Verba Tua manent in aeternum
I Papi Benedetto XIV, Leone XIII e Pio XII sull'islam e/o le Crociate
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Benedetto XIV, lettera apostolica Quoniam inter, 17 dicembre 1743: «(l’Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, chiamata di Malta) combattendo, per la gloria di Cristo, contro i perduti uomini infetti dall’errore maomettano, con sommo vigore, difende assiduamente e con tutte le forze i paesi cristiani dalle incursioni di costoro» e «per sua istituzione, fa (…) guerra continua contro il comune nemico del nome cristiano (…) e (…) a tale scopo mantiene una flotta munitissima e ben dotata di materiale bellico e di ogni macchina guerresca».
Immortale Dei, Lettera Enciclica di Leone XIII, del 1 novembre 1885: Vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società: allora la forza della sapienza cristiana e lo spirito divino erano penetrati nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in ogni ordine e settore dello Stato, quando la religione fondata da Gesù Cristo, collocata stabilmente a livello di dignità che le competeva, ovunque prosperava, col favore dei Principi e sotto la legittima tutela dei magistrati; quando sacerdozio e impero procedevano concordi e li univa un fausto vincolo di amichevoli e scambievoli servigi. La società trasse da tale ordinamento frutti inimmaginabili, la memoria dei quali dura e durerà, consegnata ad innumerevoli monumenti storici, che nessuna mala arte di nemici può contraffare od oscurare. Il fatto che l’Europa cristiana abbia domato i popoli barbari e li abbia tratti dalla ferocia alla mansuetudine, dalla superstizione alla verità; che abbia vittoriosamente respinto le invasioni dei Maomettani; che abbia tenuto il primato della civiltà; che abbia sempre saputo offrirsi agli altri popoli come guida e maestra per ogni onorevole impresa; che abbia donato veri e molteplici esempi di libertà ai popoli; che abbia con grande sapienza creato numerose istituzioni a sollievo delle umane miserie; per tutto ciò deve senza dubbio molta gratitudine alla religione, che ebbe auspice in tante imprese e che l’aiutò nel portarle a termine. E certamente tutti quei benefici sarebbero durati, se fosse durata la concordia tra i due poteri: e a ragione se ne sarebbero potuti aspettare altri maggiori, se con maggiore fede e perseveranza ci si fosse inchinati all’autorità, al magistero, ai disegni della Chiesa. Si deve infatti attribuire il valore di legge eterna a quella grandissima sentenza scritta da Ivo di Chartres al pontefice Pasquale II: “Quando regno e sacerdozio procedono concordi, procede bene il governo del mondo, fiorisce e fruttifica la Chiesa. Se invece la concordia viene meno, non soltanto non crescono le piccole cose, ma anche le grandi volgono miseramente in rovina.” * * * Leone XIII nella lettera apostolica Quod Multum (22 agosto 1886) esaltava l’Ungheria e la sua vittoria contro i maomettani: Ciò che desideravamo vivamente e da molto tempo, cioè che ci fosse l’occasione di parlarvi come abbiamo fatto con i Vescovi di numerose altre popolazioni, con il proposito cioè di comunicarvi i Nostri consigli sugli argomenti che concernono la prosperità del cristianesimo ed il bene degli Ungheresi, Ci è reso possibile in maniera particolarmente positiva da queste stesse giornate nelle quali l’Ungheria, memore e lieta, celebra il bicentenario della liberazione di Buda. Fra i meriti nazionali degli Ungheresi questa liberazione rimarrà di spicco per sempre, in quanto i vostri antenati recuperarono, con la pazienza ed il valore, la città capitale, nella quale i nemici si erano insediati per un secolo e mezzo. Affinché rimanessero la memoria e la gratitudine per tale favore divino, giustamente Papa Innocenzo XI, Pontefice Massimo, stabilì che il 2 settembre, giorno nel quale si compì il prestigioso avvenimento, in tutto il mondo cristiano si celebrino riti solenni in onore di Santo Stefano, che fu il primo fra i vostri re apostolici. Per la verità, si sa che la Sede Apostolica ebbe parte – e non certo di ultimo piano – nel meraviglioso e faustissimo evento del quale parliamo, che è quasi nato spontaneamente come conseguenza della splendida vittoria riportata tre anni prima sullo stesso nemico (i maomettani), presso Vienna; senza dubbio essa va attribuita in gran parte e a buon diritto all’impegno apostolico di Innocenzo; infatti, a partire da allora, le forze maomettane cominciarono ad indebolirsi. In verità, anche prima di quel periodo, i Nostri