Plinio Corrêa de Oliveira
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Dall’opera “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione”, Edizione del cinquantenario (1959-2009), Presentazione e cura di Giovanni Cantoni, Sugarco Edizioni, pag. 277-284 |
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«Rivoluzione
e Contro-Rivoluzione»: risposta
ad alcune obiezioni
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Nello
studio pubblicato da Catolicismo sul numero 100 abbiamo
esposto, nei suoi aspetti positivi, il pensiero di questa rivista
su «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione»[1].
Per maggiore brevità abbiamo confutato in quello studio solo
alcune delle obiezioni che si potrebbero fare contro di esso.
Fra
queste obiezioni ci sembra che le più attuali — se non le più
intelligenti — potrebbero riassumersi in poche parole.
Certamente
qualcuno potrebbe dire che, dal Medioevo ai nostri giorni, il
mondo viene seguendo la linea storica indicata da Catolicismo.
Ma la rivista ha visto le cose dall’angolo visuale peggiore e
perciò ha presentato il corso dei fatti in modo profondamente
pessimista.
Dal
secolo XIII o XIV si viene accentuando un progresso relativamente
alla dignificazione della persona umana. Di conseguenza, tutte le
trasformazioni storiche lasciano vedere una crescente tendenza di
ogni uomo all’indipendenza e all’uguaglianza. La stessa società
civile, mossa dai medesimi impulsi sani e progressisti che si son
fatti sentire negl’individui, manifesta anch’essa una
propensione all’indipendenza in relazione alla sua vecchia e,
inoltre, benefica tutrice d’altri tempi, cioè la Chiesa. Da ciò
un avanzare incessante dell’uomo e della società verso una
cultura, un ordine sociale e politico e una struttura economica
segnati da aneliti di libertà, di uguaglianza e di autonomia del
temporale. Per certo il progressivo soddisfacimento di questa
tendenza fondamentalmente sana ha fatto sì che, accanto a essa e
con essa contribuendo a spingere il corso dell’evoluzione
storica, si manifestassero anche l’orgoglio, la sensualità e lo
spirito di dubbio. E talora queste manifestazioni sono state
brutali. Ma vi si tratta soltanto degli effetti di passioni
sregolate, che non si confondono assolutamente con le legittime ed
elevate aspirazioni dell’uomo verso stadi di civiltà più alti
e più degni. I crimini della Rivoluzione Francese, per esempio,
non sono frutto dei nobili aneliti di libertà del popolo francese.
Sono nati da turpi istinti, che tutti gli uomini hanno in tutti i
tempi, e che esplodono in tutte le grandi convulsioni con
deplorevole violenza. Nel caso della Rivoluzione Francese e di
movimenti simili queste esplosioni passionali sembrano causate non
da quanto Catolicismo chiama Rivoluzione, ma prima da
quanto chiama Contro-Rivoluzione. Le reazioni intempestive, cieche,
brutali di quest’ultima generano gli eccessi in cui la rivista
vede frutti sintomatici della prima.
Questo
spiega gli errori dottrinali di ogni specie che sembrano
costituire l’anima della cosiddetta Rivoluzione: ateismo, deismo,
laicismo, anticlericalismo, divorzio, libero amore, guerra alle
élite, negazione della proprietà privata e così via. Si
tratta di eccessi dottrinali, simmetrici agli eccessi d’altri
ordini, che s’incontrano nel corso della marcia vittoriosa
dell’uguaglianza e della libertà. Costituiscono debordamenti
sporadici di un corso d’acqua, cui non perciò dev’esser
impedito di continuare sempre ad avanzare. Al contrario, l’unico
modo per ridurre al minimo le inondazioni da esso prodotte
consiste nel lasciargli libero corso.
Sarebbe
difficile portare oltre l’ingenuità. Da tutto questo segue che
nulla è più legittimo della «Rivoluzione» e nulla più
disastroso della «Contro-Rivoluzione».
Tutta
questa argomentazione pecca alla base. Sembra supporre che due
grandi famiglie spirituali, a fianco a fianco, abbiano spinto
l’umanità sulle vie che sta seguendo. Una è costituita da
uomini profondamente affezionati alla civiltà, alla famiglia,
alla proprietà privata e anche alla Chiesa, ma desiderosi di
rivendicare per sé una parte di legittima importanza. Questi
uomini sono stati alieni da ogni eccesso, hanno un programma
estremamente moderato e nutrono orrore verso l’altra famiglia
spirituale. Questa è composta da quasi tutta la feccia
dell’umanità — diciamo «quasi tutta» perché non figurano
in essa i disgraziati contro-rivoluzionari —, vuole ogni genere
di eccessi ed è responsabile di ogni crimine. La prima famiglia
è molto più influente e forte della seconda. Essa produce il
progresso che viene avanzando incessantemente da cinque o sei
secoli. L’altra produce soltanto sporadici moti di piazza
violenti, che non hanno nessun rapporto profondo con il corso
degli avvenimenti.
