L'Osservatore Romano, Lunedì-Martedì 3-4 Settembre 2001

 

Ad un anno dalla beatificazione in Piazza San Pietro

 

Il beato Pio IX: l'uomo di Dio e della Chiesa

 

[Mons.] Carlo Liberati

 

 

[Nota: Os trechos em negrito são nossos]

 

 

    Pio IX ha goduto fama di santità durante la sua vita e specialmente nell’ultima parte del suo Pontificato quando, caduto definitivamente il potere temporale, divenne evidente lo sforzo che aveva sostenuto a costruire e ricostruire il “tessuto connettivo” della Chiesa afflitta dal razionalismo anche teologico, dai nazionalismi, dalla massoneria internazionale, dall’anticlericalismo, dalle sette ormai pullulanti nella mentalità moderna, dalla esplosione della “questione sociale” e dal marxismo ateo.

    In lui rifulse soprattutto la carità ad ogni livello della vita personale e sociale, carità come frutto genuino di una fede incrollabile in Cristo e nella sua Chiesa.

    Era personalmente convinto che la Chiesa era ormai entrata in un’altra fase della storia e vi si adeguò.

    Un Pontefice che non avesse avuto una grande lucidità mentale e una profonda luce interiore, emanazione di una intensa spiritualità dalle quali trasparirono sempre coraggio, generosità e grande capacità d’amore ne sarebbe stato travolto. Resistette impavido al timone della barca di Pietro e guidò al largo la Chiesa sul mare agitato dei tempi nuovi anche se tanto diversi da quelli nei quali era stato educato.

    La carità lo spinse a comprendere la necessità delle Riforme. Le attuò con decisione. Con altrettanta determinazione si oppose al partito della Rivoluzione.

    Benedetto XIV, il legislatore “princeps” della normativa canonica per le cause di Beatificazione e Canonizzazione afferma che è necessario dimostrare prima della proclamazione delle virtù eroiche che un servo o una serva di Dio le abbia vissute in grado eroico almeno per un periodo di dieci anni prima della morte. Ciò che appunto nella vita del Pontefice marchigiano è avvenuto con certezza, a giudizio unanime dei contemporanei e delle testimonianze processuali già molti decenni prima del suo piissimo decesso.

    Si può senza ombra di dubbio affermare che in Pio IX la professione delle virtù cristiane e di quelle sacerdotali emerga con chiarezza fin dall’anno 1823, quando intraprese insieme al Delegato o Nunzio Apostolico S.E. Mons. Muzzi, il viaggio in Cile, in qualità di membro della Delegazione Apostolica.

    E certamente spiccano nella sua vita tutte le virtù Teologali e, tra le Cardinali, si evidenziano in modo straordinario la fortezza d’animo e la mitezza.

    (…)

    Gli avvenimenti del Pontificato di Pio IX ci aiutano in particolare a comprendere la differenza tra riforma, o meglio tra Riforme e Rivoluzione. Esistono infatti le riforme, in concreto e al plurale, non esiste la riforma al singolare e con la maiuscola, a meno di non considerare tale quella protestante del XVI secolo, che non fu autentica riforma, ma vera Rivoluzione Religiosa.

    Esiste invece, ed è stata ben descritta e definita, la Rivoluzione al singolare e con la maiuscola, come fenomeno di sovvertimento radicale non di uno specifico ordine storico, ma dell'ordine per eccellenza che è quello promosso e instaurato dalla Chiesa, ossia dalla Cristianità, o Civiltà cristiana, "realizzazione nelle condizioni inerenti ai tempi e ai luoghi dell'unico vero ordine tra gli uomini" (1).

