione esiste anzitutto una ragione di carattere generico. La dottrina comunista, atea, materialista, relativista, evoluzionista, contrasta nel modo più radicale col concetto cattolico di un Dio personale che ha promulgato per gli uomini una Legge in cui si consustanziano tutti i principi della morale, fissi, immutabili e consentanei all'ordine naturale. La "cultura" comunista, considerata in tutti i suoi aspetti e in ognuno di essi, conduce alla negazione della morale e del diritto. Dunque, il contrasto fra comunismo e Chiesa non avviene appena in materia di famiglia e di proprietà. Ed è su tutta la morale, su tutta la nozione del diritto che la Chiesa dovrebbe, in tale caso, tacere. Non vediamo, dunque, verso quale risultato tattico condurrebbe un "armistizio ideologico" tra cattolici e comunisti circoscritto a questi due punti, se in tutti gli altri la lotta ideologica continuasse. * * * Consideriamo, frattanto, "argumentandi gratia" l'ipotesi di un silenzio della Chiesa soltanto riguardo alla famiglia e alla proprietà particolare. È tanto evidentemente assurdo ammettere che Essa accetti restrizioni quanto alla sua predicazione in materia di famiglia, che neppure ci tratteniamo nell'analisi di questa ipotesi. Ma immaginiamo che uno Stato comunista concedesse alla Chiesa tutta la libertà di predicare sulla famiglia, non concedendola però a rispetto della proprietà particolare. Cosa si dovrebbe rispondere allora? A prima vista si direbbe che la missione della Chiesa consiste essenzialmente nel promuovere la conoscenza e l'amore verso Dio, più che preconizzare o mantenere un regime politico sociale od economico. E che le anime possono conoscere ed amare Dio senza essere istruite sul principio della proprietà particolare. La Chiesa potrebbe, quindi, accettare come un male minore il patto di mantenere il silenzio sul diritto di proprietà, per ricevere in cambio la libertà di istruire e santificare le anime, parlando loro di Dio e del destino eterno dell'uomo, e amministrando loro i Sacramenti. * * * Questo modo di vedere la missione docente e santificatrice della Chiesa urta contro una obiezione preliminare. Se qualche governo terreno esigesse da Essa, come condizione per essere libera, la rinunzia alla predicazione di qualunque precetto della Legge, Essa non potrebbe accettare questa libertà, la quale sarebbe anzi un simulacro. Affermiamo che sarebbe un simulacro fallace, questa "libertà", poiché la missione del magistero della Chiesa ha per oggetto di insegnare una dottrina che costituisce un tutto indivisibile. O Essa è libera di compiere il mandato di Gesù Cristo, insegnando tutto questo, o deve considerarsi oppressa e perseguitata. Se non Le si riconosce questa libertà totale, Essa dovrà — in conformità alla sua natura militante — entrare in lotta coll'oppressore. La Chiesa non può accettare nella sua funzione docente un mezzo silenzio, una mezza oppressione, per ottenere una mezza libertà. Sarebbe un completo tradimento della sua missione. * * * Oltre a questa obiezione preliminare, basata sulla missione docente della Chiesa, ce ne sarebbe un'altra da fare, concernente la sua funzione come educatrice delle volontà umane per l'acquisto della santità. L'obiezione si fonda sul fatto che la chiara conoscenza del principio della proprietà particolare, ed il rispetto di questo principio nella pratica, sono assolutamente indispensabili per la formazione genuinamente cristiana delle anime:
Dimostriamo che una società in cui non esiste la proprietà particolare è gravemente opposta al retto sviluppo delle facoltà dell'anima, in special modo della volontà. Donde, di sé stessa, è incompatibile con la santificazione degli uomini. Ci riferiremo pure, di passaggio, al danno che per analoghe ragioni la comunità di beni reca alla cultura. Lo faremo poiché il vero sviluppo culturale è non solo un fattore propizio alla santificazione dei popoli, come pure il frutto di questa santificazione. Donde, la retta vita culturale possiede un intimo vincolo col nostro tema. Abbordiamo il tema risaltando un punto essenziale, spesso dimenticato da coloro che trattano dell'istituto della proprietà particolare: questo è necessario all'equilibrio e alla santificazione dell'uomo. Per giustificare questa tesi è necessario ricordare, preliminarmente, che i documenti pontifici, quando discorrono sul capitale, sul lavoro e sulla questione sociale, non lasciano il minor dubbio quanto al fatto che la proprietà particolare non è soltanto legittima ma ancor più indispensabile al bene privato e al bene comune, e tutto questo in ciò che si riferisce tanto agli interessi materiali dell'uomo, quanto a quelli della sua anima. È assai certo che questi stessi documenti papali si sollevarono veementemente contro i numerosi eccessi ed abusi che, principalmente a cominciare dal secolo XIX, sono occorsi in materia di proprietà particolare. Però, il fatto di essere molto rimproverabili e dannosi gli abusi fatti dagli uomini a una istituzione, assolutamente non vuol dire che perciò essa non sia intrinsecamente eccellente. Al contrario, si deve tendere a pensare l'opposto nel maggior numero dei casi: "corruptio optimi pessima" — il pessimo è, forse, quasi sempre la corruzione di ciò che in sé stesso è ottimo. Nulla è più sacro e santo, in sé stesso, e da tutti i punti di vista, che il sacerdozio. Nulla è peggiore della sua corruzione. E proprio perciò si capisce che la Santa Sede, tanto severa contro gli abusi della