Plinio Corrêa de Oliveira
Un articolo sull'Austria apparso nell'Osservatore Romano
Legionario, Nº 290, 3 aprile 1938 |
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Corona del Sacro Imperio Romano Mentre le agenzie telegrafiche si sforzano di disturbare - con notizie contraddittorie - qualsiasi analisi obiettiva sulla situazione austriaca, il “Legionario” continua più che sicuro della giusta e precisa presa di posizione con la quale ha criticato il gesto criminale del nazismo [si riferisce all’annessione dell’Austria alla Germania hitlerista, n.d.c.].
Confermando il nostro punto di vista, trascriviamo di seguito un magistrale articolo pubblicato con massimo risalto sull’Osservatore Romano in merito all’indipendenza e alla missione storica dell’Austria.
Questo articolo, apparso il 27 febbraio scorso, confuta totalmente
il punto di vista razzista d’Hitler e trascrive, con astuzia, citazioni di
Mussolini, veramente imbarazzanti per quest’ultimo.
Tutto ciò che il “Legionario” scrisse sull’anschluss trova in questo articolo ampio fondamento. Il titolo dell’articolo è “L’Austria e la sua missione”. Leggiamolo:
Il
discorso del Cancelliere Schuschnigg, con le enunciazioni di carattere
generale ed i riferimenti concreti, riporta in primo piano, più ancora di
altre precedenti manifestazioni, un argomento di singolare importanza per
le relazioni internazionali, che nei giorni scorsi, pur nel susseguirsi di
avvenimenti notevoli, non è stato certo lasciato nell’ombra. Esso,
infatti, ha acquistato e mantiene un aspetto non soltanto politico, ma
storico, culturale, religioso, sì che l’interessarsene rientra nel
doveri di quella efficace collaborazione che ciascuno deve dare alla causa
della pace, alla tranquillità ordinata nel mondo.
L’indipendenza
dell’Austria, la sua vita a sé stante, non solo senza il predominio o
l’ingerenza d’un altro Stato, ma anche senza il prevalere,
forzatamente artificioso, di dottrine esotiche non confacenti al benessere
vero e alla prosperità del suo popolo, sembra infatti costituire uno dei
cardini per l’armonia delle nazioni in Europa.
Considerata
da chi dello stato Federale Austriaco regge le sorti e dalla immensa
maggioranza del suo popolo come una condizione e un bene insopprimibili;
affermatasi particolarmente con il superamento della grave crisi
dell’immediato dopoguerra; sostenuta e suffragata da solenni
attestazioni ufficiali da parte delle maggiori potenze; riproclamata
esplicitamente nell’accordo austro-germanico del luglio 1936, posta poi
come base stessa delle nuove intese di Berchesgaden, questa indipendenza
risale indubbiamente a un ordine superiore di esplicita chiarezza e si
riconnette a valutazioni di varia natura, tutte convergenti alla
conservazione di una prerogativa, di una missione secolare.
*
* *
La
civiltà cristiana che i primi annunciatori nelle regioni del Norico,
della Rezia e della Pannonia tra le stesse legioni romane colà stabilite,
poco dopo la metà del secondo secolo, né i primi nuclei di fedeli
tardarono ad offrire confessori e martiri, la cui epopea sostenne, più
tardi, la mirabile fatica di diffondere, tra le cruenti forze immigratorie,
la luce della verità e della redenzione. Ben prima perciò della
espansione di Carlo Magno e della costituzione della Ostmark,
nel secolo VIII (la primissima idea di un’Austria baluardo della romanità
verso oriente) vescovi e sacerdoti di Cristo avevano annunziato il Vangelo,
avanzando col divino vessillo della Croce. Gli intrepidi Severino, e poi
Ruperto e Virgilio, da Salisburgo, centro di operosa vita cristiana già
nel secolo VII, si portarono ben oltre le Alpi e lungo il Danubio, ove,
dall’Oriente, risalivano i grandi apostoli degli slavi, Cirillo e
Metodio, mentre dall’Illiria e dalla Dalmazia arrivavano i fulgori di
Martino e di Girolamo.