Ora,
se le cose stanno così, non si capisce perché il mondo, invece
di essere retto dall’armonia, dalla moderazione e dall’ordine,
è preda di una terribile confusione, il corpo sociale è
completamente disarticolato, presenta sintomi crescenti di
squilibrio e di degrado morale e sta sprofondando in un caos
di fronte al quale tremano tutti gli uomini assennati. Il senso
cristiano della vita è quasi perso fra gli uomini, ha scritto il
molto reverendo monsignor Angelo Dell’Acqua in una lettera a S.
Em. il card. arcivescovo di San Paolo [Carlos Carmelo de
Vasconcellos Motta] a proposito della Giornata Nazionale di
Rendimento di Grazia. Questa realtà spaventosa, dalla quale
nascono tutte le altre realtà spaventose dei nostri giorni, da
chi è stata prodotta? Dalla famiglia spirituale dei moderati?
Allora, in che cosa consiste questa moderazione? Dai degradati?
Allora, in che cosa consiste la forza dei moderati? E come
affermare che è stata la moderazione a condurci a questo eccesso?
Chi non vede quanto vi è di illusorio in questa visione della
storia?
L’adolescente irrequieto
Si
tratta di un altro modo falso d’interpretare i fatti. Senza
entrare nell’analisi di questa concezione, dobbiamo dire che
l’immagine non coincide con la realtà. Se la Chiesa è la
madre, l’Occidente il figlio e la Rivoluzione la crisi, bisogna
riconoscere che non si tratta di una crisi leggera, di semplici
scaramucce domestiche, ma di una tragedia. Infatti l’Occidente,
in forme ora blande ora brutali, ha spogliato la Chiesa di tutte
le prerogative che le competono come regina e madre, concedendole
come favore grande la libertà che si rifiuta solo ai facinorosi.
Inoltre, nei campi di concentramento nazisti e oltre la Cortina di
Ferro, l’ha percossa e ferita in mille modi. Quando le relazioni
fra madre e figlio sono in questi termini è il caso di prevedere
come maggiormente probabile, secondo il corso comune delle cose,
che tutto ritorni da solo alla routine, oppure che i
contrasti avanzino verso le ultime catastrofi?
La «moderazione», forma surrettizia di Rivoluzione
L’idea
di assumere fra gli eccessi e i crimini della Rivoluzione, da una
parte, e la Contro-Rivoluzione, dall’altra, una linea moderata
non è dei nostri giorni. È nata, per così dire, con la
Rivoluzione stessa. Per esempio, nell’Età Contemporanea questa
formulazione di falso equilibrio ha sedotto numerosissimi elementi
in ciascuna delle generazioni che si sono succedute dal 1789 a
oggi.
Nella
sfera politica, fra i sostenitori dell’Ancien Régime e i
giacobini, la corrente «moderata» ha pensato per molto tempo che
il punto di equilibrio certo era la monarchia costituzionale. Più
tardi, quasi scomparsi i sostenitori dell’Ancien Régime, la
parte di «moderati» toccò ai repubblicani conservatori, termine
medio «saggio», «prudente», «sensato» fra due eccessi
contrari: la monarchia e il socialismo. In molti paesi le cose
sono ormai evolute e la «moderazione» consiste nel difendere il
socialismo contro la repubblica borghese, a destra, e il
comunismo, a sinistra.
Facciamo
l’analisi di questo curioso processo. La famiglia spirituale dei
«moderati», che pretende di essere equidistante da entrambi gli
estremi, non fa altro che un’immensa e sistematica Rivoluzione,
con apparenti intervalli e con ritirate strategiche, che si
perdono come semplici accidenti nell’immensità
dell’itinerario percorso. Ogni generazione di «moderati» ha
creato in questo o in quel modo un’altra generazione, che le
sarebbe succeduta nella stessa adorazione dell’«equidistanza»
e dell’«equilibrio». Ma ogni generazione ventura faceva un
passo avanti, assumendo precisamente la posizione che quella
precedente qualificava come esagerata. I «moderati» monarchici e
costituzionali francesi, per esempio, giudicavano esagerata la
Repubblica. Ora, dalle situazioni plasmate e dominate da loro
hanno avuto origine i «moderati» che, in nome della moderazione,
hanno fatto la Repubblica.