proprietà privata, sia ancor più severa quando reprime gli abusi del sacerdozio. Sono molteplici i motivi pei quali l'istituto della proprietà particolare è indispensabile agli individui, alle famiglie e ai popoli. Esorbiterebbe dai limiti del presente saggio un'esposizione completa di questi motivi. Atteniamoci alla illustrazione di quello che importa più direttamente al nostro tema: come abbiamo affermato poco prima, questo istituto è necessario all'equilibrio e alla santificazione dell'uomo. Essendo naturalmente dotato d'intelligenza e di volontà, l'uomo tende a provvedere con le sua proprie facoltà spirituali a tutto ciò che occorre al suo bene. Donde gli proviene il diritto di cercare da sé stesso le cose che gli occorrono ed appropriarsi di loro quando non hanno padrone. Da ciò gli proviene ugualmente il diritto di provvedere in modo stabile alle sue necessità del domani, appropriandosi del suolo, coltivandolo e producendo per questa coltivazione gli strumenti per il lavoro. Insomma, è per il fatto che possiede anima che l'uomo tende incontestabilmente ad essere proprietario. Ed è in questo punto, dicono Leone XIII e San Pio X, che la sua posizione dinanzi ai beni materiali lo distingue dagli animali irrazionali: "IV — L'uomo dispone sui beni della terra, non soltanto del semplice uso, come i bruti, ma anche il diritto di proprietà stabile, tanto riguardo alle cose che si consumano coll’uso, come riguardo a quelle che l'uso non consuma (Enciclica Rerum Novarum)" (San Pio X, Motu Proprio sull'Azione Popolare Cattolica, 18 dicembre 1903 — ASS, vol. 36, pp. 341-343). Ora, siccome il dirigere il proprio destino e provvedere alla propria sussistenza è oggetto prossimo, necessario e costante dell'esercizio dell'intelligenza e della volontà, e siccome la proprietà è il mezzo normale affinché l'uomo sia sicuro e si senta sicuro nel suo avvenire e padrone di sé stesso, succede che abolire la proprietà particolare, e conseguentemente rimettere l'individuo, come una termite inerme, alla direzione dello Stato, è privare la sua mente di alcune condizioni basiche per il suo funzionamento normale, ed è portare all'atrofia le facoltà della sua anima per mancanza di esercizio, ed è insomma deformarlo profondamente. Così si spiega, in gran parte, la tristezza che caratterizza le popolazioni soggette al comunismo, come pure il tedio, le neurosi ed i suicidi sempre più frequenti in alcuni paesi largamente socialisti dell'Occidente. È saputo molto bene, difatti, che le facoltà dell'anima, che non si esercitano, tendono ad atrofizzarsi. Al contrario, l'esercizio adeguato può svilupparle, alle volte persino prodigiosamente. Su questo si fonda un grande numero di pratiche didattiche ed ascetiche approvate dai migliori dottrinatori, e consacrate dall'esperienza. Essendo la santità la perfezione dell'anima, si può capire bene quale importanza rappresenti per la salvazione e la santificazione degli uomini ciò che di qui si conclude. La condizione di proprietario, di per sé, crea circostanze assai propizie per il retto e virtuoso esercizio delle facoltà dell'anima. Non accettando l'ideale utopico di una società in cui ogni individuo, senza eccezione, sia proprietario, od in cui non ci siano patrimoni disuguali, grandi, medi e piccoli, è necessario affermare che la diffusione più ampia possibile della proprietà favorisce il bene spirituale, e ovviamente anche quello culturale, sia degli individui, come delle famiglie e delle società. Nel senso opposto, la proletarizzazione crea condizioni molto sfavorevoli alla salvazione, santificazione e formazione culturale dei popoli, delle famiglie e degli individui. • Per facilitare di più l'esposizione, consideriamo subito alcune obiezioni alla tesi trattata nella lettera "c":
Per rispondere a questa domanda, è conveniente ponderare che la proprietà particolare è una istituzione che favorisce indirettamente, ma in modo genuino, coloro che non sono proprietari. Poiché, essendo grande il numero di persone che tirano profitto adeguato dai benefizi morali e culturali che la condizione di proprietario a loro conferisce, risulta così un ambiente sociale elevato, che favorisce persino quelli che non sono proprietari a causa della naturale comunicazione delle anime. La situazione in cui questi si trovano non si identifica, dunque, a quella degli individui che vivono in un regime nel quale non esiste nessuna proprietà.
Diciamo che la proprietà è condizione importantissima per il bene spirituale e culturale degli individui, delle famiglie e dei popoli. Non diciamo che è causa della santificazione. Come la libertà della Chiesa è condizione per il Suo sviluppo. Però la Chiesa, perseguitata, fiorì mirabilmente nelle catacombe. Sarebbe esagerato dire, per esempio, che, necessariamente, quanto più è diffusa la proprietà, tanto più è virtuoso e colto il popolo. Ciò condurrebbe a mettere quel che è soprannaturale nella dipendenza della materia, e quel che è culturale nella dipendenza dell'economia. Però, è sicuro che a nessun popolo è lecito di contrariare i disegni della Provvidenza, abolendo un'istituzione imposta dall'ordine naturale delle cose, come lo è la proprietà particolare, istituzione che è una condizione assai importante per il bene delle anime, tanto nel piano religioso come in quello culturale. E se qualche popolo procedesse in questo modo, preparerebbe i fattori per la sua degradazione morale e culturale, e perciò per la sua completa rovina.