Fin
dagli inizi si afferma una caratteristica singolare di queste regioni:
accolgono esse infatti, alla confluenza di movimenti storici ed etnici di
imponente entità, indirizzi, usi, costumi, che vengono umanizzati e
ingentiliti dall’insegnamento della vera fede; né tardano, allorché
anche le terre della Germani saranno evangelizzate, a differenziarsi da
queste per un complesso di consuetudini, di aspirazioni, di necessità
storiche e politiche già allora nettamente delineate.
Un
tale divario appare più marcato e profondo nelle età successive, allorché
il rinnovato impero romano d’occidente sembrava dovesse unificare o per
lo meno amalgamare popoli molto diversi nella comune identità religiosa.
Una tale opera fu possibile soltanto in parte: o quando il contrasto tra
la potenza civile e il Papato si acuì e la Chiesa dovette incontrare e
sostenere lunghe lotte per la sua indipendenza, fu costante
l’orientamento, la simpatia, la devozione delle popolazioni austriache
verso Roma, auspice e guida ancora la sede episcopale di Salisburgo, e
fervido l’impulso d’incomparabile progresso, condotto con sistematico
vigore da quei centri di santità e di sapere che rispondono ai nomi di
San Floriano, Kreinsmünster, Göttweig, Melk, Klosterneuburg,
Heiligenkreuz.
Il
succedersi o l’intrecciarsi delle dinastie dei Babenberg, dei duchi
Boemi e della Stiria e del dominio di altri principi, sino ai primi
Sovrani della Casa di Asburgo, non ebbe che influenze limitate sulla
spiccata fisionomia assunta da parecchi secoli ormai; e questa anzi
s’accrebbe in modo notevolissimo poi, allorché la nuova dinastia allargò
i confini e fu associata alla corona imperiale del re dei Romani,
conservata in seguito, quasi ininterrottamente, nell’evo moderno.
L’umanesimo
trovò che l’Austria, come l’Italia, aveva percorso i tempi nello
sviluppo delle lettere e delle arti, e dei centri di alta cultura. Il
Duomo di Santo Stefano e l’Università di Vienna da oltre cent’anni
simboleggiavano la forza della fede e il fiorire delle scienze; e già un
primo Concordato con la Santa Sede aveva, sin dal 1448, regolato le
relazioni tra la Chiesa e lo Stato.
Con
questi presidii, dinanzi alle velleità anticattoliche della cosiddetta
riforma, le popolazioni austriache, come avvenne durante il triste periodo
delle guerre ussite, resistettero vittoriosamente, nonostante pericolose
infiltrazioni dell’eresia nel ceto dei nobili, rese però quasi del
tutto sterili nel tentativo di conquista da una meravigliosa fioritura di
carità e di assistenza sociale promossa, come altre imprese di sano
progresso, dalla Chiesa Cattolica.
La
salutare opera della controriforma voluta ed attuata da grandi Papi e da
grandi Santi trovò l’Austria in primissima linea nel contributo di
intelligenze, di risveglio religioso degno dello zelo di San Carlo, non
sconosciuto tra quei popoli, e del portentoso lavoro del Canisio e di
tanti altri elettissimi ingegni che la compagnia di Gesù aveva offerto,
sin dal suo sorgere, con apostolica generosità. Più tardi, moltiplicate
le iniziative di cultura e di educazione – Vienna, Graz, Innsbruck, Hall,
Feldkirch – la gigantesca lotta contro i Turchi. In essa non soltanto
l’Austria fu l’antemurale – dimostratosi adamantino nella battaglia
della Montagna Bianca di fronte all’impetuoso torrente del
protestantesimo – ma la gloriosa salvezza dell’occidente e del centro
dell’Europa, acquistando, nelle ripetute strenue vittorie, con nomi come
Eugenio di Savoia, Sobieski, Marco d’Aviano, una benemerenza che durerà
per tutti i tempi, a vantaggio della civiltà, e dimostrando come l’unità
appunto di geni militari e di Santi di diversi Paesi, avesse in quei
territori quasi un naturale convegno, un superiore diritto di cittadinanza,
nell’ideale di un grande beneficio per tutto il mondo cristiano.