Predecessori si erano preoccupati, in situazioni analoghe, di alimentare le forze dell’Ungheria con il suggerimento, con gli aiuti, con il denaro, con le alleanze. Da Callisto III ad Innocenzo XI sono molti i Pontefici Romani che sarebbe opportuno enumerare a questo titolo per rendere loro merito. Uno eccelle fra tutti, Clemente VIII, al quale – quando Strigonia e Vincestgraz furono affrancate dalla dominazione turca – le massime Assise del regno decretarono pubblici ringraziamenti, poiché egli solo si era prodigato in favore dei derelitti, quasi disperati sulla loro sorte. Pertanto, come la Sede Apostolica non è mai venuta meno alle aspettative della gente ungherese, ogni volta che toccò loro combattere contro i nemici della religione e dei costumi cristiani, così ora che la commemorazione di un evento attesissimo commuove gli animi, a voi volentieri si unisce nella comunione di una giusta gioia; pur tenendo conto della diversità dei tempi, questo solo vogliamo e a questo solo Ci dedichiamo: confermare la moltitudine nella professione cattolica e parimenti impegnarci per quanto possiamo nell’allontanare il comune pericolo, in quanto il Nostro compito è provvedere alla salvezza delle genti. * * * In Plurimis, Lettera Enciclica di Leone XIII, 5 maggio 1888: In situazione analoga, affligge non poco il Nostro animo un’altra preoccupazione che sprona la Nostra sollecitudine. Se cioè un così turpe mercato di uomini è di fatto cessato nei mari, tuttavia esso viene praticato in terra in modo troppo esteso e barbaro, soprattutto in molte zone dell’Africa. Poiché, infatti, i Maomettani praticano la perversa teoria per cui un Etiope o un uomo di stirpe affine sono appena al di sopra di un animale, è facile comprendere con sgomento quale sia la perfidia e la crudeltà di quegli uomini. All’improvviso, senza alcun timore, si avventano contro le tribù degli Etiopi, secondo l’usanza e con l’impeto dei predoni; fanno scorrerie nelle città, nei villaggi, nelle campagne; tutto devastano, spogliano, rapiscono; portano via uomini, donne e fanciulli, facilmente catturati e vinti, per trascinarli a viva forza sui più infami mercati. Dall’Egitto, da Zanzibar e in parte anche dal Sudan, come da centrali di raccolta, partono di solito quelle abominevoli spedizioni; per lungo cammino gli uomini procedono stretti in catene, scarsamente nutriti, sotto frequenti colpi di frusta; i meno adatti a sopportare queste violenze vengono uccisi; quelli che sopravvivono, sono venduti come gregge insieme ad altri schiavi e sono costretti a schierarsi davanti a un compratore difficile e impudente. Coloro che sono venduti a costui sono costretti alla miseranda separazione dalla moglie, dai figli, dai genitori; e in suo potere sono sottoposti a una schiavitù crudele e nefanda, e non possono ricusare la stessa religione di Maometto. Questi fatti abbiamo appreso or non è molto, con l’animo profondamente turbato, da alcuni che furono testimoni, non senza lacrime, di siffatta infamia e aberrazione; con essi, poi, convengono pienamente le narrazioni dei recenti esploratori dell’Africa Equatoriale. Anzi, dalla loro attendibile testimonianza risulta che il numero degli Africani venduti annualmente, a guisa di gregge, ammonta a quattrocentomila, di cui circa la metà, estenuata dal tribolato cammino, cade e muore, in modo che i viaggiatori (quanto è triste a dirsi!) possono scorgere il cammino quasi segnato da ossa residue. Chi non si sentirà commosso al pensiero di tanti mali? Noi, che rappresentiamo la persona di Cristo, amantissimo di tutte le genti, liberatore e Redentore, Noi che Ci allietiamo dei molti e gloriosi meriti della Chiesa verso gli infelici di ogni sorta, a stento possiamo dire quanta pietà proviamo verso quelle infelicissime genti, con quanta immensa carità tendiamo loro le braccia, quanto ardentemente desideriamo di procurare loro tutti i conforti e i soccorsi possibili, affinché, non appena distrutta la schiavitù degli uomini insieme con la schiavitù della superstizione, possano finalmente servire un solo Dio, sotto il soavissimo giogo di Cristo, partecipi con Noi della divina eredità. Volesse il cielo che tutti coloro che sono più in alto per autorità e potere, e che vogliono santificati i diritti delle genti e della umanità, o che si preoccupano di dare incremento alla religione cattolica, tutti con tenacia cospirassero a reprimere, a proibire, a sopprimere (aderendo alle Nostre esortazioni e preghiere) quel mercato, del quale nulla è più disonesto e scellerato.