La differenza tra una stanza interamente buia, e un'altra illuminata da una luce tremolante, è maggiore di quella tra una stanza illuminata da una luce tremolante in confronto a un'altra illuminata fantasmagoricamente. E questo perché il male prodotto dalla mancanza totale di un bene importante, come nel caso sarebbe la luce, è sempre incomparabilemente maggiore di quello prodotto dall'insufficienza di questo bene. La società romana possedeva, sebbene in misura minore del desiderabile, una vasta e colta classe di proprietari. Donde l'esistenza nell'Impero dei benefici culturali della proprietà, per lo meno in una certa proporzione. Sarebbe molto diversa la situazione di un paese interamente privato di una classe di proprietari: da questo punto di vista, si troverebbe nelle complete tenebre. Forse si obietterà che l'esperienza si trova in contraddizione con la conclusione teorica. Poiché nel popolo russo ci troviamo di fronte a un innegabile progresso culturale e tecnico, a dispetto della comunità di beni imposta dal regime marxista. Pure qui, la risposta non è difficile. Le risorse disseccate nei punti cardinali di un vastissimo impero si trovano soggettate all'arbitrio del governo sovietico. Esso dispone arbitrariamente dei talenti, del lavoro e della produzione di centinaia di milioni di persone. Quindi, non gli mancarono mai i mezzi per costituire alcuni ambienti artificiali, di alta elaborazione tecnica o culturale (anticulturale si direbbe meglio). Senza negare i grandi risultati ottenuti in questo modo, si può esprimere assai legittimamente una certa sorpresa per il fatto che essi non sono molto maggiori. Poiché, se uno Stato-moloch, tutto intero antinaturale, non produce risultati-moloch nell'ordine dell'artificiale, è perché realmente non ha il dono dell'efficacia. Inoltre, questo artificiale rifiorimento intellettuale è interamente separato dalla popolazione. Esso non costituisce il prodotto della società. Non è il risultato di una germinazione nelle sue viscere. Ma è ottenuta fuori di questa, col sangue che da essa é succhiato. Cresce e si afferma senza di lei, e in alcun modo contro di lei. Una tale produzione non è l'indice della cultura di una nazione. Come, in una immensa proprietà rurale abbandonata, i prodotti di una stufa ivi esistente non sarebbero la prova valida che la proprietà è obbligatoriamente coltivata. Ritornando all'obiezione relativa alla Roma imperiale, vi sono stati degli schiavi, è certo, che si sollevarono a dei livelli intellettuali e morali stupendi: meraviglie della grazia nel piano morale, e della natura, che sino ad oggi causano ammirazione. Eccezioni gloriose che non sono sufficienti per negare la verità ovvia che la condizione servile, di sé stessa, è oppressiva e nociva all'anima dello schiavo, sia dal punto di vista religioso, come da quello culturale. E che la schiavitù, già di sé stessa moralmente e culturalmente nociva, lo sarebbe stata incomparabilmente di più per gli stessi schiavi dell'Antichità, se non ci fossero stati dei patrizi e plebei liberi, e se la società fosse costituita soltanto di uomini senza autonomia né proprietà, come accade nel regime comunista.
La risposta è facile. Questo stato è altamente benefico alle anime attratte dalla grazia per vie eccezionali. Se immaginassimo questo stato vissuto da tutta una società, sarebbe nocivo, poiché quel che conviene alle eccezioni non conviene a tutti. È perciò che le comunità di beni tra i fedeli non è mai stata generalizzata nella Chiesa primitiva, ed ha finito per essere eliminata. E le esperienze comuno-protestanti di alcune collettività nel secolo XVI risultarono una rovina. * * * Ponderati questi molteplici argomenti ed obiezioni, rimane ferma la tesi che è vano tacere sull'immoralità della completa comunità di beni, per ottenere in cambio la santificazione delle anime attraverso la libertà di culto e una relativa libertà di predicazione. • D'altronde, una volta accettato questo patto mostruoso, non sarebbe praticabile per questo fatto la coesistenza sognata. Difatti, in una società senza proprietà particolare, le anime rette tenderebbero sempre, a causa del dinamismo stesso delle loro virtù, a creare delle condizioni a loro favorevoli. Poiché tutto ciò che esiste propende a lottare per la propria sopravvivenza, distruggendo le circostanze avverse, ed impiantando circostanze proprie. "A contrario sensu", tutto ciò che non lotta contro le circostanze gravemente avverse è da loro distrutto. Donde, la virtù si troverebbe in una lotta perpetua contro la società comunista in cui starebbe fiorendo, e tenderebbe perpetuamente ad eliminare la comunità di beni. E la società comunista si troverebbe in una lotta perpetua contro la virtù, e tenderebbe ad asfissiarla. Tutto ciò sarebbe proprio né più né meno che l'opposto della coesistenza sognata.