Le
lotte squisitamente politiche e dinastiche che si succedettero in Europa;
le tendenze, che nel secolo dell’illuminismo e dell’enciclopedia
portarono alcuni sovrani austriaci a imitare altri potentati o a
distinguersi in cavillosi atteggiamenti contro la stessa Chiesa, non
valsero a scuotere la formazione cristiana, profonda ed integrale, di
tutto un popolo, anzi, allora, di popoli diversi associati sotto una
monarchia. Se questa ebbe grandezze e decadenze, meriti e colpe, splendori
ed ombre, sempre mirò ad una unità in cui proprio la religione cattolica,
la cultura cattolica formarono per secoli la forza di una coesione
ammirevole.
In
tal modo allorché il nuovo impero austriaco – che al principio del 1800
si era sostituito al cessato sacro romano impero – fu scosso, ai nostri
giorni, dalle sue fondamenta per i sopraggiunti nuovi indirizzi statali e
di governo affermatasi sul principio della nazionalità, non si ripudiò
affatto il passato per quanto si ripudiò affatto il passato per quanto si
riferiva al comune patrimonio del particolare compito di cristiana civiltà;
e naturalmente, il primitivo nucleo del grande agglomerato politico
destinato a dissolversi diventava l’erede di un nome e di una missione
non certo soggetti, l’uno e l’altra, alle trasformazioni, pur così
importanti, della carta geografica, dell’economia, della potenza
militare, delle evoluzioni internazionali, in una parola. Queste del resto
trovarono proprio nell’Austria, un esempio eloquente – tanto per
citare una sola attività – del come si possano attuare, nell’ambito
sociale ed economico, le grandi Encicliche Pontificie, date con generosa
larghezza dal Capo augusto della Cristianità per la restaurazione
dell’ordine, per la concordia e la prosperità nel mondo.
Bene
a ragione quindi, parlando con magistrale acutezza di veduta di questo
retaggio glorioso dell’Austria, S. E. il Campo del Governo Italiano,
scriveva, tre anni or sono, che “primo compito dell’Austria è di
continuare, sotto altra forma …, l’opera dei secoli scorsi”; ed
aggiungeva in felice sintesi, antivedendo i compiti del futuro: “È
certamente un fatto importante per l’Austria la comunanza della lingua
colla Germania, ma non è meno importante la comunanza della Religione
coll’Italia. Vienna può guardare al nord e al sud, all’occidente e
all’oriente, che comincia, come si diceva una volta, dalla piazza di
Santo Stefano. Io credo che col passare degli anni, col rafforzarsi dello
Stato, col miglioramento della economia, ognuno si convincerà che
l’Austria può esistere, può cioè esistere un secondo Stato tedesco in
Europa, tedesco, ma padrone del suo destino”. * * *
Strettamente
congiunta alla tradizione e alla fedeltà religiosa, in Austria, è stata,
l’abbiamo accennato, la sua secolare cultura. Anche l’arte ne dà
testimonianza chiarissima; anche per l’arte si ripete il convergere,
come ad un naturale centro, come ad un crogiuolo prezioso, di scuole, di
ingegni, di opere, dall’occidente e dal sud per un’irradiazione
possente verso il nord e altrove. L’architettura, la scultura e la
pittura richiederebbero, esse sole, trattazioni diffuse; la musica poi un
capitolo specialissimo, tanto sensibile e palese è, in tutte,
l’influsso della ispirazione cattolica, così frequenti sono i richiami
all’Italia, a Roma soprattutto, così diffusa la reminiscenza d’ogni
scuola e d’ogni stile d’oltr’Alpe. Si arrivò, persino, onde
facilitare queste relazioni, a dare un significativo primato alla lingua
italiana, ufficiale, per oltre un secolo, nella Corte e in atti
governativi. Se Reinmar van Zweter poté dire “sul Reno sono nato, in
Austria sono cresciuto”, a dimostrare quale ascendente esercitasse