Del discorso di Sua Santità Pio XII alle Pontificie Opere Missionarie, 24 giugno 1944: Questo movimento richiama alla Nostra mente il ricordo dell’entusiasmo per le Crociate, che dalla fine del secolo undecimo a quasi tutto il decimoterzo tenne in ansiosa aspettazione l’Occidente cristiano. Eppure Ci sembra che la storia futura porrà l’opera missionaria dell’era moderna ancor più in alto che le gesta dei Crociati nel Medio evo. Le Crociate tendevano a conseguire la loro meta per lo più con le armi dei guerrieri e dei politici. L’opera missionaria lavora con la spada dello spirito (Eph. 6, 17), della verità, dell’amore, dell’abnegazione, del sacrificio. Le Crociate si proponevano la liberazione della Terra Santa, e particolarmente del Sepolcro di Cristo, dalle mani degl’infedeli: fine senza dubbio quanto mai nobile ed elevato! Oltre a ciò, esse storicamente dovevano servire a difendere la fede e la civiltà dell’Occidente cristiano contro l’Islam. L’opera missionaria non si ferma ad assicurare e proteggere le sue posizioni. Il suo scopo è di fare di tutto il mondo una Terra Santa. Essa mira a portare il regno del Redentore risorto, a cui è stata data ogni potestà in cielo ed in terra (cfr. Matth. 28, 18), il suo impero sui cuori, attraverso tutte le regioni sino all’ultima capanna e all’ultimo uomo, che abita il nostro pianeta. * * * Nella lettera a Monsignor Giuseppe Freundorfer nel Millenario della battaglia di Lechfeld Pio XII ricordava tre momenti fondamentali per la cultura occidentale: la battaglia di Lechfeld (955) quando Ottone il Grande sconfisse gli Ungari e Magiari sbarrando le porte alle eresie orientali, Poitiers (732) dove Carlo Martello sconfisse gli arabi e la vittoria sugli Ottomani presso le mura di Vienna (1683). Le crociate: un atto di amore Dalla conferenza del Prof. Roberto de Mattei all'Università Estiva delle TFP europee, tenutasi in Austria ad agosto del 2008: Il professor Jonathan Riley-Smith, caposcuola del rinnovamento degli studi sulle crociate, in un saggio apparso nel 1979 con il titolo Crusading as an Act of Love, La Crociata come atto d’amore, ricorda la bolla Quantum praedecessores, del 1° dicembre 1145, con cui Papa Eugenio III, riferendosi a coloro che avevano risposto all’appello della prima crociata, afferma che essi erano “infiammati dall’ardore della carità”, e alla carità, all’amor di Dio, fa risalire la motivazione profonda di questa impresa. Offrire la propria vita è la più grande forma di amore e il più perfetto atto di carità, poiché ci fa perfetti imitatori di Gesù secondo le parole del Vangelo, secondo cui “nessuno ha più grande amore di colui che dà la sua vita per Lui e per i suoi fratelli” (Gv. 3, 16; 15, 13). Questa testimonianza è comune ai martiri e ai crociati. Se il martirio è l’atto con cui il cristiano è disposto a sacrificare la sua vita per preservare la propria fede, la crociata appare, nelle sue motivazioni più profonde, come l’atto con cui il cristiano è disposto ad offrire la propria vita, per il bene soprannaturale del prossimo, difendendolo con il suo combattimento. Nei crociati, la prospettiva del martirio è insita nel signum super vestem: la Croce rossa sull’abito bianco. Quella stessa Croce, nell’ottobre del 312, era apparsa nel cielo, per indicare ai legionari di Costantino la via della lotta e della vittoria. Quando Marcantonio Colonna, comandante della flotta pontificia nella battaglia di Lepanto, prestò giuramento nella cappella papale, l’11 giugno 1571, ricevette dalle mani del Papa, oltre al bastone del comando, una bandiera di seta rossa. Su questa bandiera era impresso il Cristo crocefisso tra i principi degli apostoli Pietro e Paolo; sotto di essi vi era lo stemma di Pio V e come motto: In hoc signo vinces. |