3. Quanto alla terza condizione, ci sembra egualmente inaccettabile, poiché la necessità di tollerare un male minore non può indurre alla rinunzia della sua distruzione totale. Quando la Chiesa risolve di tollerare un male minore, non vuol dire che questo male non debba essere combattuto con tutta l'efficacia. "A fortiori", quando questo male "minore" è in se stesso gravissimo. In altre parole, la Chiesa deve formare nei fedeli e rinnovare in essi, ad ogni istante, un dolore vivissimo per la necessità di accettare il male minore. E con il dolore deve suscitare nei fedeli il proposito efficace di fare tutto il possibile per rimuovere le circostanze che hanno fatta necessaria l'accettazione del minor male. Ora, agendo così, la Chiesa romperà la possibilità di coesistenza. Eppure, secondo la nostra opinione, non potrebbe agire in altro modo dentro l'imperativo della sua sublime missione.
VII — Risolvendo obiezioni finali Durante questo lavoro, abbiamo risolto diverse obiezioni immediatamente correlazionate ai diversi temi trattati. Ora analizzeremo altre obiezioni che, non dovendo essere abbordate necessariamente nello svolgimento dell'esposizione, vengono più comodamente per i lettori, in questo capitolo. 1. Difendendo in questo modo il diritto di proprietà, la Chiesa abban-donerebbe la lotta contro la miseria e la fame. Quest'obiezione ci da modo di considerare gli effetti catastrofici che, sotto l'angolo visuale del bene temporale, il silenzio della Chiesa in materia di proprietà, nello Stato comunista, potrebbe produrre. Analizzate, quindi, le principali obiezioni che potrebbero essere presentate a un tale silenzio, dal punto di vista della missione docente, e da quello della missione santificatrice della Chiesa, consideriamo un effetto secondario, ma interessante, dello stesso silenzio: sarebbe il Suo pattuare con la disseminazione progressiva della miseria in una situazione mondiale marcata dal progresso della collettivizzazione. Ogni uomo cerca di provvedere anzitutto alle sue necessità personali, a causa di un movimento istintivo continuo, potente e fecondo. Quando si tratta della propria conservazione, l'intelligenza umana lotta più facilmente contro le sue limitazioni, e cresce in acutezza ed agilità. La volontà vince con maggior facilità l'ozio ed affronta con maggior vigore gli ostacoli e le lotte. Questo istinto, quando contenuto nei giusti limiti, non deve essere contrariato, ma invece appoggiato ed approfittato come un prezioso fattore di arricchimento e di progresso; e in nessun modo può essere peggiorativamente qualificato di egoismo. Esso è l'amore a se stesso, che secondo l'ordine naturale delle cose deve giacere al di sotto dell'amore verso il Creatore, e al di sopra dell'amore al prossimo. Negate queste verità, rimarrebbe annichilito il principio della sussidiarietà, presentato dall'Enciclica "Mater et Magistra" come elemento fondamentale della dottrina sociale cattolica (cf. AAS, vol. LIII, pp. 414-415). Difatti, è in virtù di questa gerarchia nella carità, che ogni uomo deve provvedere direttamente a sé stesso tanto quanto sta nelle sue risorse personali, ricevendo l'ausilio dei gruppi superiori — famiglia, corporazione, Stato — soltanto nella misura di ciò che gli sia impossibile fare da sé. È in virtù dello stesso principio che la famiglia e la corporazione (enti collettivi dei quali si può anche dire che "omne ens appetit suum esse") velano prima e direttamente su se stessi, ricorrendo allo Stato soltanto quando fosse indispensabile. E lo stesso si ripete riguardo alle relazioni tra lo Stato e la società internazionale. In conclusione, sia pei dettami della sua ragione, come pel suo proprio istinto, tutto nella natura chiede all'uomo di appropriarsi dei beni per garantire la sua sussistenza, e renderla ricca, decorosa e tranquilla. E il desiderio di possedere degli averi propri, e di moltiplicarli, è il grande stimolante del lavoro, e perciò un fattore essenziale dell'abbondanza della produzione. Come abbiamo visto, l'istituto della proprietà particolare, che, è il corollario necessario di questo desiderio, non può essere considerato come un semplice fondamento di privilegi personali. Esso è condizione indispensabile ed efficacissima della prosperità di tutto il corpo sociale. Il socialismo e il comunismo affermano che l'individuo esiste primordialmente per la società, e che deve produrre direttamente, non per il suo proprio bene, ma per il bene di tutto il corpo sociale. Con ciò, il migliore stimolo del lavoro cessa, la produzione per forza decade, l'indolenza e la miseria si generalizzano in tutto la società. E l'unico mezzo — ovviamente insufficiente — che il Pubblico Potere può impiegare come stimolo di produzione è la frusta... Non neghiamo che nel regime della proprietà particolare possa succedere — ed è accaduto spesso — che i beni prodotti con abbondanza circolino difettosamente nelle varie parti del corpo sociale, accumulandosi qua, e scarseggiando là. Questo fatto ci induce a tutto fare in favore di una diffusione proporzionale della ricchezza nelle diverse classi sociali. Però non si spiega la nostra rinunzia alla proprietà particolare, né alla ricchezza che da essa nasce, per rassegnarci al pauperismo socialista. 