    Le riforme possono talvolta condurre alla Rivoluzione, ma sono atti di qualità e di natura diversa da questa. Le riforme si situano all'interno di un sistema che vogliono migliorare, la Rivoluzione si situa all'esterno di un ordine che vuole distruggere l'ordine sociale cristiano. La Rivoluzione spesso si serve della maschera delle riforme per attecchire. Ciò accade con la rivoluzione protestante e con quella francese, che può essere considerata l'archetipo di ogni rivoluzione. Se mostrasse il suo volto, la sua essenza ideologica nichilista e distruttiva, la Rivoluzione perderebbe il consenso di cui ha bisogno per realizzarsi. Pio IX visse drammaticamente il contrasto che all'interno del suo Stato si aprì tra le riforme e la Rivoluzione.

    Sul fatto che Pio IX aprì il suo Pontificato con una serie di rilevanti riforme politiche, sociali e amministrative non esiste dubbio. Tra l’amnistia ai detenuti e agli esuli politici del 16 luglio 1846, primo atto del Pontificato, e la concessione dello Statuto fondamentale per il governo temporale degli Stati della Chiesa, il 14 marzo 1848, si situano l’introduzione del Comitato per la riforma della pubblica amministrazione, la creazione della Consulta di Stato, costituita da due corpi legislativi elettivi, la concessione di una più ampia libertà di stampa, e così via. Nessuno di questi atti, preso in sé poteva considerarsi rivoluzionario, nel senso di determinare un radicale sovvertimento dello Stato Pontificio. Nelle intenzioni del Pontefice, tali provvedimenti erano motivati da un sincero desiderio di migliorare le condizioni materiali e morali dei suoi Stati, accogliendo le istanze politiche e sociali che da più parti gli venivano rivolte. Posti uno accanto all’altro e strumentalizzati, esso vennero a inserirsi in un processo il cui esito fu un’autentica rivoluzione.

    Lo stesso Pio IX ha tracciato una minuziosa storia di questo itinerario nella allocuzione Quibus, quantisque (2), pubblicata a Gaeta il 20 aprile 1849. La grande portata di questo documento non è dottrinale (come è il caso, ad esempio, della Qui pluribus e della Quanta Cura) ma storica, perché costituisce un’analisi retrospettiva e, se così si può dire, un’interpretazione autentica dei primi tre anni di Pontificato di Papa Mastai, dalla sua elezione fino alla Repubblica romana. La Quibus, quantisque rappresenta realmente, come osservò lo Spada, “Il compendio di tutti gli avvenimenti più importanti del Pontificato (nei primi due anni), l’enunciazione delle intenzioni primitive che lo dominarono e degli inganni subiti per opera di un partito ch’egli credette col perdono di correggere e di ammansire” (3).

    Il “partito” che Pio IX si trovò di fronte nel primo biennio del suo Pontificato fu quello che, secondo la nota formula leninista, potrebbe essere definito dei “rivoluzionari di professione”. Essi costituivano a Roma, come negli altri Stati italiani, una minoranza organizzata che, secondo le parole di Luigi Salvatorelli, dirigeva l’agitazione popolare “prendendo occasione dalla concessioni di Pio IX, ingrandendole, cambiandone il significato, facendo pressioni per ottenerne sempre di nuove” (4). Ciò spiega come fin dalla concessione della amnistia, divampasse attorno al nome di Pio IX, quello che il padre Martina ha definito “l’inizio di un delirio collettivo dell’opinione pubblica” (5).

    Nelle intenzioni del “partito della Rivoluzione”, le riforme pontificie erano fasi per giungere in maniera graduale ma rapida alla sostituzione dello Stato della Chiesa con una “Repubblica romana” che avrebbe dovuto costituire il centro promotore della repubblicanizzazione di tutta la penisola. Questo piano fu evidente a Pio IX fin dalle prime settimane del 1848, come egli stesso ci ricorda nella Quibus quantisque, rievocando i giorni dell’elargizione dello Statuto con queste parole:

    “E qui vogliamo manifestare al mondo intero che al tempo stesso quegli uomini, fermi nel loro proposito di sconvolgere lo Stato pontificio e l’Italia tutta, Ci proposero di proclamare non una Costituzione, ma una Repubblica, come unico scampo e difesa della salvezza sia Nostra, sia dello Stato della Chiesa. Abbiamo ancora presente nella memoria quella notte, ed abbiamo ancora davanti agli occhi alcuni, che miseramente illusi ed affascinati dagli orditori di frodi, non dubitavano di patrocinare in ciò la loro causa e di proporci la proclamazione stessa della Repubblica. Il che, oltre ad innumerevoli e gravissimi altri argomenti dimostra sempre più che le domande di nuove istituzioni ed il progresso tanto predicato da tali uomini mirano unicamente a tenere sempre vive le agitazioni, a eliminare ogni principio di giustizia, di virtù, di onestà, di religione; e ad introdurre, a propagare ed a far largamente dominare in ogni luogo, con gravissimo danno e rovina di tutta la società umana l’orribile fatalissimo sistema del Socialismo, o anche Comunismo, contrario principalmente al diritto ed alla stessa ragione naturale” (6).

    Questo passo è di grande importanza perché ci aiuta a far luce sulla celebra allocuzione Non Semel del 29 aprile 1848 (7) con cui Pio IX, rifiutandosi di porsi alla testa della guerra contro l’Austria, ruppe definitivamente con il partito della Rivoluzione.

    Molti ritengono che la ragione principale della “svolta” di Pio IX fosse il timore di uno scisma dei cattolici austriaci, ventilato come possibile dal Nunzio a Vienna Viale Prela, dopo lo scoppio della guerra contro l’Austria, promossa da Carlo Alberto il 23 marzo 1848, con la partecipazione di volontari e milizie regolari pontificie. L’ipotesi non è priva di fondamento ed è esplicitamente evocata dallo stesso Pio IX nella sua allocuzione, ma non sembra decisiva (Cfr. Roberto de Mattei – Pio IX, Piemme 2000. E anche: R. de Mattei – Prolusione al Convegno della Fondazione “Cajetanus” – 23 sett. 2000, Milano).

    L’interpretazione certa dell’atteggiamento di Pio IX è molto più profonda, razionale, convincente. (...)

    Se ogni cristiano non può mai essere un rivoluzionario perché la distruzione dell’ordine presente, sia pure insoddisfacente, richiede spargimento di sangue, guerre e lutti senza fine, tanto più un sacerdote o un vescovo si devono impegnare a contrastare tutte le forme di contrapposizione sanguinosa.

    Perché legge fondamentale della fede cristiana è la professione e la pratica dell’amore.

    In questo e per questo Pio IX apparve e fu irremovibile. Discepolo eroico e fedele del suo Maestro e accettò con infinita pazienza la solitudine, l’incomprensione, il deserto dell’anima, il martirio del cuore.

    Anche in età ormai veneranda continuò ad additare al mondo, come Vicario di Cristo, l’amore e le vie della pace.

    Introdusse così il Pontificato Romano e la Chiesa cattolica nell’epoca moderna interpretandone felicemente quelle esigenze di fraternità, di solidarietà e di pace che sembrano ormai le uniche strade praticabili per la Chiesa e per il mondo.

 

 

Note:

 

1) Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Cristianità, Piacenza 1978, p. 94.

 

2) Cfr. il testo integrale, in versione italiana, della allocuzione Quibus, quantisque, in Ugo Bellocchi Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740, vol. IV, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, pp. 57-71.

 

3) Giuseppe Spada, Storia della Rivoluzione di Roma dal 1° giugno 1846 al 15 luglio 1848, Firenze 1868-69, vol. III, p. 3879.

 

4) Luigi Salvatorelli, Pio IX e il Risorgimento, in Spiriti e figure del Risorgimento, Le Monnier, Firenze, 1961, pp. 253-257.

 

5) Giacomo Martina s.j., Pio IX, vol. I, Gregoriana, Roma 1974, p. 101.

 

6) Pp. 60-61.

 

7) Pio IX, Allocuzione Non semel del 29 aprile 1848 in U. Bellocchi, pp. 44-48.