Così
la «moderazione» ha sempre avanzato da un eccesso all’altro.
Allora, come vedere in essa qualcosa di diverso dalla Rivoluzione?
E,
se la marcia della «moderazione» ci porta sempre qualche gradino
più in basso nella spirale rivoluzionaria, come immaginare che
alla fine del percorso non staremo nel più profondo dell’abisso
della Rivoluzione?
Esempi in altri campi
Poiché
la Rivoluzione è un immenso tutto e non un processo semplicemente
politico, possiamo notare anche in altri campi la stessa funzione
della «moderazione».
In
materia religiosa, per esempio, quante volte un cristianesimo
interconfessionale e vago è sembrato un termine medio giudizioso
fra un cattolicesimo «esagerato» e un deismo audace? E poi,
quante volte la parte del termine medio è passata da questo o da
quel cristianesimo al deismo, «punto di equilibrio» degno di
simpatia fra le «credulonerie» cristiane e gli eccessi
dell’ateismo? Così, di «punto di equilibrio» in «punto di
equilibrio», di «moderazione» in «moderazione», dove sono
ormai arrivati tanti e tanti, se non all’ateismo, che
costituisce il massimo squilibrio, la massima esagerazione, la più
aberrante immoderatezza?
E
sul terreno dell’immoralità degli abiti quante osservazioni
analoghe si dovrebbero fare!
In
ogni epoca vi sono ragazze di costumi riservati, altre «audaci»
e, infine, un’immensa maggioranza che sta in mezzo. Ora,
generalmente, le «moderate» attuali sono identiche alle
esagerate della sera precedente. E le esagerate d’oggi sono
identiche alle «moderate» di domani. Quindi, come aver fiducia
in questa «moderazione» quale forza capace di evitare il trionfo
dei peggiori errori, degli eccessi più detestabili?
Promozione del mondo operaio
Ma,
ci si chiederà, Catolicismo giunge al punto di negare che,
almeno accidentalmente, la Rivoluzione ha prodotto grandi vantaggi?
Per fare un esempio, non ha avuto il grande merito di evidenziare
negli operai un sentimento più chiaro della loro dignità? E non
è certo che l’espressione «promozione del mondo operaio» ha
un significato profondamente degno di simpatia da parte di ogni
anima cattolica?
Certi
processi di degrado morale possono portare con sé,
accidentalmente, la correzione di qualche difetto. Così, una
giovane pura, educata in un ambiente molto chiuso e perciò anche
timida, si può perdere e, mentre in lei viene meno la purezza, è
possibile scompaia anche la timidezza. Sarà il caso di dire che
la sua degradazione ha avuto il vantaggio di liberarla dalla
timidezza? Parlando in assoluto, vi sarebbe un fondo di verità in
questa affermazione. Ma, dal momento che vi sono tanti mezzi
normali perché una persona corregga la propria timidezza,
l’affermazione ha qualcosa di sgradevole alle orecchie dotate di
fine percezione.
La
Rivoluzione ha contribuito a che tutti gli uomini — e non
soltanto gli operai — avessero una nozione piena dei loro
diritti. Sarebbe stato un bene che avesse parlato loro anche dei
doveri. Comunque, il mezzo normale e adeguato perché gli uomini
giungessero alla piena e armoniosa conoscenza dei propri diritti
non sarebbe stato la Rivoluzione, ma il progresso nelle virtù
cristiane, cioè proprio il contrario della Rivoluzione. Questo è
il fondamento di ogni promozione, compresa quella del mondo
operaio.
In
che cosa consiste questa promozione? Non nel fatto che il
lavoratore, intossicato dalla Rivoluzione, si vergogni della sua
condizione e voglia essere borghese. E neppure nel fatto che
desideri istituire la dittatura del proletariato per schiacciare
le classi sociali più alte. La promozione dell’operaio consiste
nel fatto che egli si compenetri sempre più della dignità
naturale e della grandezza cristiana della sua condizione e cerchi
di segnare con questa convinzione tutto il suo portamento, i suoi
modi, il suo abbigliamento, la sua casa e così via. E nel fatto
che ami la gerarchia sociale, nella quale gli tocca una posizione
modesta ma dignitosa. In questo senso erano più sulla strada
della promozione i lavoratori rurali d’altri tempi, con i loro
begli abiti tipici, le loro musiche e le loro danze popolari, le
loro case e i loro mobili di una pittoresca e confortevole
rusticità, oppure i membri di un’antica corporazione che tanti
poveri lavoratori attuali, vittime della Rivoluzione, pezzi senza
iniziativa e senza vita di un grande meccanismo economico,
molecole inespressive di un’immensa massa e non più cellule
vive di un autentico popolo.