2. Quanto a uno Stato non completamente collettivizzato, non valgono gli argomenti contrari alla coesistenza della Chiesa con uno Stato totalmente collettivizzato. Secondo certe notizie della stampa, qualche governo comunista annuncia, pari passu con la concessione di certa libertà religiosa, il proposito di operare un indietreggiamento parziale nel socialismo, ammettendo di fatto se non di diritto, a titolo provvisorio, qualche forma di proprietà privata. In questo caso l'influenza del regime sulle anime sarebbe meno funesta. La predicazione e l'insegnamento cattolico potrebbero dunque accettare di passare sotto silenzio, non propriamente il principio della proprietà privata, ma tutta la estensione che essa ha nella morale cattolica? A questo si potrebbe rispondere che non sempre i regimi più brutalmente antinaturali — o gli errori più flagranti e dichiarati — sono quelli che riescono a deformare più profondamente le anime. Per esempio, l'errore scoperto o l'ingiustizia brutale indignano e fanno orrore, mentre sono accettate come normali le mezze ingiustizie e come verità i mezzi errori; e gli uni e le altre corrompono più rapidamente le menti. È stato più facile combattere l'arianesimo che il semi-arianesimo, il pelagianesimo che il semi-pelagianesimo, il protestantesimo che il giansenismo, la Rivoluzione brutale che il liberalismo, il comunismo che il socialismo attenuato. S'aggiunga che la missione della Chiesa non consiste appena nel combattere gli errori brutalmente radicali e flagranti, ma nell'espellere dalla mente dei fedeli ogni e qualsiasi errore, sia pur tenue, per far brillare agli occhi di tutti la verità integrale e senza macchia insegnata da Gesù Cristo Nostro Signore. 3. Il senso di proprietà è tanto radicato nei contadini di certe regioni europee, che può essere trasmesso da generazione a generazione, quasi come il latte materno, attraverso il semplice insegnamento del catechismo nella famiglia. Perciò, la Chiesa potrebbe passar sotto silenzio il diritto di proprietà durante decenni, senza danno per la formazione morale dei fedeli. Non possiamo negare che il senso di proprietà sia vivo in alcune regioni europee. È noto che a causa di tutto ciò i comunisti hanno dovuto retrocedere nella loro politica di confisco e, per esempio, restituire le terre ai piccoli proprietari della Polonia. Tuttavia, queste ritirate strategiche, frequenti nella storia del comunismo, non costituiscono da parte dei settari comunisti nient'altro che un'attitudine del momento, una rassegnazione per vincere in seguito più completamente. Appena le circostanze glielo permettono, tornano alla carica con astuzia e forze raddoppiate. Sarà questo il momento di maggior pericolo. Esposti all'azione della tecnica propagandistica più scaltra e raffinata, i contadini dovranno soffrire per un tempo indeterminato l'offensiva della ideologia marxista. Chi non si spaventa nell'immaginare esposta a questo rischio la giovane generazione dì qualunque parte della terra? Ammettere che il semplice senso abituale e naturale della proprietà personale costituisca di solito la corazza completamente tranquillizzatrice contro un pericolo così grande, è aver troppa fiducia in un fattore umano. In realtà, senza l'azione diretta e soprannaturale della Chiesa, che prepara i suoi figli con ogni antecedenza e li assiste nella lotta, è poco probabile che fedeli di qualunque nazione e di qualunque condizione sociale possano resistere alla prova. Inoltre, come già abbiamo detto, non ci sembra lecito, in ogni caso, che la Chiesa sospenda durante decenni l'esercizio della sua missione, la quale consiste nell'insegnare integralmente la Legge di Dio. 4. La coesistenza della Chiesa con uno Stato comunista sarebbe possibile se tutti i proprietari rinunziassero ai loro diritti. Nell'ipotesi di una tirannia di ispirazione comunista, disposta a tutte le violenze per imporre il regime della comunità di beni; e di proprietari che persistono nell'affermare i loro diritti contro lo Stato il quale non li ha creati né li può sopprimere validamente, qual è la soluzione per la tensione da ciò risultante? Non si vede nulla di immediato a non essere la lotta. Però, non una lotta qualunque, ma una lotta mortale di tutti i cattolici fedeli al principio della proprietà particolare, posti in un'attitudine di legittima difesa contro lo sterminio provocato da un Potere tirannico, la cui brutalità bestiale dinanzi a un rifiuto della Chiesa può giungere ad estremi imprevisti. Una rivolta con tutti gli episodi atroci che le sono inerenti, l'impoverimento generale e le inevitabili incertezze quanto alla conclusione della tragedia. Posto questo, si potrebbe domandare se i proprietari non sarebbero obbligati allora in coscienza a rinunziare al loro diritto in favore del bene comune, permettendo quindi lo stabilimento della comunità di beni sopra una base moralmente legittima, a partire da cui il cattolico potrebbe accettare senza problemi di coscienza il regime comunista. Questa scusa è inconsistente. Essa confonde l'istituzione della proprietà particolare, come tale, col diritto di proprietà di persone concretamente esistenti in un dato momento storico. Ammessa come valida la desistenza di queste persone al loro patrimonio, imposta sotto l'effetto di una brutale minaccia al bene comune, i loro diritti cesserebbero: di qui non decorrerebbe in nessun modo la eliminazione della proprietà particolare come istituzione. Essa continuerebbe esistendo, per modo di dire, "in radice", nell'ordine naturale stesso delle cose, come immutabilmente indispensabile al bene spirituale e materiale degli uomini e delle nazioni, e come un imperativo irremovibile della Legge di Dio. E, per il fatto di continuare ad esistere così "in radice", essa nasce-rebbe ad ogni momento. Ogni qualvolta che, per esempio, un cacciatore o un pescatore si impadronisse, nel mare o nell'aria, del necessario per il suo mantenimento e per accumulare qualche economia; ogni qualvolta che un'intellettuale o un lavoratore bracciale