nell’arte in genere l’attrattiva di Vienna e del suo regno, di molti e
molti altri si potrebbe ripetere la stessa cosa: dall’architetto
Giovanni di Boemia, dallo scultore Gerhaert, dal miniaturista Nicola da
Verdun, dall’urbanista Santino Salari, sino ad insigni artisti
affermatisi nell’arte barocca, sino a Nicola Parassi di Gorizia, sino
all’insuperato von Beethoven che, pur nato a Bonn, in Austria trovò le
sue più alte ispirazioni di compositore insuperata. Basterà poi
ricordare, per soffermarsi soltanto all’ultimo periodo musicale, come
proprio la salutare rinascita religiosa contro il nefasto giuseppinismo,
capeggiata da un grande santo, Clemente Maria Hofbauer, fu quella che, sia
pur indirettamente, ispirò capolavori immortali di Haydn, Mozart,
Schubert, Bruckner e Liszt. * * *
L'imperatore Carlo, l'imperatrice Zita ed il loro figlio Otto von Habsburg, nel giorno della loro incoronazione come Re e Regina dell'Ungheria (31 dicembre 1916)
Non
dovrebbe essere difficile per alcuno il dedurre, dopo un sguardo sommario
che tutti possono dare alla storia recente e a quella più antica, potersi
qui più che mai riaffermare il monito memorando di un grande Pontefice:
“le nazioni non muoiono” riproclamato durante momenti criticissimi e
tempestosi. Si parla di lingua, di razza, di sangue come di elementi per
un diritto se non proprio ad un predominio, almeno ad un lento
assorbimento da parte del più forte. Questo diritto non può sostenersi,
se mancano altre profonde e vitali caratteristiche comuni. C’è un
intero continente con ben nove pubbliche perfettamente distingue, nelle
quali si parla una medesima lingua e si celebra un’identica origine; ove
si professa anche la stessa religione cattolica; eppure esse non
affacciano alcun bisogno di una unità politica che, del resto, potrebbe
essere assurda e forse anche pericolosa. È invece evidente, come un
principio di indiscutibile valore, che una entità nazionale, specie se
ricca di tanta storia, sussiste, rimane, dove poter supportare ogni
ostacolo proveniente da desideri di espansione ingiustificata ovvero da
altre mire che non potrebbero mai essere comprese o ammesse.
Proprio
nei riguardi dell’Austria si sono ripetute, l’abbiamo accennato, delle
affermazioni d’una forza che supera l’importanza di un determinato
momento storico e rimane incrollabile, come un granitico sostegno, per
l’equilibrio dei rapporti internazionali e per la pacifica convivenza
degli Stati.
Il
Cancelliere Schuschnigg ha riaffermato, tra il consenso più vivo della
nazione e di tutti i ceti sociali di essa, che l’Austria vuole restare
indipendente, tedesca e cristiana. Vuole assolvere cioè, integralmente,
con una fisionomia tutta sua, pur nelle pacifiche relazioni con tutti i
suoi vicini e specialmente col grande popolo germanico, quella missione
che fu e rimane la propria prerogativa.
Essa
intende applicarsi a un così nobile contributo per il bene comune con più
alacre energia, con quei propositi di rinnovamento posti alla base della
nuova costituzione per la cui vita ed efficacia non è mancata la
testimonianza di sangue generoso. L’Austria sarà fedele al compito
indicatole da Dolfuss, i cui ordinamenti legislativi o sociali hanno già
dato ottimi frutti, mostrando al mondo come si possa ricostruire, dopo
inenarrabili rovine, uno Stato che poggia sugli insegnamenti di Cristo,
della Chiesa Cattolica, e vuole attuare una restaurazione di evidente
vantaggio universale.
È
questa una realtà che va rispettata, poiché insita sui diritti e sulle
libertà di ieri e di oggi, ed essa si impone alla doverosa meditazione di
coloro che dirigono le sorti dei popoli e fervidamente lavorano per la
grande causa della pace. |