La
promozione operaia comporta certamente anche un miglioramento di
condizioni materiali di vita. Ma, anche a questo proposito,
bisogna ricordare che, se questo suppone il salario giusto,
sufficiente per il lavoratore e la sua famiglia, suppone anche
l’abitudine e i mezzi per far economia, per costituire un
patrimonio proprio e per aver almeno la casa di proprietà.
L’operaio completamente senza denaro, e dipendente in tutto e
per tutto dal sindacato e da organismi simili, è una vittima
della Rivoluzione e non è, in alcun modo, un operaio «promosso»
secondo le norme della Contro-Rivoluzione.
Soprattutto
è necessario ricordare che la promozione di una classe è nella
società come la crescita di un membro del corpo. Dev’essere un
capitolo necessario e prezioso di un progresso concomitante delle
diverse classi sociali e mai un passaggio verso il livellamento di
tutte.
Come
abbiamo visto, la Contro-Rivoluzione favorisce la promozione del
mondo operaio. Ma come differisce questa promozione dalle promesse
sovversive e ingannevoli della Rivoluzione!
Libertà
Risposta
analoga si potrebbe dare a chi pretendesse che il processo
rivoluzionario, limitando la patria potestà, l’autorità
maritale, le precauzioni morali dei costumi d’altri tempi e così
via, ha prestato un servizio insigne all’umanità. È come
pretendere che si sia prestato servizio a qualcuno tagliandogli un
braccio, perché così non si schiaccerà mai le dita. È
possibile che gli abusi della patria potestà siano diminuiti di
numero. Ma l’abuso dell’indipendenza dei figli non avrà
generato mali mille volte peggiori?
Inoltre
la stessa espressione «abuso» avrebbe bisogno di essere sfumata.
Vi sono abusi per eccesso. Diciamo che sono diminuiti. E gli abusi
per omissione della patria potestà non sono aumentati
prodigiosamente sotto il segno del liberalismo? Chi potrà mai
dire che cumulo di disastri morali sia stato originato da tale
omissione?
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La
civiltà cristiana potrebbe avere come divisa le parole udite dai
pastori nella notte in cui è nato il Salvatore: «Gloria a Dio
nel più alto dei Cieli e pace in terra agli uomini di buona
volontà» (Lc. 2, 14). Infatti la pace è, secondo
sant’Agostino, la tranquillità dell’ordine[2].
Chiaramente dell’ordine di Cristo nel Regno di Cristo. Per la
realizzazione di questa aspirazione la Rivoluzione non può essere
di nessun aiuto. Infatti le azioni da essa ispirate, anche quando
osservate da un punto di vista inopportunamente ottimista, sono
solamente correttivi sproporzionati e selvaggi ad abusi che
esistono inevitabilmente in ogni ordine cristiano.
Si
racconta di un oculista con cui un cliente si lamentava
eccessivamente del disturbo che gli causava l’uso di occhiali.
Fatta un’operazione, per imperizia del medico il cliente rimase
cieco. Quando rientrò in sé, reclamò indignato contro
l’infortunio che gli era accaduto. Sprofondandosi in scuse
l’oculista aggiunse, a mo’ di consolazione: «Almeno,
non dovrà più usare occhiali...». Questo ci fanno pensare
quanti, per giustificare la Rivoluzione, adducano al suo attivo
vantaggi di questa portata.
La
civiltà è a pezzi, il mondo minaccia di crollare in quest’era
in cui soffia liberamente e in tutti i sensi il tifone
rivoluzionario. Tuttavia gli cantiamo lodi perché ha eliminato qualche abuso dell’Ancien Régime.
* Plinio Corrêa de Oliveira, «Revolução e Contra-Revolução»: resposta a algumas objeções, in Catolicismo, anno IX, n, 101, Campos (Rio de Janeiro) maggio 1959, pp. 1-2 (ndc). [1]
[Cfr. Idem, Revolução e Contra-Revolução, ibid.,
anno IX, n. 100, Campos (Rio de Janeiro) aprile 1959, pp.
1-12.] [2] [Cfr. sant’Agostino, La
città di Dio, libro diciannovesimo, capitolo 13, 1, in
Idem, De civitate Dei.
La città di Dio, vol. III, (Libri
XIX-XXII), testo latino dall’Edizione Maurina
confrontato con il Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum
Latinorum, con Introduzione,
trad. e note di Domenico Gentili O.S.A. (1914-1992)
e Indici di Franco
Monteverde O.S.A., Città Nuova Editrice, Roma 1991, pp. 8-89
(p. 51).]
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