produce più dell'indispensabile per la vita quotidiana, e riservasse per sé il soverchio, verrebbero ricostituite piccole proprietà particolari, originate nelle profondità dell'ordine naturale delle cose. E, com'è normale, queste proprietà tenderebbero a crescere... Per evitare ancora una volta la rivoluzione anticomunista, sarebbe necessario ripetere ad ogni momento le rinunzie, ciò che conduce evidentemente all'assurdo. È da aggiungere che, in numerosi casi, l'individuo non potrebbe fare una tale rinunzia senza peccare contro la carità verso sé stesso. E questa rinunzia urterebbe frequentemente contro i diritti di un'altra istituzione, profondamente affine alla proprietà, e ancor più sacra di essa, cioè la famiglia. Difatti, sarebbero numerosi i casi in cui il membro di una famiglia non potrebbe operare una tale rinunzia, senza mancare alla giustizia e alla carità verso i suoi. • LA PROPRIETÀ PARTICOLARE E LA PRATICA DE LA GIUSTIZIA: Ci siamo proposti di fare qui, dopo aver descritto e giustificato questo continuo rinascere del diritto della proprietà particolare, una considerazione che senza ciò non potrebbe essere fatta con la chiarezza necessaria. Trattasi della virtù della giustizia nelle sue relazioni con la proprietà particolare. Nell'item VI, n.° 2, lettera "b", di questo saggio, abbiamo parlato della parte svolta dalla proprietà nella conoscenza e nell'amore della virtù della giustizia. Consideriamo adesso la parte svolta dalla proprietà nella pratica della giustizia. Dato che, ad ogni momento, dei diritti di proprietà stanno nascendo nei paesi comunisti come altrove, lo Stato collettivista, che confisca i beni particolari, si trova né più né meno, moralmente, situato nella condizione di brigante. E coloro che ricevono dallo Stato i beni confiscati si trovano in principio, di fronte al proprietario frodato, come chi si arricchisce coi beni rubati. Qualunque moralista prevede facilmente, a partire da questo punto, l'immensa successione di difficoltà che recherà la collettivizzazione dei beni alla pratica della virtù della giustizia. Queste difficoltà saranno tali che, massimamente negli Stati poliziali, esigiranno con frequenza, forse ad ogni momento, degli atti eroici da parte di ogni cattolico. Ciò che è una prova in più, dell'impossibilità della coesistenza tra la Chiesa e lo Stato comunista. 5. Essendo il comunismo tanto antinaturale, esso ha una esistenza necessariamente effimera. Così, la Chiesa potrebbe accettare un "modus vivendi" appena per qualche tempo, fino a vederlo cadere marcio o per lo meno in via di attenuazione. A tutto ciò potrebbero essere date varie risposte:
6. A prima vista, si direbbe che certi gesti di "distensione" del compianto Papa Giovanni XXIII in relazione alla Russia sovietica, potrebbero orientare lo spirito in senso opposto alle nostre conclusioni. Invece, è proprio il contrario. Tali gesti di Giovanni XXIII possono essere situati completamente nel piano delle relazioni internazionali. Quanto al piano in cui si pone il presente studio, lo stesso Pontefice, riaffermando nella Enciclica "Mater et Magistra" le condanne fulminate dai suoi Predecessori contro il comunismo, ha lasciato ben chiaro che non può esistere smobilitazione dei cattolici di fronte a questo errore che i documenti pontifici ripudiano con estremo vigore. E, nello stesso senso, da parte del Papa Paolo VI, gloriosamente regnante, è da registrare tra gli altri, questo espressivo pronunziamelo: "Non si creda pure che questa sollecitudine pastorale, assunta oggi dalla Chiesa come programma primordiale che assorbe la sua attenzione e attrae le sue preoccupazioni, significhi un cambiamento del giudizio formulato circa gli errori disseminati nella nostra società, e già condannati dalla Chiesa, come il marxismo ateo, per esempio. Cercare di applicare rimedi salutari ed urgenti a una malattia contagiosa e mortale non vuol dire cambiare opinione riguardo a questa malattia, ma, al contrario, significa cercare di combatterla non solo in teoria, ma praticamente; significa che vogliamo, dopo il diagnostico, applicare una terapeutica, cioè dopo la condanna dottrinaria, applicare la carità salutare" (Allocuzione del 6 settembre 1963, alla XIII Settimana Italiana di Adattazione Pastorale, di Orvieto — AAS, vol. LV, p. 752). Analoga posizione è stata presa molte volte nel presente pontificato dall’"Osservatore Romano", organo ufficioso del Vaticano. Si legge, per esempio, nel numero del 20 marzo u.s. della sua edizione in francese: "Lasciando da parte le distinzioni più o meno fittizie, è sicuro che nessun cattolico, direttamente o indirettamente, può collaborare coi comunisti, poiché alla incompatibilità ideologica tra Religione e materialismo (dialettico e storico) corrisponde una incompatibilità di metodi e di fini, incompatibilità pratica, cioè morale" (articolo "Le rapport Ilitchev", di F. A.). E in un'altro articolo dello stesso numero: "Affinché il Cattolicesimo e il comunismo fossero conciliabili occorrerebbe che il comunismo non fosse comunismo. Ora, pure nei molteplici aspetti della sua dialettica, il comunismo non cede a ciò che dice riguardo ai suoi fini politici ed alla sua intransigenza dottrinaria. È così che la concezione materialista della Storia, la negazione dei diritti detta persona, l'abolizione detta libertà, il dispotismo dello Stato, e l'esperienza economica stessa, piuttosto infelice, mettono il comunismo in opposizione con la concezione spiritualista e personalista della società come deriva dalla dottrina sociale del Cattolicesimo (…)" (articolo "A propos de solution de remplacement"). Ancora nello stesso senso, si può menzionare la Lettera collettiva del Venerando Episcopato Italiano contro il comunismo ateo, con data del 1.° Novembre 1963. Del resto, anche da fonti comuniste non sono mancate le affermazioni sull'impossibilità di una tregua ideologica o di una coesistenza pacifica tra la Chiesa e il comunismo: "Coloro che propongono l'idea della coesistenza pacifica, in materia ideologica, vanno esattamente verso una posizione anticomunista" (Kruchev, cfr. telegramma del 11-3-63 della AFP e ANSA, "O Estado de São Paulo" del 12-3-63). "La mia impressione è che mai, e in nessun campo, (...) sarà possibile arrivare ad una coesistenza del comunismo con altre ideologie e pertanto con la religione" (Adjubei, cfr. telegramma del 15-3-63 dell'ANSA, UPI e DPA, "O Estado de São Paulo" del 16-3-63). "Non c'è conciliazione possibile tra il cattolicesimo e il comunismo" (Palmiro Togliatti, cfr. telegramma del 21-3-63 dell'AFP, "O Estado de São Paulo" del 22-3-63). "Una coesistenza pacifica delle idee comunista e borghese costituisce un tradimento contro la classe operaia (...). Non c'è mai stata coesistenza pacifica delle ideologie; non c'è mai stata né potrà esserci" (Leonid Ilitchev, segretario della Commissione Centrale e presidente della Commissione Ideologica del PCUS, cfr. telegramma del 18-6-63 dell'AFP, ANSA, AP, DPA e UPI, "O Estado de São Paulo" del 19-6-63). "I sovietici rigettano l'accusa che Mosca applichi anche il principio della coesistenza nella lotta di classe, e affermano che neppure l'ammettono sul terreno ideologico" (lettera aperta della CC del PCUS, cfr. telegramma delle agenzie sopraccitate, del 15-7-63, "O Estado de São Paulo" del 17-7-63). In tali condizioni, è evidente che la Chiesa militante non ha rinunciato, né potrebbe rinunciare, alla libertà essenziale per lottare contro il suo terribile avversario. 7. La coesistenza potrebbe essere accettata in un regime di "pia fraus", cioè se la Chiesa accettasse la coesistenza con qualche regime comunista, formulandosi l'"arrière pensée" di frodare quanto possibile il patto che con esso abbia stabilito. Considerata l'ipotesi di un patto esplicito, dobbiamo obiettare che a nessuno è permesso compromettersi a far qualcosa di illecito. Se, dunque, l'accettazione delle condizioni di cui stiamo trattando è illecita, il patto da esse costituito non può essere effettuato. Quanto all'ipotesi di un patto implicito, si può dire — per non considerare che questo solo aspetto — che c'è ingenuità nell'immaginare che le autorità comuniste, di carattere sopratutto poliziesco e servite dai potenti ricorsi della tecnica moderna, non riuscirebbero a conoscere immediatamente le violazioni sistematiche di tale patto.
VIII — Frutti dell'accordo: cattolici solo di nome Al comunismo, un patto con le condizioni enunciate nella V Parte di questo studio, darebbe immensi vantaggi, se fosse esattamente mantenuto: poiché si formerebbero nuove generazioni di cattolici mal preparati, tiepidi, che reciterebbero forse il Credo a fior di labbro, ma con la mente e il cuore inzuppati di tutti gli errori del comunismo. Insomma, cattolici nell'apparenza e nella superficie, comunisti nelle zone più profonde e autentiche della loro mentalità. Fra due o tre generazioni formate in questa coesistenza, quanto di cattolico ancora resterebbe nei popoli? A questo proposito, ci sia lecito fare un'osservazione che conferma tali asserzioni. E l'osservazione si riferisce ai rischi pastorali e pratici tanto gravi, che derivano alle volte dall'inevitabile accettazione della ipotesi, anche quando continuiamo fedeli alla tesi. Godendo intera libertà nel regime laico attuale, nato dalla Rivoluzione francese, la Chiesa ha visto fuggire dal suo seno milioni e milioni di uomini. Come ha detto l'Ecc.mo e Rev.mo Mons. Angelo Dell'Acqua, Sostituto della Segreteria di Stato, "in conseguenza dell'agnosticismo religioso degli Stati", è rimasto "indebolito e quasi perduto nella società moderna il sentire della Chiesa" (Lettera a S. Em.za il Cardinale Carlos Carmelo de Vasconcellos Motta, Arcivescovo di São Paulo, a proposito della Giornata Nazionale di Azione di Grazie del 1956). Qual è la ragione profonda di questo fatto? Le istituzioni pubbliche, come dicevamo prima (cfr. item VI, n.° 1), esercitano sopra la maggioranza degli uomini una profonda influenza. Essi le prendono abitualmente, e perfino senza comprenderlo, come modelli e fonti di ispirazione di ogni modo di pensare, essere e agire. E il laicismo, essendo stato adottato dagli Stati, ha falsato completamente un immenso numero di anime. Ciò non sarebbe accaduto certamente se i cattolici fossero stati più zelosi nell'approfittare dell'illimitata libertà di parola e di azione che godono nel regime liberale, per diffondere e propugnare tutti gl'insegnamenti della Chiesa contro lo Stato laico. Essi invece non approfittarono al massimo possibile questa libertà, perché in moltissimi casi, vivendo in un'atmosfera laicista, perdettero la nozione viva del tremendo male che costituisce il laicismo. Hanno continuato ad affermare, qualche rara volta e a fior di labbro, la tesi antilaicista, ma sono arrivati a trovar normale l’ipotesi. Ora, in un regime comunista, in cui gli errori sono inculcati dallo Stato con insistenza molto maggiore che nel regime laico-liberale, o le anime si lasciano trascinare in profusione ancor molto maggiore, o si fa contro questi errori molto e molto più di quanto non sia stato fatto contro il laicismo, dalla Rivoluzione francese fino ad oggi. Chi osasse immaginare che questo sarebbe tollerato da qualsiasi regime comunista, non avrebbe la minima idea di ciò che è il comunismo.
Per annichilire i vantaggi che, nell'Occidente, il comunismo sta già raggiungendo con i suoi accenni di una certa distensione sul terreno religioso e sociale, è importante e urgente illuminare l'opinione pubblica sul carattere intrinsecamente e necessariamente fraudolento della "libertà" da lui concessa alla Religione, e sull'impossibilità della coesistenza pacifica fra un regime comunista — anche se moderato — con la Chiesa Cattolica.
X — Dov'è il vero pericolo di un'ecatombe Giungendo al termine del presente studio, molti lettori domanderanno a sé stessi: come evitare un'ecatombe nucleare? È assai chiaro che, se i cattolici si fisseranno sul principio della proprietà particolare, le potenze comuniste, disilluse di imporre al mondo il loro sistema per via pacifica, ricorreranno alla guerra. Dinanzi a ciò, si dica quel che si vuole dal punto di vista dottrinario, non sarà preferibile cedere? Ò uomini di poca fede! — avremmo voluto rispondere — perché dubitate (cfr. Matt. 8, 26)? Le guerre hanno per causa principale i peccati delle nazioni. Poiché queste — dice Sant'Agostino — non potendo essere ricompensate né castigate nell'altra vita, ricevono in questo mondo stesso il premio delle loro buone azioni e la punizione dei loro crimini. Quindi, se vogliamo evitare le guerre e le ecatombi, combattiamole nelle loro cause. La corruzione delle idee e dei costumi, l’empietà ufficiale degli Stati laici, l'opposizione sempre più frequente tra le leggi positive e la Legge di Dio, questo sì, ci espone alla collera ed al castigo del Creatore, e ci conduce prima di tutto, alla guerra. Se, per evitarla, le nazioni dell'Occidente commettessero un peccato maggiore di quelli attuali, come sarebbe l’accettazione di esistere sotto il giogo comunista nelle condizioni che la morale cattolica rimprovera, sfiderebbero così l’ira di Dio e chiamerebbero su di sé stessi gli effetti della Sua collera. E sarebbe ancor peggio se fosse conceduta l'abolizione della proprietà particolare, poiché domani, si dovrebbe fare la stessa cosa riguardo all'abolizione della famiglia, e così via. Poiché così procede con inesorabile intransigenza la tattica delle imposizioni successive, inerenti allo spirito del comunismo internazionale. In questo modo, sino a quale bassezza, sino a quale abisso, e sino a quale apostasia si arriverebbe? L'esistenza umana, senza istituzioni necessarie come la proprietà e la famiglia, non vale la pena d'essere vissuta. Sacrificare l’una o l'altra, per evitare la catastrofe, non importa in "propter vitam vivendi perdere causas"? Perché vivere in un mondo trasformato in un'immensa casa di schiavi buttati in una promiscuità animale? Innanzi alla scelta drammatica dell'ora presente, che questo articolo cerca di mettere in evidenza, non ragioniamo come degli atei, che ponderano i pro e i contro come se Dio non esistesse. Un atto supremo ed eroico di fedeltà, in quest'ora, potrebbe spegnere dinanzi a Dio una quantità di peccati, inclinandoLo ad allontanare il cataclisma che s'avvicina. Un atto di fedeltà eroica... un atto di intera ed eroica fiducia nel Cuore di Colui che disse: "Imparate da Me, perché sono mansueto ed umile di Cuore, e troverete il riposo alle vostre anime" (Matt. 11, 29). Sì, affidiamoci a Dio. Confidiamo nella sua Misericordia, il cui cammino è il Cuore Immacolato di Maria. Quel che la Madre di Misericordia disse al mondo nel Messaggio di Fatima, è che la preghiera, la penitenza, l'ammenda della vita allontanano le guerre. E non le concessioni immediatiste, imprevidenti e paurose... Che la Madonna di Fatima ottenga, per noi tutti che abbiamo il dovere di lottare, il coraggio d'esclamare "non possumus" (At. 4, 20) innanzi agli insidiosi suggerimenti del comunismo internazionale . |